Tra gli allievi della Supsi, dove molti combinano scuola e lavoro, c’è chi teme pure un possibile disimpegno delle aziende che contribuiscono alle spese
Una ‘stangata’ sulle rette universitarie. È il timore degli studenti dopo che il Consiglio federale ha proposto una serie di misure di risparmio che toccano in maniera incisiva i contributi a università e scuole universitarie professionali, come l’Usi e la Supsi. Risparmi che gli atenei potrebbero essere costretti a compensare riversando i costi sugli allievi. A fare un primo deciso passo in questa direzione è stato nelle scorse settimane il parlamento federale, che ha dato luce verde a triplicare la retta per gli studenti stranieri. La paura, però, è che i rincari possano toccare in futuro anche gli allievi svizzeri e quelli residenti. “Matematicamente è un’operazione che funziona, tagli alcuni milioni e li fai pagare agli studenti – affermava martedì il direttore generale Supsi Franco Gervasoni durante la presentazione della Strategia 2025-28 dell’Istituto –. Nella pratica però la questione è più complessa, si ostacola l’accesso alla formazione”. Il quadro in Ticino, dove ci sono le rette tra le più alte della Svizzera, è reso ancora più complicato da due aspetti: l’elevato numero di studenti frontalieri e la percentuale di coloro che affiancano il percorso formativo a quello lavorativo, magari anche con il sostegno economico del datore di lavoro.
«Ho trovato scioccante questa proposta, anche se bisognerà poi vedere se e come verrà realmente applicata». Per Mattia Ombelli, presidente dell’associazione studenti della Scuola universitaria professionale, c’è di che preoccuparsi. «Già oggi la tassa semestrale che paghiamo alla Supsi, come anche quella riscossa all’Usi, è tra le più alte della Svizzera. Un aumento sarebbe un peso non da poco per molti studenti e famiglie». La proposta sul tavolo è di aumentare la tassa in particolar modo agli studenti stranieri e la Supsi, lo dicono i numeri, è frequentata da diversi ragazzi italiani che vivono a ridosso del confine. «Per loro sarebbe un problema non da poco – afferma Ombelli –. Molti, magari residenti a Como o Varese, scelgono il nostro ateneo anche perché è quello più vicino a casa a offrire il percorso formativo che desiderano. Non si tratta quindi per forza di famiglie benestanti che mandano a studiare i figli in Svizzera, come invece magari accade a Zurigo o Losanna».
Gli studenti temono anche un peggioramento dei servizi offerti dall’Istituto. «Negli ultimi anni l’assistenza agli studenti, gli spazi e le possibilità offerte sono migliorati. E ne siamo contenti. Ma cosa succederà in futuro se ci sarà un disimpegno da parte della Confederazione? Alla fine è un’equazione piuttosto semplice. Se ci sono tagli, o si alzano le rette o scendono i servizi. Due ipotesi che non ci lasciano tranquilli». La popolazione studentesca della Supsi è composta da un buon numero di allievi che affiancano l’istruzione all’attività lavorativa. Con il datore che in alcuni casi contribuisce alla formazione pagando la retta al suo dipendente. «Non è da escludere che alcune aziende, già confrontate con un contesto difficile, si vedano costrette a un disimpegno da questo punto di vista. È una preoccupazione – precisa il presidente dell’associazione studenti della Supsi – che diversi ragazzi hanno manifestato in questi giorni».
Preoccupazioni che giriamo ai diretti interessati. «Prima di sapere come reagiranno le aziende dobbiamo vedere se e come le rette aumenteranno», premette il direttore dell’Associazione industrie ticinesi (Aiti) Stefano Modenini. In ogni caso, «non penso che chi già ora investe nella formazione del suo personale farà un passo indietro. È vero che le aziende sono confrontate con i rincari, ma la quota destinata alla formazione non è necessariamente tra le spese più rilevanti e chi già ora si impegna in questa operazione con ogni probabilità continuerà a farlo». Modenini condivide l’appello lanciato alla politica dal presidente del consiglio Supsi Giovanni Merlini che, presentando il Programma strategico 2025-28 e il possibile ammanco annuo di 8 milioni in seguito alle misure di risparmio proposte dal Consiglio federale, aveva invitato “a dare delle priorità. Mettendo l’istruzione ai primi posti”. «È una visione che mi sento di condividere – riprende il direttore di Aiti – sulla formazione non bisogna di principio lesinare con l’impegno finanziario da parte dell’ente pubblico. Anzi, bisognerebbe spingere anche perché il Ticino se non erro sotto questa voce investe meno rispetto alla media svizzera». Aggiunge Modenini: «Questo però non vuol dire che gli atenei non siano chiamati a fare la propria parte con una valutazione interna in ottica di efficientamento delle risorse». Un esempio? «Usi e Supsi dovrebbero verificare di non offrire entrambe lo stesso percorso formativo, creando così un potenziale doppione». Supsi che è chiamata anche in parte ad autofinanziarsi attraverso progetti di ricerca. «Alcuni dipartimenti hanno un impatto maggiore di altri e sotto questo punto di vista – spiega Modenini che presiede anche la commissione consultiva del Dipartimento tecnologie innovative – bisogna riflettere quindi anche su quale strategia adottare in questo senso. Una scuola come la Supsi deve chiedersi quali dipartimenti hanno un impatto maggiore anche dal punto di vista delle entrate e orientarsi di conseguenza».