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‘Nel mio inizio c’è la mia fine'

Un verso del poeta T.S. Eliot per descrivere l’imminente addio alle competizioni di Rafael Nadal, leggenda della racchetta, annunciato ieri mattina

In sintesi:
  • Una carriera lunga e vincente sta per concludersi: è quella di Rafa Nadal, che abbandonerà i campi dopo le imminenti finali di Coppa Davis di Malaga
  • Il susseguirsi di problemi fisici ha caratterizzato gli ultimi anni di attività del mancino iberico, che ha vinto il suo ultimo torneo di singolare nel 2022
  • Durante quasi tutta la sua avventura nel Circuito, Nadal ha vissuto una grande rivalità sia con Roger Federer sia con Novak Djokovic
11 ottobre 2024
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‘Nel mio inizio c’è la mia fine / nella fine c’è il mio inizio’. Quando T.S. Eliot scrisse queste parole, all’inizio e alla fine di East Coker, in Europa era il 1940 e imperversava la Seconda guerra mondiale. Il tennis si era fermato, e il complesso del Roland Garros di Parigi veniva usato dal governo collaborazionista di Vichy per incarcerare minoranze e dissidenti politici.

Più di ottant’anni dopo, il Roland Garros, tornato alla sua funzione primaria, vede compiersi dentro di sé l’epopea del tennista più forte di sempre sulla terra battuta, Rafael Nadal, che esce dal campo francese per l’ultima volta dopo aver perso il doppio olimpico contro gli statunitensi Austin Krajicek e Rajeev Ram. Le parole di Eliot risuonano anche negli ultimi sviluppi della vicenda sportiva di Rafa Nadal, triste, solitario e soprattutto final.

Il campione spagnolo ha annunciato il ritiro dal tennis con un videomessaggio pubblicato sui social e perfino lui, che ha provato fino all’ultimo a rimandare questo momento, deve ammettere la sua sconfitta definitiva: «In questa vita tutto ha un inizio e una fine». Il tennista maiorchino lascerà così il tennis dopo le finali di Coppa Davis a Malaga, ventitré anni dopo l’inizio della sua carriera da professionista.

In opposizione a King Roger

Per Rafael Nadal raggiungere la chiusura del cerchio con il tennis non dev’essere stato facile. Uno sport che ha contribuito in maniera importante a definire e lanciare verso nuove stratosfere di popolarità, tra la rivalità con Roger Federer e Novak Djokovic e i ventidue tornei dello Slam vinti. Rafael Nadal come icona, simbolo di qualcosa che va al di là del tennis e diventa cultura popolare. Rafael Nadal come espressione di un tennis soverchiante sin dal suo ingresso in campo.

Dalla sua introduzione iconica al Roland Garros con tutti i suoi titoli elencati e declamati dallo speaker dello stadio fino alla possenza statuaria della sua struttura fisica, le sue urla dopo ogni colpo come espressione di prepotenza tennistica. Rafael Nadal come opposizione di Roger Federer. La grazia, l’eleganza e il rovescio a una mano del campione svizzero contro la muscolarità, il sudore e il dritto mancino carico di top-spin del campione spagnolo.

‘Nel mio inizio c’è la mia fine’. Come un uroboro, serpente mitologico che si alimenta consumando il suo corpo, la carriera di Nadal insegue continuamente sé stessa, nutrendosi della sua stessa narrazione. Il maiorchino vince la sua prima Coppa Davis a Siviglia nel 2004, con tanto di scalpo eccellente del numero due del mondo Andy Roddick. Il suo è uno dei tre punti decisivi per vincere la sua prima Coppa Davis, il più giovane di sempre a diciotto anni e sei mesi.

Nel 2024 Nadal disputerà l’ultimo torneo della sua vita tennistica nella cornice della Coppa Davis a Malaga, a soli 200 chilometri da Siviglia. Una scelta in linea con la fortissima appartenenza alla sua Nazionale, con cui ha vinto quattro volte e che gli permetterà di giocarsi l’ultima carta della sua carriera in compagnia di Carlos Alcaraz, l’Infante di Spagna, il successore al trono. L’inizio che ritorna inesorabile nella fine.

Nadal in occasione della sua prima Davis aveva sostituito per il secondo singolare proprio l’allenatore di Alcaraz, Juan Carlos Ferrero, soppiantato poi anche come numero 1 del mondo. Sempre nel 2004 Nadal incontrava per la prima volta dentro un campo da tennis Roger Federer, battuto nel terzo turno di Miami nel primo dei loro quaranta incontri. Legati anche nella loro fine Roger e Rafa, con Roger battuto nel suo ‘giardino’ di Wimbledon da Hubert Hurkacz con tanto di 6-0 finale, Rafa eliminato dal Roland Garros per mano di Alexander Zverev in tre set per la seconda volta in carriera.

Nadal c’era quando Roger appendeva la racchetta al chiodo alla Laver Cup 2022, regalandoci uno dei momenti sportivi più indimenticabili. Proprio Federer che per salutarlo ha pubblicato una foto di Nadal che solleva al cielo la coppa di Wimbledon nel 2008, seria candidata come sconfitta più dolorosa della carriera dello svizzero. La testimonianza di un legame che va oltre lo sport e definisce i contorni di una rivalità che ha segnato la storia dello sport in generale.

Segni di cedimento

‘Nella mia fine c’è il mio inizio’. Come per il suo illustre ‘predecessore’ Carlo V, sull’impero di Nadal in Francia non è mai sceso il sole, neppure con il finale più triste. Il Nadal che si è trascinato in campo quest’estate sul Philippe Chatrier di Parigi è sembrato tutto l’opposto del suo ‘santino’.

Un servizio diventato una rimessa in gioco, il dritto leggendario che in molti casi faceva fatica a superare la metà campo. Una figura eterea, una presenza in campo impalpabile. Una sfida finale con Djokovic in cui è sembrato in completa balia del suo storico e quasi coetaneo avversario, a cui proprio su quel campo aveva inflitto alcune delle sconfitte più dolorose della sua carriera. L’immagine più triste che può darci uno sportivo, ma contemporaneamente la più dignitosa che Nadal potesse darci.

Negli ultimi due anni il campione spagnolo ha ingaggiato una lotta durissima con il suo stesso fisico, consapevole che avrebbe perso. Ha rimesso in gioco la sua carriera e i suoi record non cercando a tutti i costi il finale da favola, come era stato nel 2002 per Pete Sampras o per la grandeur sentimentale dell’ultima Laver Cup di Roger Federer. Un finale che se avesse voluto avrebbe potuto prendersi molto prima.

Nel 2022 Nadal, complice il solito problema al piede, sembra sul punto di mettere fine alla sua carriera. Ne esce fuori una metà stagione regale, tra la leggendaria rimonta in finale degli Australian Open contro Medvedev fino al Roland Garros vinto dopo aver battuto Djokovic nei quarti.

I media prima della finale con Ruud sussurrano: si ritirerà dopo la finale. Nadal rifiuta l’idea, vince e punta addirittura al Grande Slam, ma a Wimbledon si deve arrendere all’ennesimo infortunio, di fatto l’inizio del suo declino fisico definitivo.

Quanti sarebbero andati a fare un torneo minore in Svezia in piena estate soltanto per prepararsi a delle Olimpiadi in cui quasi certamente non sarebbe stato competitivo per una medaglia? Un torneo che ha visto il Re della terra rossa perdere in finale con Nuno Borges e metterci quasi otto ore per battere Duje Adjukovic e Mariano Navone.

Quanti avrebbero accettato di rimettersi in gioco, forti di ventidue Slam, mentre il tuo fisico si perde verso l’abisso ogni giorno di più, ogni colpo di pallina in più? Lo abbiamo visto soffrire o perdere con tennisti che in altri periodi nemmeno lontanamente avrebbero potuto immaginare di giocarsela. In tanti invocavano il ritiro, anche e soprattutto tra i suoi tifosi. La speranza sportiva e umana di vedere l’icona che lascia camminando nel tramonto, e non nel buio.

Un’imposizione assurda, che va contro il diritto inalienabile di uno sportivo che per tanti anni ci ha donato il suo meglio e merita di potersi mostrare anche nella sua fragilità. E in fin dei conti un ritiro sofferto e doloroso è la rappresentazione più giusta di Nadal, l’agonista definitivo che per ventitré anni ha calcato i campi di tutto il mondo offrendo il suo corpo in pegno allo sport e a noi che lo abbiamo visto giocare.

Come Manolete

Come il leggendario torero spagnolo Manuel Rodríguez Sánchez “Manolete”, Nadal ha danzato con la suggestione stessa del suo ritiro, provando con grazia a schivare il toro ogni volta che gli si parava davanti. Ogni incontro sembrava il suo ultimo, una suggestione di morte, ogni infortunio lo privava sempre più di un pezzettino del suo tennis.

Anche Manolete aveva deciso di ritirarsi, ma proprio l’ultima corrida gli sarà fatale, con il toro Islero che poco prima di morire lo trafigge a una gamba, recidendogli l’arteria femorale. Manolete muore in ospedale per l’emorragia conseguente e la Spagna piange, neanche il migliore era riuscito a evitare il suo destino.

Per fortuna Nadal si è dedicato a un’attività meno cruenta di quella di Manolete, ma non meno cruento è stato il suo ritiro. Il toro, pure simbolo della sua linea di abbigliamento Nike, si è preso anche un altro dei migliori figli della Spagna sportiva.

Per tutto il suo ultimo anno i tornei in cui ha giocato gli hanno tributato un ricordo alla fine delle sue sconfitte. Più Nadal ripeteva in conferenza stampa che il ritiro non era scontato e si vedeva ancora in campo nel 2025, più i tornei si preparavano a salutarlo. Come se tutti sapessero di un destino di cui il maiorchino non era venuto a conoscenza.

Ed effettivamente per il 2025 Nadal aveva già chiara la programmazione, accettando il tributo di Madrid, in cui era certo non sarebbe tornato, e rifiutando la celebrazione sia a Roma che a Parigi, dove pure gli organizzatori avevano tutto pronto. Il quattordici volte vincitore del Roland Garros chiude così la sua carriera senza avere celebrazioni sul suo campo e a pochi passi da dove nel 2021 è stata eretta una statua in suo onore.

Forse in futuro quello che è oggi il Philippe Chatrier potrebbe anche diventare il Rafael Nadal, ma per celebrare la carriera di Nadal nella maniera più degna possibile non servono campi intitolati o feste tristi, ma bastano le statistiche, quelle che ha ritoccato e reso impossibili per più di vent’anni di carriera. Anche dovesse vincere la Coppa Davis a Malaga,

L’ultimo torneo vinto in singolare della carriera di Rafael Nadal resterà il Roland Garros 2022, il quattordicesimo. Non è questo un finale da sogno?