A 80 anni Waldo Ponzio non smette di conquistare titoli nazionali e di rappresentare un esempio di vita sana grazie a sport e buone abitudini
Waldo Ponzio è una bella testimonianza dell’importanza dello sport per la salute fisica e mentale. Non esita a riconoscere che è grazie alla sua grande passione se oggi, all’età di 80 anni, si sente ancora in grande forma e affronta la vita con energia e positività. Recentemente ha raggiunto l’ennesimo traguardo sportivo di una lunga carriera che da più di 60 anni lo vede macinare chilometri sulle strade del Bellinzonese, dove è solito ad allenarsi per prepararsi alle gare a cui ancora partecipa, prevalentemente in Svizzera. Tuttora, insieme al fratello Roby, rappresenta uno degli ultimi attori di un Ticino un tempo considerato terra di marciatori, statuto terminato con la fine delle carriere delle sorelle Marie e Laura Polli. Lo scorso mese di gennaio, Waldo Ponzio ha infatti conquistato a San Gallo il titolo svizzero M80 sui 3’000 metri (con il tempo di 24 minuti e 45 secondi su un limite di 27 minuti), mentre lo scorso 21 settembre, sulla pista di casa del Comunale di Bellinzona, si è laureato campione svizzero nella stessa categoria sui 5’000 metri (41 minuti e 10 secondi, ampiamente entro il limite di 45 minuti). Ciò che lo rende il primo ticinese dell’atletica, nonché il secondo in Svizzera, a vincere dei titoli nazionali a 80 anni. «Mi sono fatto un bel regalo – racconta l’80enne di Daro, da sempre tesserato per il Gruppo atletico Bellinzona –. La sensazione nei giorni precedenti alla gara a Bellinzona era la stessa di quando a 20 anni partecipavo ai campionati svizzeri. Ma se ai tempi la tensione era data dall’obiettivo di ottenere un certo risultato, qui la preoccupazione era di arrivare in forma e senza acciacchi. Infatti al Comunale dovevano essere due atleti al via nella categoria M80, ma l’altra persona che doveva partecipare, proveniente dalla Svizzera francese, è stata bloccata dal mal di schiena».
Signor Ponzio, quali sono i suoi segreti?
«In generale ho sempre fatto una vita un po’ spartana, ma sicuramente sana: non ho mai fumato e bevuto, ho sempre prestato attenzione a un’alimentazione sana e a sufficienti ore di sonno. Tutt’ora dormo circa 10 ore per notte, e quando leggo dei problemi dei giovani a dormire mi chiedo se facciano abbastanza attività fisica (ride, ndr). La marcia mi ha dato tanto, dal punto di vista delle gare e delle amicizie, ma soprattutto mi ha premiato con la salute: non sarei mai arrivato a 80 anni in queste condizioni».
Dove e con che frequenza si allena?
«A differenza di mio fratello Roby, solito ad allenarsi lungo le rive del Vedeggio, non ho un posto preferito, mi piace girare tra Giubiasco, Gnosca, Claro e Castione, sfruttando i ponti e le passerelle sul fiume Ticino. Poi vado spesso a correre in pista. Quando devo preparare le gare, che attualmente sono 3 o 4 all’anno, l’allenamento prevede dieci km di marcia quasi tutti i giorni, mentre in assenza di appuntamenti alterno con delle sedute di un’ora in palestra, aspetto importantissimo, soprattutto al mia età, per avere la forza per riuscire a marciare. Partecipo poi volentieri ai vari eventi popolari di camminata sportiva; il prossimo sarà il Walking Lugano. A questa età non è facile rimanere in questo stato di forma. Mi ritengo fortunato e sono consapevole che le cose potrebbero cambiare in fretta. In particolare per il gesto tecnico che richiede la marcia, anche se per il momento le mie ginocchia funzionano ancora molto bene». Secondo il regolamento, i giudici di marcia devono infatti osservare attentamente che il piede avanzato del marciatore prenda contatto con il terreno prima che il piede che si trova dietro abbia lasciato il suolo stesso, e in particolare che, durante la fase di ogni passo in cui un piede sia a contatto con il terreno, la gamba corrispondente sia tesa, cioè non piegata.
Come è nata la sua passione per la marcia?
«Mi fu trasmessa dall’allora marciatore Italo Traversi, che ai tempi si faceva 20-30 km di allenamento. Lo vedevo passare davanti a casa, avevo 15-16 anni, e una volta mi disse di andare a provare. Uno dei primi allenamenti fu la tratta Bellinzona-Monte Ceneri e ritorno, lungo la strada cantonale dove ai tempi non c’era traffico. Da lì a poco iniziai a partecipare alle prime gare. Ho poi coinvolto mio fratello Roby, il quale iniziò a confrontarsi su distanze più lunghe. C’è stato un periodo in cui lui vinceva i titoli svizzeri nella 100 e 50 km e io nella 20, nella 10 e nella marcia in salita. Con mio fratello e altri due atleti partecipavamo anche alla staffetta Airolo-Chiasso: io ero solito a coprire la tratta Bellinzona Stazione - Monte Ceneri, circa 15 km di cui 7 in salita. Il mio record era un’ora e otto minuti. Ai tempi avevo tra virgolette la fortuna di stare seduto in ufficio tutto il giorno, dunque finito il lavoro, estate o inverno, avevo una grande voglia di marciare e facevo anche 20 km, partendo dal ponte di Arbedo fino a Lodrino, andata e ritorno. Negli allenamenti più duri nel fine settimana si facevano anche fino a 40 km al giorno. Tutt’ora la marcia mi rilassa la mente ma allo stesso tempo mi dà adrenalina, quando faccio i miei 10 chilometri vorrei farne altri cinque. Non posso farne a meno. Mi è capitato di stare mesi senza poter marciare ed è stato tremendo. Andrò avanti finché la salute per lo permetterà».
Perché la marcia è oggi poco attrattiva?
«Purtroppo oggi vediamo i giovani orientati su sport di squadra perché sono motivati dalla compagnia. Non è più come ai miei tempi, quando durante le sedute di allenamento eravamo fino a 10 marciatori e si chiacchierava, ci si raccontava barzellette. C’è anche da dire che la marcia non dà tanti spiragli per ambire a diventare qualcuno, a farne un lavoro. Poi ai miei tempi le strade erano più sicure perché circolavano molte meno macchine. In Italia ci sono ancora atleti in grado di imporsi ai Mondiali o alle Olimpiadi, mentre in Svizzera il movimento è molto ridotto. In Ticino c’è qualcuno che si avvicina alla marcia ma in età già avanzata. Purtroppo mancano i giovani. Mi sarebbe piaciuto se ci fosse stata qualche nuova leva da seguire, mi sarei dedicato volentieri al loro allenamento».
Nonostante i tanti titoli nazionali vinti, ha rimpianti se pensa alla sua carriera?
«Sicuramente quello di non aver partecipato insieme a mio fratello alle Olimpiadi di Mosca nel 1980, visto che la presenza della Svizzera, a causa del boicottaggio diplomatico allo scopo di condannare l’intervento dell’Unione sovietica in Afghanistan, è stata incerta fino all’ultimo, pur se alla fine fu uno dei paesi che mandò comunque una delegazione ridotta senza bandiere nazionali elvetiche. Ma per noi fu troppo tardi. Io avevo 36 anni. Insieme a mio fratello eravamo pronti, avevamo fatto i tempi necessari, ma nei mesi precedenti ai Giochi si iniziò a dire che gli atleti svizzeri non sarebbero andati e abbiamo quindi abbandonato gli allenamenti. Purtroppo fu l’ultima possibilità di partecipare ai Giochi. Ma se ancora oggi marcio su questi livelli, è anche grazie a questa delusione, che in un certo modo ha tenuto vivo l’ardore, a differenza magari di altri che dopo aver partecipato ai Giochi hanno tirato i remi in barca e non si sono più sentiti. Fermo restando che alle Olimpiadi saremmo probabilmente arrivati tra gli ultimi, visto che eravamo gli unici non professionisti che si facevano 20 km di allenamento dopo una giornata di lavoro».
Cosa si sente di consigliare ai suoi coetanei?
«A una certa età, per stare bene è fondamentale il movimento, ma purtroppo oggi lo si fa sempre meno. È importante sforzarsi per cercare di camminare, oppure fare qualche esercizio di ginnastica a casa».