Il bellinzonese ha appreso dal padre parrucchiere l’arte del ‘giusto dosaggio tra il dire e il non dire’. Ora è il portavoce del Consiglio federale
Un ex alto funzionario della Confederazione, da qualche anno in pensione, si gode un timido sole leggendo ‘laRegione’ seduto a un tavolino del bar Gazzaniga. In via Camminata, svoltato l’angolo, un noto ex giornalista della Rsi passa veloce con dei libri sotto braccio. Un ex fotografo del nostro quotidiano, divenuto ristoratore, sbuca dallo Snack Bar Indipendenza e va incontro a grandi falcate all’«Arci», che saluta calorosamente.
‘Arci’ è Andrea Arcidiacono. Lo conoscono in tanti nel piccolo, grande mondo bellinzonese. Nessuno sa però che tra pochi giorni diventerà famoso in tutta la Svizzera. Il (futuro) portavoce del Consiglio federale è cresciuto proprio qui, in un appartamento in Piazza Indipendenza. E poco lontano, in Piazza Governo (un nome, un destino), nel Salone Pippo del padre parrucchiere ha imparato l’arte – essenziale per uno che si appresta ad assumere tale carica – della discrezione. O del «giusto dosaggio tra il dire e il non dire», come dice lui.
In questo pomeriggio di fine estate, Arcidiacono aspetta un treno per tornare a Berna. È reduce da una corsetta sulla golena del fiume Ticino. Correre (e nuotare) lo aiuta a staccare la spina, ad allentare la pressione. Nella Capitale federale, dove abita quasi ininterrottamente dall’inizio degli anni 90 («è la mia seconda patria»; e avendo già nuotato nell’Aar può ormai dirsi bernese doc), è solito macinare chilometri tra il Bremgartenwald, un bosco vicino a casa, e il quartiere del Viererfeld.
Non è solo questione di salute fisica e mentale. Le sue sono anche modeste incursioni sociologiche: «Correndo, incontro molte persone: gli anziani che passeggiano col cane, i ragazzi che giocano a frisbee, i profughi ucraini e di altri paesi che alloggiano nel villaggio container». Dal 2006 ‘Arci’ vive nel quartiere Länggasse, dove «c’è una bella diversità». Non è lontano dalla stazione Ffs. Il suo appartamento si trova a una ventina di minuti dalla sede della Cancelleria federale. «Andrò a lavorare a piedi», dice.
Il 58enne però ha sempre mantenuto stretti legami con Bellinzona, dove torna a cadenza regolare e ancora vive la mamma Luigina, una Canonica di Arbedo. Piazza Indipendenza, via Dogana, Piazza Governo (Piazza della foca, per i bellinzonesi): fino ai 19 anni, questo fazzoletto di città è stato «il mio campo base». Popolato da «mitici personaggi» come il ‘Marzietto’ Brenna, il barbiere Carletto Cattomio, i fratelli Ferraresi, il Plinio Grossi, il Fausto Tenchio, e via dicendo.
Il giovane ‘Arci’, il maggiore di quattro fratelli (due sorelle e un fratello), trascorre il tempo libero in Piazza Governo: giocando a pallone, oppure nel Salone Pippo, il negozio di parrucchiere che suo padre – originario di Catania – ha animato (non solo con le forbici, anche col suo estro e il suo apprezzatissimo trombone) per oltre 40 anni, fino al 2003. «Prima c’erano i compiti, a casa o accanto alla cassa registratrice. Poi insaponare, lavare i capelli, asciugarli, raccoglierli dal pavimento, pulire le tapparelle, andare al bar vicino a prendere il caffè per un cliente, altre commissioni in città. La ‘paghetta’ era ogni volta di 50 centesimi: con quei soldi, quand’ero in quinta elementare, ho comprato la mia prima bicicletta: una Mondia, mi è costata 500 franchi».
È sempre nel salone del padre, a due passi da Palazzo delle Orsoline (sede del governo ticinese), che – tra una barba e un taglio di capelli – “ho imparato ad ascoltare, conversare o tacere a seconda dell’umore dei clienti”, come spiega nel libro-intervista con Alain Berset sulla pandemia di coronavirus, pubblicato nel 2020 dall’editore bellinzonese Casagrande e dedicato “ai miei genitori, che mi hanno insegnato la resilienza”.
Pippo Arcidiacono annoverava alcuni consiglieri di Stato (Franco Zorzi, Fulvio Caccia, Ugo Sadis, Claudio Generali ecc.) tra i suoi “assidui clienti”. A loro – raccontava nell’agosto del 1995 Plinio Grossi nella ‘Rivista di Bellinzona’ – “piace farsi servire da questo barbiere sempre di buonumore, che sa però, secondo i casi, parlare o tacere, raccontare storie facete o trattare argomenti seri” e che col tempo si è guadagnato la fiducia di clienti illustri e non trasformandosi di volta in volta in “animatore, confidente, consigliere”. “Se sento qualche anticipazione, me la tengo per me. Adotto una sorta di segreto professionale”, spiegava Pippo (deceduto nel 2012) in un’intervista a ‘laRegione’ nel gennaio del 1998.
Il piccolo Andrea quei personaggi li guarda “con un misto di ammirazione e rispetto”. E intanto assorbe “in modo inconsapevole le conversazioni e il racconto dei loro avvenimenti”, «immergendomi in un mondo affascinante». Anche se “è solo più in là con gli anni – scrive sempre nel libro su Berset e la pandemia – che mi sono reso conto di essere stato contagiato, in quel periodo particolare, dal virus della politica”. Nel mezzo, una laurea in economia aziendale all’Università di San Gallo.
Poi il ritorno a Bellinzona. Per il suo primo lavoro: al ‘Corriere del Ticino’, nella redazione di Piazza Collegiata, assieme ai cronisti Bruno Pellandini, Mauro Veziano e Luca Bernasconi. Il direttore del ‘CdT’ Sergio Caratti lo manda qua e là come inviato speciale. E quando nel 1993 Monica Piffaretti viene scelta come direttrice de ‘laRegioneTicino’, lui prende il suo posto come corrispondente parlamentare del ‘Corriere’ a Berna, dove affianca Giuseppe Rusconi.
Altri tempi, altro giornalismo: Internet non c’era ancora, i ‘social media’ tantomeno. «Si lavorava già a un bel ritmo, ma niente a che vedere con quelli odierni. Stavamo nella ‘cave’ [cantina in italiano, ndr], nel piano interrato di Palazzo federale, detta così perché non c’erano finestre. C’erano giornalisti e corrispondenti da tutta la Svizzera. Grandi firme: come Georges Plomb, corrispondente de ‘La Liberté’ [ancora oggi lo si può trovare ogni giorno al quinto piano del ‘Medienzentrum’, alle spalle di chi scrive, ndr], che per noi giovani era una specie di mito e a me sembrava un personaggio uscito da un film; oppure Raul Lautenschütz, Martin Schläpfer, Bruno Vanoni, e così via». Nel 1996 passa alla Televisione della Svizzera italiana, allora Rtsi. Lavora con il ‘Baco’, il compianto Corrado Barenco, e Daniele Piazza.
Dal giornalismo alla comunicazione, il passo è breve. Nel 1998 diventa portavoce della consigliera federale Ruth Dreifuss e vice capo stampa del Dipartimento federale dell’interno (Dfi). Resta cinque anni, fino al 2002. L’anno successivo torna di nuovo in Ticino, come responsabile della comunicazione dell’Università della Svizzera italiana. Nel 2007 si riaccasa – stavolta definitivamente, almeno fino ad oggi – a Berna.
Da allora Arcidiacono transita una seconda volta dal Dfi (portavoce del consigliere federale Pascal Couchepin), fa una capatina nel giornalismo (responsabile della redazione di lingua italiana della piattaforma online Swissinfo) e in seguito lavora come specialista in comunicazione per il Tribunale amministrativo federale, Presenza Svizzera (in seno al Dipartimento federale degli affari esteri) e l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp, sempre al Dfi). Nel 2019 si mette in proprio: fonda l’agenzia di comunicazione multilingue Arcidiacono Consulting Partners. Tra i suoi principali clienti, l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (Ufas), l’Ufsp e lo studio legale dell’ex consigliere nazionale nonché presidente del Plr svizzero Fulvio Pelli.
Arcidiacono è affabile, riservato, modesto. Ha occhi vispi, il volto – sovente serio – a tratti si apre in un sorriso. Scherza, a volte ride di gusto. Ascolta a lungo l’interlocutore, prima di dire la sua. “Saper ascoltare – ha scritto sul sito della Arcidiacono Consulting Partners – permette di aprire nuove porte, mettere in relazione persone nuove e allargare i propri orizzonti con un denominatore comune essenziale: l’attenzione per la qualità”.
Il ticinese misura le parole, le sceglie con cura. Ricorda per certi versi André Simonazzi, il suo predecessore stroncato pochi mesi fa in montagna da un infarto, “un portavoce che preferibilmente non dice niente” (‘Tages-Anzeiger’). Non è peraltro l’unica (apparente?) somiglianza tra i due, accomunati – oltre che dal nome – dalla musica (il vallesano suonava il violino, Arcidiacono la fisarmonica e l’organo elettrico) e da un percorso professionale in parte simile (entrambi sono stati giornalisti e portavoce di consiglieri federali).
Diversamente da Simonazzi (membro del Ps, ma nessuno se n’era mai accorto), Arcidiacono è senza partito. Parla perfettamente le altre due principali lingue nazionali e l’inglese. Porta in dote alla Cancelleria federale anche una vasta rete di contatti: sia nella Berna federale che nel resto della Svizzera, nell’amministrazione federale come nella politica, nel mondo della comunicazione così come in quello dei media. Si definisce scherzosamente «news addicted» [dipendente dalle notizie, ndr]: «Comincio alle 6 con le notizie a radio Srf, alle 6.45 ascolto la rassegna stampa su radio Rts. Durante il giorno e i weekend leggo i giornali. E la sera… ‘Echo der Zeit’, ‘Seidisera’, lo zapping fra i telegiornali di Srf e Rts, il Tg alla Rsi. Spesso anche trasmissioni come ‘Falò’, ‘Infrarouge’, ‘Rundschau’, ‘Arena’. E se ce la faccio, ‘10 vor 10’». Anche se molti di loro sanno a malapena chi è, lui già conosce i nomi di «un bel po’» dei giornalisti accreditati a Palazzo federale.
Sono risorse preziose per un’istituzione che vive un periodo piuttosto delicato. Dapprima le dimissioni del cancelliere Walter Thurnherr, rimpiazzato a inizio gennaio da Viktor Rossi. Poi in maggio l’improvvisa morte di Simonazzi. Infine, la vicenda delle firme ‘taroccate’ emersa a inizio settembre. Senza dimenticare le differenze di vedute – finite regolarmente sulla pubblica piazza negli scorsi mesi – tra i membri del collegio governativo, ognuno con le sue priorità, il suo ego e il suo potente staff della comunicazione.
Il ticinese non si sbilancia. Si limita a dire che avrà «la fortuna di praticare il mestiere che più mi piace: la comunicazione politica». Per il resto, la sfida sarà tanto banale quanto complessa: «Riuscire a farsi capire, comunicare in modo semplice». Dice di essere lui stesso così: «Sono uno che va per la via più diretta. Per me ‘less is more’ [meno è di più, ndr]».
Le occasioni per dimostrarlo non mancheranno: già nelle prossime settimane gli toccherà spiegare nel modo più semplice possibile le scelte del Consiglio federale in materia di politica europea, tra i dossier più ostici e politicamente esplosivi nella Berna federale.
Lui farà come al solito. Come ieri mattina, poche ore prima della conferenza stampa in cui è stata annunciata la sua nomina: andrà a correre al Bremgartenwald. Perché con il corpo e la mente in movimento, persino «la responsabilità e l’onore» della prestigiosa carica appaiono sotto un’altra luce. A Berna come a Bellinzona.