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Le mille vite (tutte a destra) del neoministro Giuli

Da militante neofascista a intellettuale organico a Fdi e pretoriano (senza laurea) di Meloni. La scalata al governo del successore di Sangiuliano

Il nuovo ministro della Cultura italiano Alessandro Giuli
(Keystone)
10 settembre 2024
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Militante di estrema destra, cronista politico, opinionista televisivo, intellettuale d’area e da qualche giorno anche esponente di spicco del governo Meloni. Forse il nuovo ministro della Cultura Alessandro Giuli non avrà una laurea – particolare che ha suscitato non poche polemiche all’indomani del suo insediamento al Collegio Romano – ma di certo ha seguito il cursus honorum del perfetto pretoriano di Giorgia Meloni.

La sua nomina è giunta al termine dell’intrigo politico-sentimentale di fine estate costato il posto al suo predecessore, ma è stato tutto fuorché un colpo di scena: il nome di Giuli era infatti circolato con una certa insistenza già nell’ottobre del 2022 – prima che la casella della Cultura fosse assegnata a Sangiuliano per salvaguardare gli equilibri interni alla maggioranza – ed era nota anche la stima di Giorgia Meloni, che conosce da una vita ma con cui confessa di aver stretto amicizia “dopo una lite in tv”. In quell’occasione Giuli dovette ripiegare su una comunque prestigiosa presidenza del MAXXI, istituzione d’arte contemporanea tra le più influenti in Italia, ma era chiaro a tutti che il grande salto nella politica vera era solo stato rimandato.

Un nonno con il Duce, l’altro partigiano

Quella di Alessandro Giuli è una storia inequivocabilmente di destra, molto a destra. E del resto non poteva che essere così. Il nonno paterno si distinse per aver fatto tutta la trafila del fascismo, dalla marcia su Roma alla Repubblica di Salò, e suo padre ne seguì diligentemente le orme da sindacalista iscritto al Movimento sociale italiano, cresciuto nella convinzione che la Resistenza lo avesse privato di un futuro da latifondista.


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Il giuramento di Giuli davanti a Meloni e Mattarella

A dire il vero Giuli un nonno partigiano ce lo avrebbe anche, quello materno, ma non sembra aver ricoperto un ruolo centrale nel suo processo di formazione politica, visto che a 14 anni il futuro ministro della Cultura già militava nel Fronte della gioventù, l’organizzazione giovanile dell’Msi che ha battezzato politicamente anche Giorgia Meloni. Qui Giuli sviluppa una passione per i riti neopagani della destra romana – che ogni anno si ritrova per celebrare il Solstizio d’Inverno, per dirne una – e si avvicina a Pietrangelo Buttafuoco, l’unico altro intellettuale di destra veramente spendibile a livello istituzionale, anche lui nei giorni scorsi finito sul taccuino della presidente del Consiglio come papabile successore di Sangiuliano.

Un percorso diverso

Al contrario di Meloni e del suo cerchio magico, però, Giuli non si lascia irretire troppo a lungo dalla promessa dello “sfondamento a sinistra” teorizzata dall’allora segretario dell’Msi Pino Rauti, che voleva un partito più movimentista e attento alle tematiche sociali. E così quello che per molti militanti di estrema destra ha rappresentato il punto d’arrivo di una parabola politica, per Giuli diventa l’inizio di un processo di radicalizzazione. Nel 1992, a soli 17 anni, aderisce a Meridiano Zero, organizzazione neofascista fondata da Rainaldo Graziani (figlio del dirigente di Ordine nuovo Clemente) che invita alla tecnoribellione, una forma radicale di avversione al progresso tecnologico in salsa conservatrice. La matrice del movimento è abbastanza inequivocabile, traendo il suo nome dagli scritti del filosofo nazionalista Ernst Jünger e il simbolo dalla runa di Algiz, già vessillo dell’opera femminile tedesca e del Progetto Lebensborn, entrambi varati dal Partito nazionalsocialista tedesco.

Il progetto avrà vita breve, poco più di due anni, e sarà sciolto dai suoi stessi fondatori che, temendo gli effetti della legge Mancino contro l’odio razziale appena approvata, comunicano alla Digos di voler proseguire le attività superando la “logica neofascista”, che comunque, ammettono, “abbiamo rappresentato, e di questo siamo fieri”.


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Gennaro Sangiuliano, il predecessore

Siamo alla fine del 1993 e un Alessandro Giuli appena maggiorenne ha già almeno due vite politiche alle spalle. A questo punto della storia la biografia di Giuli è più o meno quella che chiunque si aspetterebbe di leggere: discendente di una famiglia della piccola borghesia romana, neodiplomato al Liceo Tasso come buona parte della futura classe dirigente del Paese, ultrà della Roma, saluti romani, tante botte date e altrettante prese, quasi tutte per ragioni di fede politica. Inizia a studiare filosofia alla Sapienza, dove coltiva la passione per il neopaganesimo e si avvicina al pensiero di Julius Evola, il filosofo tradizionalista più letto tra i neofascisti con ambizioni da intellettuali. Qui Giuli sembra mettere la testa a posto e supera tutti e 30 gli esami del suo piano di studi, ma non discuterà mai la laurea. Perché nel frattempo è già proiettato in un’altra vita, l’ennesima.

Il passaggio al Foglio

Dopo aver dato vita senza troppa fortuna ad alcune pubblicazioni radicali minori, Giuli viene notato da Giorgio Dell’Arti, giornalista e scrittore che all’inizio degli anni Duemila lo porta al Foglio del lunedì, al tempo in mano alla famiglia Berlusconi. In una recente intervista rilasciata al Corriere della Sera, Giuli ha raccontato che il colloquio di lavoro per entrare in redazione è durato appena tre secondi e ha contemplato una sola domanda: “Sei berlusconiano?”. Risposta negativa. Assunto. Preso per mano da Dell’Arti e sotto la guida del direttore del Foglio Giuliano Ferrara, Alessandro Giuli imbocca il sentiero della redenzione che trasformerà la testa calda della borghesia nera romana nell’intellettuale organico che abbiamo imparato a conoscere.

Al Foglio lavorerà in tutto per 13 anni, prima come cronista politico e poi come vice e co-direttore, iniziando da lì a frequentare i salotti televisivi che contano. Sempre impeccabile, cravatta a righe e giacca di lino, Giuli è noto per essere un polemista garbato, che raramente alza la voce, ma che altrettanto di rado retrocede dalle proprie posizioni. Una verve che lo ha portato dritto fino alla conduzione di alcune dimenticabilissime trasmissioni Rai, tra le quali Vitalia, spazio in seconda serata dedicato alla scoperta delle radici pre-cristiane e in questi giorni diventato virale sul web per un video in cui lui suona (male) un flauto in un campo di grano, prima di recitare un’orazione in latino alla dea romana della fertilità. Per insondabili motivi la trasmissione si rivelò un flop.


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Giuli nei boschi nella trasmissione Vitalia

Chi lo conosce descrive Giuli come un appassionato di sigari e vini pregiati, con l’aria da dandy dinoccolato e la prosa ampollosa di chi ha letto tanta filosofia. Ma quel passato nell’estrema destra neofascista è una pagina troppo importante per essere ridotta a semplice errore di gioventù e nel 2007 lo stesso Giuli ha provato a fare i conti con la sua storia, dando alle stampe per Einaudi un volume intitolato ‘Il passo delle oche’ dedicato a “l’identità irrisolta dei postfascisti”, ancora troppo legati all’esperienza del Ventennio. Una critica che gli costerà il rapporto con Gianfranco Fini, padre nobile della destra italiana. Il saggio successivo, dedicato – manco a dirlo – al culto pagano di Cibele romana, Giuli lo pubblicherà comunque con Settimo Sigillo, casa editrice di estrema destra nel cui catalogo trovano spazio pubblicazioni esplicitamente antisemite e filo-naziste. Certe abitudini sono dure a morire.

Il salto al MAXXI

Poi, come detto, la grande occasione alla direzione del Maxxi, che Meloni gli ha affidato nell’ottica di perseguire quella rivalsa sulla storia che compenserebbe i decenni passati a essere ingiustamente esclusi dai gangli politici e culturali del Paese, che nell’autonarrazione di Fratelli d’Italia sono stati tutti costantemente occupati dalle forze progressiste. Una missione che Giuli ha fatto propria, provando a dare un’interpretazione conservatrice della cultura museale. Con qualche scivolone, come quando nel giugno del 2023 organizzò un dibattito con Morgan e Vittorio Sgarbi, invitati per parlare di arte e musica ma ben presto immortalati a discettare di prostata con toni nemmeno troppo sorprendentemente sessisti. Una scena che fece il giro dei media italiani e che si chiuse con una lettera di scuse dell’uomo che oggi siede al ministero della Cultura.

Un piccolo incidente di percorso in un’esperienza tutto sommato positiva per Fratelli d’Italia, che in breve tempo si è vista traghettata da un panorama culturale limitato a qualche scorribanda nella produzione letteraria di Tolkien a un pantheon fatto di figure recuperate dal neoministro. Come nel caso di Giuseppe Bottai, fascista della prima ora e sottoscrittore del Manifesto della Razza a cui Giuli ha dedicato uno dei primi talk del museo. Meloni ha apprezzato il lavoro dei Giuli. Anzi, dei Giuli, visto che nel frattempo sua sorella Antonella, dopo aver lavorato come portavoce del ministro Lollobrigida, è stata assunta all’ufficio stampa della Camera dei deputati.

Putin e Trump sì, Vannacci no

Le ultime notizie su Giuli prima della nomina risalgono al maggio del 2024, quando nelle librerie italiane fece il suo debutto ‘Gramsci è vivo. Sillabario per un’ideologia contemporanea’, ultima fatica letteraria dell’ex missino. Il volume, che può essere considerato una sorta di manifesto del Giuli-pensiero, è un accorato appello alla destra post-fascista e alla necessità di costruire un dialogo con la sinistra, un invito a utilizzare la cultura per ritagliarsi una nuova immagine da destra aperta e dialogante. “Non rinuncio alla mia storia, rinuncio a declamarla come Vannacci”, spiegò tra gli applausi nella prima presentazione romana del libro. Nei giorni successivi la nomina a ministro della Cultura, però, è tornato a circolare un vecchio video risalente al 2016, in cui Giuli racconta ad Atreju – la manifestazione giovanile di Fratelli d’Italia – della sua fascinazione per Donald Trump e “per un altro patriota che si chiama Vladimir Putin e sta a Mosca”. Alla faccia della destra moderna.


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Giuli con serpente

Nei suoi 48 anni di vita Alessandro Giuli è stato tante cose, ma anche il loro esatto contrario. È stato un neofascista e poi anche il teorico della necessità di superare la nostalgia del Ventennio. È stato un cronista politico che è passato dall’altra parte della barricata. È stato un fan della peggiore destra a ogni latitudine, che oggi scrive libri su come aprire un dialogo maturo con le forze di sinistra. La nuova, ennesima, vita di Alessandro Giuli inizia oggi: chissà che non sia quella definitiva.

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