Trascurato fino all'epidemia del 2022, il vaiolo delle scimmie preoccupa per la comparsa di un nuovo ceppo. Che colpisce soprattutto l'Africa
Fino a un paio di anni fa il vaiolo delle scimmie era una delle tante – e neanche la più preoccupante – “malattie tropicali neglette”, quelle malattie che colpiscono una parte importante della popolazione mondiale ma lo fanno lontano dai riflettori dell’opinione pubblica occidentale e dagli interessi delle industrie farmaceutiche, sostanzialmente perché riguardano i Paesi poveri. Il vaiolo delle scimmie o mpox, come è stato ribattezzato dall’Organizzazione mondiale della sanità, è endemico in Africa centrale e occidentale, con migliaia di casi registrati ogni anno (e probabilmente molti di più quelli effettivamente avvenuti), verosimilmente con alcune specie di roditori a fare da “serbatoio animale” per il virus.
Poi nel 2022 il virus è arrivato al di fuori della sua “zona di diffusione”, ottenendo l’attenzione di tutti: un’epidemia iniziata nel Regno Unito e arrivata in tutto il mondo, con circa centomila casi confermati e circa duecento morti; in Svizzera i casi segnalati di mpox sono stati poco più di cinquecento, senza morti. Il contagio tra esseri umani avviene soprattutto tramite contatto con la pelle e le mucose, ma è possibile trasmettere la malattia anche per via aerea, con i ‘droplet’ che abbiamo imparato a conoscere durante la pandemia di Covid, per quanto sia poco frequente. L’epidemia di mpox del 2022-23, ma non quella attuale, si è diffusa principalmente tramite rapporti sessuali, coinvolgendo soprattutto uomini e persone transgender che hanno rapporti sessuali con più partner maschili.
Diversa la situazione per l’epidemia di mpox iniziata in Africa centrale lo scorso settembre, sia perché i casi sono al momento limitati ai Paesi africani, e in particolare alla Repubblica Democratica del Congo dove i morti sono già stati oltre cinquecento, sia perché (vedi più avanti) a diffondersi è un ceppo più aggressivo. Il 14 agosto l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, ha dichiarato questa epidemia una “emergenza di salute pubblica internazionale”; il giorno successivo si è registrato il primo caso di questo ceppo in Europa, ma si tratta di una persona che si è contagiata in Nigeria e le autorità europee hanno rassicurato la popolazione sul fatto che in Europa l’mpox non è un’emergenza. A ragione: i problemi al momento sono tutti in Africa e non a caso la dichiarazione dell’emergenza da parte dell’Oms è stata di poco preceduta da quella dei Centri africani per la prevenzione e il controllo delle malattie (la prima dalla loro fondazione nel 2017).
Il virus dell’mpox appartiene alla stessa famiglia di quello del vaiolo “classico”, la prima (e per ora unica) malattia eradicata dopo una imponente campagna di vaccinazione che si è conclusa negli anni Settanta del Novecento. Proprio l’eradicazione del vaiolo potrebbe aver giocato un ruolo nella diffusione dell’mpox in Africa: la protezione data dal vaccino per il vaiolo – non più obbligatoria da una cinquantina d’anni – si estende anche all’mpox con un’efficacia intorno all’80%. La sospensione delle vaccinazioni contro il vaiolo avrebbe quindi creato una sempre più vasta fascia della popolazione suscettibile all’mpox.
Il bicchiere mezzo pieno di questa storia è che abbiamo già un vaccino per questa malattia, e pure recente: nonostante il vaiolo risulti, come detto, eradicato, per prudenza la ricerca è proseguita e una decina di anni fa è stato approvato un vaccino di terza generazione prodotto dalla compagnia danese Bavarian Nordic (che ha un impianto di produzione a Thörishaus nel Canton Berna). Il prezzo di una dose (e ne servono due per ottenere l’immunizzazione completa) è intorno ai cento dollari; la compagnia ha già donato ai Paesi africani colpiti 15mila dosi (sufficienti a immunizzare lo 0,007% della popolazione della Repubblica Democratica del Congo) e ha annunciato la collaborazione con diversi partner internazionali per far arrivare più dosi. Il timore è che, come accaduto con i vaccini contro il Covid, i Paesi ricchi acquistino più dosi del necessario riducendo la disponibilità del vaccino dove in questo momento ce ne sarebbe più bisogno.
Sono due i ceppi più diffusi del virus dell’mpox: il primo, chiamato “Clade del bacino del Congo” o “Clade I”, sviluppa una malattia più grave, con un tasso di letalità che va dall’1% al 10%; il secondo, chiamato “Clade dell’Africa occidentale” o “Clade II”, si è finora dimostrato meno pericoloso. L’epidemia del 2022-23 era provocata da una variante di quest’ultima clade, e infatti il tasso di letalità è stato inferiore allo 0,2%, in pratica un morto ogni 500 casi confermati.
L’epidemia attualmente in corso in Africa centrale è invece provocata da una variante del Clade I, denominata Clade Ib. Trattandosi di una nuova variante non ne si conoscono con precisione le caratteristiche; al momento il tasso di letalità è intorno al 3%, ma sia il numero di casi sia il numero delle vittime sono verosimilmente sottostimati a causa delle carenze nei sistemi sanitari dei Paesi colpiti. Per quanto riguarda la trasmissibilità, il fatto stesso di trovarsi di fronte a un’epidemia lascia intendere una maggiore facilità di contagio da un individuo all’altro: al contrario dell’epidemia del 2022-23, quella del Clade II, quella in corso non si trasmette prevalentemente tramite rapporti sessuali ma sono sufficienti contatti ravvicinati. Per quanto vi siano casi confermati di trasmissione per via aerea, al momento l’mpox non è una malattia respiratoria come il Covid.
Il periodo di incubazione dell’mpox è di una-due settimane: possibili nuovi casi di Clade Ib arriveranno quindi da chi, per lavoro o turismo, ha viaggiato in aereo da uno dei Paesi dell’Africa centrale colpiti, non certo da migranti che impiegano mesi o anni prima di arrivare in Europa.
I sintomi dell’mpox sono quelli generici delle malattie infettive: febbre, dolori muscolari, affaticamento e mal di testa. Pochi giorni dopo la comparsa dei sintomi, arrivano le lesioni della pelle (vescicole o pustole), localizzate soprattutto ai palmi delle mani e sulle piante dei piedi. Se si ricevono le cure adeguate, si guarisce solitamente in un paio di settimane; c’è tuttavia il rischio di complicazioni, come polmoniti, encefaliti o infezioni delle lesioni sulla pelle. C’è inoltre il rischio di rimanere con cicatrici o di avere danni alla vista dovuti a lesioni alla cornea.