laR+ stati uniti

Trump, il supercandidato del partito che non esiste più

I repubblicani viaggiano con il vento in poppa e il favore dei sondaggi, eppure sono stati spolpati dalle molteplici derive del ‘Make America Great Again’

Un uomo solo al comando
(Keystone)
20 luglio 2024
|

“U-S-A! U-S-A!”, la convention repubblicana di Milwaukee si è chiusa sullo stesso coro patriottico che si era alzato spontaneamente dalla folla dopo l’attentato subìto da Trump in Pennsylvania, ma l’eco degli spari – nonostante il vivido racconto finale dell’interessato – sembra già lontanissima. L’evento che secondo alcuni aveva chiuso con quattro mesi d’anticipo i giochi per le elezioni di novembre, in meno di una settimana è scivolato tra le note a piè di pagina degli atti del congresso di quelli che, sulla carta, avrebbero dovuto trarne il massimo profitto politico. C’entra il fatto che per fortuna Trump ne sia uscito praticamente illeso, e c’entra la frenesia bulimica del ciclo della notizia durante una campagna presidenziale, ma soprattutto l’impossibilità di imporre ai fatti una narrativa politica chiara.

Il calderone mediatico

Diversi repubblicani nelle prime ore si erano precipitati a dare la colpa al “deep state”, alla persecuzione di Trump da parte dei democratici o direttamente a Joe Biden, ma il ventenne Thomas Matthew Crooks era registrato come elettore repubblicano, e soprattutto indossava una t-shirt di Demolition Ranch, canale YouTube texano per fanatici delle armi che non spopola certo tra i progressisti.


Keystone
‘Combatti, combatti, combatti’

In fasi così concitate i commentatori politici cadono talvolta nella tentazione di guardare i fatti come gli aruspici osservavano le nuvole: per predire il futuro, invece che per ripararsi dalla pioggia. Al momento infatti l’attentato del 13 luglio sembra aver prodotto un solo vero risultato, quello di concedere ai Democratici un graditissimo break dell’attenzione mediatica sul problema dell’età di Biden e di una sua eventuale sostituzione (che poi però è ugualmente precipitato per la positività del presidente al Covid-19, al punto che molti si aspettano novità già nel weekend).

Questo non significa che la convention repubblicana si sia svolta su toni lievi o incruenti: agli interventi politici più strutturati si sono alternate tragiche testimonianze personali sui flagelli dell’America di oggi (cioè democratica), tra le quali hanno suscitato particolare emozione quelle di alcune madri che hanno perso i figli, per overdose di fentanyl o per accoltellamento, e ne ritengono in qualche modo Joe Biden direttamente responsabile. Elegie familiari nelle quali i padri non esistono, convogliando il racconto di una nazione debole ed evirata, che ha bisogno di un uomo forte a proteggerla.

Il fattore Vance

Non sorprende quindi che a emozionare la platea con un omaggio ai dieci anni di sobrietà della madre sia stato l’uomo nuovo di questa Convention, il 39enne senatore dell’Ohio J.D. Vance, che Trump ha scelto come candidato vicepresidente. Si è scritto molto sulle sue origini di ex marine e “scrittore”, come dei suoi trascorsi di radicale contrarietà a Trump (una brillante vignetta del New Yorker lo immagina mentre gli telefona: “Ancora una volta, sono mortificato di averla definita ‘l’Hitler americano’, e lieto che lei l’abbia preso come un complimento”) e forse meno sulla valenza politica di questa nomina. Il senatore Marco Rubio avrebbe aiutato Trump con l’elettorato latinoamericano, il governatore del North Dakota Doug Burgum con la destra vecchio stampo del mondo degli affari.


Keystone
Il candidato vicepresidente J. D. Vance con la moglie

Optando per J.D. Vance, che forse è perfino alla sua destra, Trump ha scelto fondamentalmente di specchiarsi nel suo vice, un altro mangiafuoco abilissimo a soffiare sul risentimento dei bianchi impoveriti e della classe operaia colpita dalla deindustrializzazione in Stati come Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, che hanno deciso le elezioni del 2016 e del 2020 e che evidentemente, secondo Trump, decideranno anche queste.

Ma prima ancora delle considerazioni tattiche, scegliendo Vance, Trump ha fatto come quei comandanti che all’arrivo in terra straniera davano fuoco alle navi, per mostrare ai soldati che non si poteva più tornare indietro. Come dichiarato da suo figlio Eric un paio d’anni fa, “il Partito repubblicano non esiste più”, esiste solo il “partito di Trump” del Make America Great Again. Questa è stata forse la novità più impressionante di questi giorni in Wisconsin.

In passato le convention repubblicane rappresentavano un defilé delle molte anime, e delle molte identità, della destra americana. Vi si incontravano predicatori cristiani ossessionati dalle armi, economisti col papillon, giovani broker col fisico da canottieri e il taglio di capelli da undicenni, avvocati latinoamericani, cantanti country dal trucco pesante, pingui rampolli del petrolio con la spilla della confraternita del college, lottatori professionisti, ereditiere del New England innamorate del proprio cavallo.


Keystone
Kai Madison Trump, nipote 17enne del tycoon

Non che quest’anno siano mancate la varietà e l’istrionismo, dal delegato che è riuscito ad arringare una folla di adulti a ruggire in coro come leoni a quello che ha lanciato la moda di incollarsi un post-it all’orecchio per rendere omaggio al bendaggio di Trump dopo l’attentato, fino all’intervento spiritato di Hulk Hogan, ma i presenti sembrano essere accomunati soprattutto dalla personale devozione per il leader. Coi badge al collo e gli occhi luccicanti di entusiasmo, ne parlano sul palco e nelle interviste con un misto di confidenza e soggezione, come del megadirettore galattico a una convention aziendale. Questo quando non lo chiamano direttamente “papà” o “nonno”: la convention mostra ormai tratti endogamici, e tra gli oratori c’è una percentuale sproporzionata di figli, nipoti, cognati e nuore di Trump, ultima new entry la reginetta del liceo Kai, che lo ha descritto come “un nonno normale, che ci dà dolcetti e bibite quando i genitori non guardano” (ha diciassette anni).

I cloni del tycoon

Qualcuno ha osservato addirittura una tendenza mimetica negli alti papaveri del partito, che sempre più spesso vengono fotografati in una replica dell’outfit abituale del capo: abito blu a due bottoni, camicia bianca, cravatta rosso magenta lunga e svolazzante, ma allacciata strettissima.


Keystone
Il trumpiano Hulk Hogan

Le possibili interpretazioni di questa repentina contrazione dell’immaginario del partito di Abraham Lincoln sono soltanto due: o il Partito repubblicano è regredito a uno stato prepolitico o è, in un certo senso, il partito più evoluto del mondo, una pura macchina propagandistica che non ha nemmeno più bisogno di un vero programma, al massimo di più cappellini.

La convention avrebbe infatti dovuto delineare le politiche da seguire una volta riconquistata la Casa Bianca, ma molti osservatori hanno notato – al di là di una vera e propria ossessione per il confine col Messico, sulla cui necessaria militarizzazione non si può dire che ai delegati mancassero le idee chiare – una certa vaghezza. Sull’economia ci si è per lo più limitati a reiterare l’ultima trovata di Trump, quella della detassazione delle mance (se avete mai fatto turismo negli States, sudando per calcolare le percentuali su ogni taxi e conto al ristorante, potete immaginare quanto il tema sia sentito), e perfino sulla questione scottante dell’aborto non si è fatto molto di più che ribadire un generico sentimento pro-life.

Il “Progetto”

Un vuoto nel quale da qualche settimana i Democratici, a cominciare da Biden, si sono gettati agitando lo spauracchio del “Project 2025”, il cui titolo da piano diabolico della Spectre è forse l’aspetto meno sinistro. Elaborato dall’influente (e imbottito di ex collaboratori di Trump) think tank conservatore Heritage Foundation, sottoscritto da più di 100 organizzazioni affini, “Project 2025” consiste nell’addestramento preventivo di alcune migliaia di funzionari di governo, “conservatori ben armati” secondo le parole della Fondazione stessa, pronti a entrare in azione il giorno dopo la rielezione di Trump per realizzare in poco più di 100 giorni una to-do-list di 900 pagine che sembra ideata dal quartier generale repubblicano de I Simpson, quello con Nosferatu e il signor Burns: mettere l’Fbi sotto il controllo diretto del Presidente, abolire le agenzie per le politiche ambientali e per l’istruzione (e a buon peso, di un bel pezzo del governo federale nel suo complesso), limitare l’aborto e ristabilire una “concezione biblica” del matrimonio, proibire la pornografia e liberalizzare il prezzo dell’insulina.


Keystone
Quel che resta della festa

Scovato e discusso inizialmente dagli utenti di TikTok, materia di appelli allarmati di popstar come Lizzo, dopo un tweet di Biden che diceva soltanto “Googlate Project 2025”, il progetto è stato soprannominato “l’incubo di Taylor Swift” perché ha superato la cantante per mole di ricerche.

L’idea di un Trump tigre di carta, maneggiato da un gruppo di fanatici conservatori per portare avanti la loro oscura agenda, ha avuto un tale successo che il candidato negli ultimi giorni si è deciso a prendere le distanze, sottolineando di non avere alcun rapporto diretto né col piano né con la Heritage Foundation (della quale però, nel suo precedente mandato, ha realizzato oltre il 60% delle “raccomandazioni” di policy).

Mai tradire il capo

Se davvero si vuole provare a leggere in filigrana la postura psicopolitica del Maga, forse bisogna guardare a uno degli interventi di mercoledì, quello di Peter Navarro, ex consigliere di Trump scarcerato la mattina stessa dopo quattro mesi di carcere per essersi rifiutato di testimoniare davanti al Congresso sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Per due giorni e mezzo la questione Capitol Hill era stata trattata come uno scheletro nell’armadio, di fatto neppure menzionata.

Navarro, un economista di 75 anni con l’aria sorniona da attore hollywoodiano in pensione, che immaginare nei panni del galeotto è di per sé tragicomico, ha reagito all’ovazione iniziale con una battuta azzeccata: “E dovreste vedere il tatuaggio Maga che mi sono fatto quando ero dentro”. Poi ha cambiato decisamente tono: “Mi hanno chiesto di tradire Donald J.Trump per salvarmi la pelle, e io ho rifiutato”. E ancora: “se non prendiamo il controllo di tutti e tre i rami del governo, il governo controllerà noi, mettendo in carcere gente come me e Steve Bannon”. L’ovazione alla menzione di Bannon, principe delle tenebre teoricamente caduto in disgrazia del trumpismo della prima ora, in carcere da due settimane con le stesse ragioni e la stessa pena di Navarro, dice molto del senso finale di questa convention.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔