La testimonianza di Manlio della Bosca, 52enne che sabato si trovava proprio nella frazione della Val Bavona travolta dalla frana che ha ucciso 3 persone
Gli occhi e la voce di Manlio Della Bosca, 36 ore dopo aver visto l’inferno, tremano ancora. Come hanno tremato il terreno, le pareti, i vetri e persino l’aria, nella notte tra sabato e domenica a Fontana. Lui era lì, con la compagna Alda, nella casetta di famiglia di quest’ultima, situata più precisamente tra Fontana e Mondada (la frazione precedente risalendo la valle). Erano lì quando tutto è cominciato e fortunatamente erano ancora lì quando la montagna ha smesso di vomitare i massi e i detriti che hanno tagliato in due il piccolo nucleo della Valle Bavona. Tanto altro però non c’era più. Case, alberi, prati, la strada. Tutto spazzato via da una frana gigantesca che con una violenza inaudita si è presa anche la vita di almeno tre persone (quelle finora accertate). Manlio ne conosceva una, ha provato ad aiutarle tutte, non ha potuto farlo.
«Sembrava una serata come un’altra, pioveva e tuonava anche forte, ma tutto piuttosto normale per la zona, tanto che abbiamo persino cenato fuori – ci racconta, facendo delle pause per trovare la forza di rievocare quanto vissuto, il 52enne di Bignasco –. Poi, verso l’una di notte, tutto è cominciato. Sono caduti dei sassi dalla cascata di Mondada, ma siamo rimasti relativamente tranquilli in quanto si trovava dalla parte opposta della valle rispetto a noi. D’un tratto però abbiamo sentito “soffiare” fortissimo dietro casa, tanto da mandare in frantumi il vetro del bagno al terzo piano e far entrare del fango. I muri hanno iniziato a tremare, mi sono affacciato alla porta e ho visto i sassi volare giù dal tetto, in pratica saltando via la casa. A quel punto non potevamo fare altro che rifugiarci all’interno e aspettare».
Un consiglio che Manlio e la sua compagna hanno dato anche alle tre donne germaniche della cascina vicina, con le quali erano in contatto. Senza però riuscire a convincerle… «Avevano paura e volevano venire da noi a tutti i costi, ma purtroppo sono uscite nel momento sbagliato e non sono mai arrivate». La sua voce si spezza. Riprende. «Due le ho ritrovate io, non c’era più niente da fare». Della loro casa, ne è rimasta la metà.
I due ticinesi invece, dopo aver atteso all’interno che il peggio fosse alle spalle, si sono spostati «un po’ più in basso, in una zona risparmiata dalla frana dove c’era una casa con altre quattro persone che conosciamo, in modo da stare tutti assieme. Siamo riusciti a chiamare i soccorsi cinque minuti prima che saltasse la rete e verso le 3 e mezza di notte la Rega ci ha portato via a due a due con il verricello».