Tutto (o quasi) quello che avreste voluto sapere sul concorso canoro ma non avete mai osato chiedere (oppure non vi interessa, però inizia stasera)
Organizzato dall’European Broadcasting Union (Ebu), l’Eurovision Song Contest si svolge quest’anno a Malmö, terza città più grande della Svezia. La canzone europea, o un campione di essa, fa tappa qui perché Loreen, rappresentante della terra degli ABBA, vinse nel 2023 a Liverpool, terra dei Beatles.
È inevitabile. Ogni qualvolta il contesto musicale tocca il Paese scandinavo, l’acronimo nel quale s’identifica la musica svedese torna di attualità, benché la musica svedese non sia solo ‘Waterloo’ (il concetto vale anche per i mobilifici). Ma è la settima volta che il Paese scandinavo ospita il contest, come non riconoscere l’importanza di quella composizione jazz-rock del 1974 cui sarebbero seguiti altri sempreverdi scritti dal geniale Benny e dal lungimirante Björn, affidati alle voci celestiali di Agnetha e Frida, opere dai pregevoli arrangiamenti che ancora imperversano, in ben altri e più buffi contesti, su Alpenland Tv, dove il tempo pare si sia fermato a ‘One Of Us’.
A ribollire di suoni e di luci, non solo svedesi, a partire da questa sera sarà la Malmö Arena, venue da 15’500 posti che già ospitò l’edizione del 2013. Per una settimana, la sala polivalente che si divide tra sport e arti varie sarà occupata pacificamente (così si spera) da 37 nazioni, compreso il Lussemburgo che torna all’Eurovision dopo 31 anni. Solo in 26 parteciperanno alla finale di sabato: 10 dalla semifinale di questa sera, altri 10 da quella di giovedì. A questi si aggiungeranno le cosiddette ‘Big Five’, le 5 nazioni che, sintetizzando, cacciano il grano (quelle che investono più di tutte), ovvero Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Spagna più la Svezia, detentrice del titolo e dunque in finale di diritto. È nella seconda semifinale, quella di giovedì, che la Svizzera si giocherà il posto nella serata conclusiva, cosa che gli allibratori danno per scontata. Ma prima di arrivare a Nemo, e alla sua ‘The Code’, artista e brano confederati in gara, facciamo un passo indietro di sessantotto anni.
“Refrain, du goldner Traum aus meiner Jugendzeit”. Così cantava in ‘Refrain’ Lys Assia (1924-2018), cantante e attrice svizzera, prima vincitrice dell’Eurovision Song Contest, oggi coloratissima gara canora che nacque a Monaco di Baviera nel 1955, quando i membri dell’Unione europea di radiodiffusione presero a modello il Festival di Sanremo, nato quattro anni prima, per progettare un evento dagli intenti europeisti. Fu la Rsi del tempo a offrirsi di organizzare la prima edizione, da tenersi l’anno successivo nell’allora Teatro Kursaal, oggi semplicemente ‘Casinò’. La serata del 24 maggio 1956 (della quale non si hanno immagini, se non l’esibizione della vincitrice dopo la proclamazione della vittoria) vide sfilare i sette Paesi fondatori con due canzoni a testa della durata ognuna di 3 minuti e mezzo, non di più, i tempi che la moderna radiofonia impone. A differenza di quanto sarebbe successo in seguito (le basi), a Lugano un’orchestra di 24 musicisti accompagnò i cantanti. E per chi crede che gli inciuci riguardino solo Sanremo, quella sera del 1956, impossibilitati a partecipare all’evento, i giurati lussemburghesi chiesero alla Svizzera di votare al loro posto aprendo a una speculazione sulla validità del voto (avvalorata dai punteggi mai resi pubblici) che regnò per i successivi 50 anni di inutili indagini.
Nel 1958, Lys Assia andò vicino alla vittoria, seconda con ‘Giorgio’, ma per vincere di nuovo la Svizzera avrebbe dovuto attendere il 1988, affidando a Céline Dion ‘Ne partez pas sans moi’, brano co-firmato da Nella Martinetti e capace di vendere 300mila copie. Dal 2004, con l’introduzione delle semifinali, la Svizzera avrebbe visto la finale solo 8 volte in vent’anni: nel 2005 con le rockeuse estoni Vanilla Ninja (‘Cool Vibes’, ottave); nel 2006 con i six4one (‘If We All Give a Little’, 16esimi); nel 2011 con la basilese Anna Rossinelli (‘In Love For a While’, 25esima) e nel 2014 con il ticinese Sebalter (‘Hunter Of Stars’, 13esimo). Non oltre le semifinali erano andati il favorito Dj Bobo (‘Vampires Are Alive’, 2007), l’altro ticinese Paolo Meneguzzi (‘Era stupendo’, 2008), i basilesi Lovebugs (‘The Highest Hights’, 2009), il sangallese Michael von der Heide (‘Il pleut de l’or’, 2010) e gli altrettanto ticinesi Sinplus (‘Unbreakable’, 2012). Prima dei fasti di Luca Hänni, quarto nel 2019 con ‘She Got Me’ e di Gjon’s Tears, terzo nel 2021 con ‘Tout l’universe’, la Svizzera ha ingoiato gli ‘zero points’ di Piero Esteriore (‘Celebrate!’), dal 2004 titolare di un record negativo oggi condiviso con il britannico James Newman, ultimo e senza voti per ‘Embers’, cantata in casa nel 2021, anno dei Måneskin. In questi nostri anni Venti, una parola per le belle cose ascoltate da Marius Bear, 17esimo nel 2022 con ‘Boys Do Cry’, e da Remo Forrer, 20esimo nel 2023 con ‘Watergun’.
Ramsauer - Srg
Nemo durante le prove
E arriviamo allo svizzero Nemo e a ‘The Code’, un concentrato di opera lirica, rap, d&b e pop. Artista non binario, nel 2023 alla SonntagsZeitung, riferito a sé stesso, ha rivelato di preferire l’uso dei pronomi they/them. A Malmö porterà il resoconto di un viaggio intimo, “iniziato con la consapevolezza di non essere né uomo né donna”, un processo di ritrovamento “lungo e difficile” e che ha portato a una libertà cantata e difesa. Nemo – Mettler di cognome, da Bienne – ci aveva riassunto quel percorso, anche doloroso (“I went to Hell and back”, sono stato all’Inferno e poi sono tornato, recita il ritornello) nelle stanze della Rsi, prima del suo showcase. Dall’Italia fanno sapere che la Svizzera sarebbe la favorita, un gradino sopra la Croazia di Baby Lasagna (nome d’arte del cantautore Marko Purišić) e Angelina Mango, che porta ‘La noia’ da Sanremo a Malmö affidandosi a coreografie greco-turche. Attenzione all’Ucraina, data come outsider. “Ho il privilegio di rappresentare una parte della mia nazione la cui voce fatica a farsi sentire, come le tante persone non binarie o trans”, diceva ancora Nemo a Lugano. “Musicalmente parlando – aggiungeva – mi piace mostrare al mondo quello che facciamo in Svizzera, dove c’è tanto talento e qualcuno ancora si stupisce per una tale diversità musicale”.
La forte fan base della LGBT community ha spinto sin dagli anni 90 gli organizzatori a fare dell’Eurovision Song Contest la manifestazione più inclusiva possibile. Il primo concorrente gay, nel 1997, fu l’islandese Paul Oscar; l’israeliana Dana, nel 1998, fu la prima vincitrice transgender di sempre; la barba di Conchita Wurst sarebbe arrivata nel 2014, a barriere gender in caduta libera. Eppure già molto prima, dice la storia, Jean-Claude Pascal per il Lussemburgo aveva cantato l’amore omosessuale in ‘Nous les amoureux’ senza che nessuno se ne accorgesse, per accurata gestione di aggettivi e pronomi: lo avesse fatto in modo esplicito, nel 1961 forse nemmeno gli avrebbero acceso il microfono. L’indimenticabile tributo alle drag queen è cosa del 2023.
L’extra-musicale dell’Eurovision Song Contest 2024 è rappresentato da Israele. L’alto rischio di attacchi terroristici unirà le polizie di Svezia, Norvegia e Danimarca, al lavoro sulla sicurezza telematica e garanti di una no-fly zone anti-drone. Una volta cambiato il testo di ‘Pioggia d’ottobre’, che per l’Ebu conteneva palesi riferimenti alle stragi del 7 ottobre, la 20enne russo-israeliana Eden Golan canterà ‘Hurricane’ (Uragano), stessa melodia con liriche diverse. La giovane non risponde a domande su Gaza quando France-Presse gliele pone e dice di essere rimasta “un poco scioccata” per le accuse mosse al primo testo. Nell’uragano del nuovo titolo, comunque, la critica ancora vede riferimenti al 7 ottobre e nei versi “non c’è più aria che si possa respirare” ed “erano tutti bravi bambini” non vede la ragazza che attraversa le normali inquietudini generazionali, tema che il brano dovrebbe trattare. Israele, nel frattempo, sconsiglia ai propri cittadini di recarsi a Malmö: a chi volesse o dovesse andarci comunque, viene caldeggiato il download di un’app militare utilizzata in patria per attacchi di terra e allerte missilistiche, per ricevere aiuto in tempo reale. Stando ai media israeliani, Eden Golan non può lasciare la sua camera d’albergo se non per recarsi alla Malmö Arena.
Altre cose da sapere. Lo slogan 2024 è ancora ‘United by Music’, lo stesso del 2023 e per gli anni a venire; il tema grafico è ‘The Eurovision Lights’, ispirato agli equalizzatori musicali e alle aurore boreali; il palco è una visione del tedesco Florian Wieder e si annuncia come “un’esperienza unica a 360 gradi” (parola di Ebu). Le ‘cartoline’, i brevi spot turistico-musicali che anticipano le esibizioni, saranno in modalità ‘selfie’ (ognuno si presenterà da sé, inquadrandosi). A condurre lo show saranno Petra Mede, comica svedese che di edizioni ne ha presentate un botto, e l’attrice svedese-americana Mali Åkerman. Dallo scorso anno, possono votare le canzoni anche gli spettatori dei Paesi non in gara. È il cosiddetto ‘Voto Row’, dove Row sta per ‘Rest of the World’, aperto dalla mezzanotte del giorno dell’esibizione. Sommati, i voti Row varranno come il voto di un singolo Paese. Invariata la regola madre del concorso: non è possibile votare per il proprio Paese, né da parte del pubblico, né da parte delle giurie tecniche. I punti sono sempre dodici, da cui l’espressione ‘douze points’ che ogni nazione amerebbe sentirsi dire, e per la quale lavora sodo. Il limite di esibizione è di tre minuti, requisito in vigore da mezzo secolo, ma le canzoni possono pure durare un minuto e mezzo (come quella dei Pertti Kurikan Nimipäivät, nel 2015 in Austria). I cantanti devono avere almeno 16 anni e le band non devono superare le 6 unità (la E-Street Band, per intenderci, non potrebbe partecipare, nemmeno in playback). La musica è pre-registrata, i cantanti devono cantare dal vivo. E se all’inizio vigeva un certo primanostrismo lirico (canta come parli), oggi tutti possono cantare nella lingua che gli pare.
Per finire. La telecronaca dell’Eurovision 2024 sarà fruibile in modo composto su Rsi, affidata a Ellis Cavallini e Gian-Andrea Costa. Per chi preferisse le parolacce, su Rai1 c’è Mara Maionchi. Il grido è lo stesso di ogni anno, cambia solo l’artista: Hopp Nemo!