Le Anziane per il clima vincono su tutta la linea a Strasburgo. La sentenza crea un precedente. Esultano sinistra e attivisti, irritati gli altri partiti
Nel giorno in cui si viene a sapere che il mondo ha inanellato il decimo mese di fila più caldo di sempre, che i Paesi ricchi hanno investito – in barba alle promesse fatte dal G7– 142 miliardi di dollari tra il 2020 e il 2022 in quelli poveri per sviluppare le energie fossili (gas, petrolio, carbone) e che in Svizzera è formalmente riuscita l’iniziativa di Ps e Verdi per istituire un Fondo per il clima, da Strasburgo arriva la notizia di una sentenza che fa storia: la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), dando ragione su tutta la linea all’associazione Anziane per il clima, condanna la Svizzera per violazione dei diritti umani in ambito ambientale. È la prima volta che la Cedu, che applica la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, condanna uno Stato per non aver fatto abbastanza per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, legando la tutela dei diritti umani al rispetto degli obblighi ambientali. La sentenza rappresenta qualcosa di «totalmente nuovo, una pagina che si apre: ci sarà un prima e un dopo questo verdetto», afferma Raphaël Mahaim, uno dei legali delle Anziane per il clima, che ‘laRegione’ ha raggiunto al telefono a Strasburgo (vedi l’intervista qui sotto).
La Grande Camera della Cedu ha ravvisato (con una maggioranza di 16 voti a uno) una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto al rispetto della vita privata e familiare), così come (all’unanimità) una violazione dell’articolo 6 paragrafo 1 della stessa Convenzione (accesso ai tribunali). Anche solo il riconoscimento di quest’ultima sarebbe stata accolta con soddisfazione dalle ricorrenti. La Cedu però, per la sorpresa loro e di molti osservatori, non si è limitata a questo. In una sentenza molto dettagliata su un caso considerato prioritario, i 17 giudici della Grande Camera hanno dato ragione anche nel merito alle Anziane per il clima.
La Corte afferma che l’articolo 8 sancisce il diritto a una protezione effettiva da parte delle autorità statali contro i gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla vita, la salute, il benessere e la qualità della vita. Ne consegue – recita una nota della Cedu – il “dovere primordiale” per uno Stato di “adottare, e di applicare concretamente, una regolamentazione e delle misure volte ad attenuare gli effetti attuali e futuri, potenzialmente irreversibili, del cambiamento climatico”. La Svizzera non lo ha fatto. Nella Confederazione questo processo ha conosciuto “gravi lacune”, in particolare “l’incapacità delle autorità di quantificare attraverso un bilancio del carbonio o in altro modo i limiti delle emissioni nazionali di gas a effetto serra”. Non solo. La Svizzera “non ha raggiunto i suoi obiettivi passati di riduzione delle emissioni di gas serra”: le sue autorità “non hanno agito in tempo utile e in maniera appropriata”.
Sostenute da Greenpeace, le Anziane per il clima (circa 2’500 socie, età media 73 anni), hanno denunciato che, per via della loro età e del genere, sono particolarmente vulnerabili alle ondate di caldo dovute ai cambiamenti climatici. La qualità della loro vita, così come la loro salute, sarebbero a rischio per il caldo eccessivo, al punto da metterne a repentaglio la vita. Nel 2020 il Tribunale federale aveva definitivamente respinto il ricorso presentato dall’associazione, confermando in sostanza la tesi sviluppata dalle istanze precedenti: le donne anziane non sono più colpite di altri gruppi della popolazione dalle conseguenze del cambiamento climatico.
Per la Cedu invece è inoppugnabile il fatto che siano “esposte a delle minacce o conseguenze nefaste specifiche”. Le autorità elvetiche “non hanno spiegato in modo convincente perché abbiano ritenuto che non ci fosse motivo di esaminare la fondatezza” del ricorso dell’associazione. “Non hanno tenuto conto dei dati scientifici incontestabili (...) e non hanno preso sul serio” le argomentazioni delle Anziane per il clima. Quanto basta alla Corte (che ricorda “il ruolo chiave che le giurisdizioni nazionali rivestono nelle cause relative al cambiamento climatico”) per ravvisare gli estremi di una violazione del diritto di accesso a un tribunale (articolo 6, paragrafo 1).
I giudici di Strasburgo ritengono peraltro “opportuno” (“tenuto conto della natura particolare del cambiamento climatico, soggetto di preoccupazione per l’umanità intera, e della necessità di favorire la ripartizione intergenerazionale dello sforzo”) autorizzare un’associazione ad adire le vie legali in quest’ambito: l’azione collettiva, quando si tratta di cambiamento climatico, è di una “pertinenza particolare”, si legge nella nota. Da qui la decisione della Cedu di riconoscere la qualità di ‘vittima’ alle Anziane per il clima (non così le quattro private cittadine, membri dell’associazione, che pure hanno inoltrato ricorso alla Cedu ma che non sono state in grado di dimostrare che sono personalmente e direttamente toccate dall’azione o dall’inazione delle autorità).
La sentenza della Corte è vincolante e non appellabile. La Cedu, “vista la complessità e la natura delle questioni in gioco”, ha rinunciato a ordinare alla Svizzera l’adozione di misure specifiche. Ma il suo verdetto – la cui esecuzione sottostà al controllo da parte del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa – potrebbe comunque influenzare la legge e la giurisprudenza dei tribunali nei 46 Stato membri dell’organizzazione. Tanto più che la partita non è chiusa nemmeno sul piano internazionale. “La lotta per la giustizia climatica non si ferma a Strasburgo”, ha affermato Louise Fournier, avvocato di Greenpeace International, che ha sostenuto il team legale delle Anziane per il clima. L’Ong intende portare il caso alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia.
Sempre ieri, la Cedu ha per contro giudicato irricevibile il ricorso inoltrato dall’ex sindaco ecologista di Grande-Synthe (Francia), Damien Carême, che chiedeva di condannare il governo francese per inazione climatica. Identica la conclusione nel caso dei giovani portoghesi contro il loro Stato e altri 31 paesi, tra cui l’Italia. Per quanto riguarda il caso francese, Carême non è stato riconosciuto come vittima. E in entrambi i casi i ricorrenti non hanno esaurito le vie di ricorso nazionali prima di rivolgersi alla Cedu.
La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) è qualcosa di «totalmente nuovo, una pagina che si apre: ci sarà un prima e un dopo questo verdetto». Al telefono da Strasburgo, Raphaël Mahaim trattiene a stento l’entusiasmo. Il vodese, consigliere nazionale dei Verdi, è uno dei legali delle Anziane per il clima. La sentenza va oltre le sue aspettative. Mahaim lo dice in questo modo: «Ci abbiamo creduto dall’inizio, abbiamo lavorato molto per questo. Ma è vero che le nostre aspettative sono state soddisfatte in modo... eccezionale».
L’avvocato non ha ancora letto le circa 300 pagine della sentenza. Ma il «cuore» del ragionamento dei giudici di Strasburgo è chiaro: «La Corte si astiene dall’ordinare misure concrete: non ha detto ‘Dovete fare questo o quello’, la scelta delle misure da attuare viene lasciata agli Stati. I giudici però hanno stabilito un certo numero di esigenze che la Svizzera e, di riflesso, tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, devono soddisfare in materia di politica climatica. Se non lo fanno, può esserci una violazione dei diritti dell’uomo, in particolare dell’articolo 8 della Convenzione che protegge il diritto alla salute». Le esigenze riguardano ad esempio gli obiettivi di riduzione delle emissioni gas serra, che «devono essere precisi e monitorati».
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Mahain attende la lettura della sentenza, al suo fianco le copresidenti delle Anziane per il clima Anne Mahrer (al centro) e Rosmarie Wydler-Wälti
Per il vodese «la portata e le conseguenze di questa sentenza sono molto importanti» e vanno ben al di là della Confederazione. Il verdetto non è vincolante. Tuttavia, il Comitato dei ministri controllerà che venga rispettato: «Quest’organo potrebbe anche ammonire la Svizzera, se non si conforma. Il nostro Paese comunque ha una grande tradizione di rispetto dello Stato di diritto e delle sentenze della Cedu. In passato, nei pochi casi in cui è stata condannata, si è sempre messa in regola». Mahaim ricorda poi che la sentenza costituisce «un precedente che fa giurisprudenza»: «Ciò significa che in futuro, in qualsiasi tribunale di qualsiasi Paese del Consiglio d’Europa, i giudici non potranno esimersi dal tenerne conto. Il verdetto odierno avrà quindi un carattere indirettamente vincolante». L’avvocato non vuole sentir parlare di ingerenza della giustizia nella politica, né di mancato rispetto della democrazia diretta elvetica da parte della Cedu (vedi sotto): «Se a qualcuno il ‘sistema Cedu’ non piace, beh... allora che proponga di disdire la Convenzione. Quando c’è un tribunale superiore, è inevitabile che a volte si sia soddisfatti e altre no. Non c’è nulla di nuovo: la giustizia, in uno Stato di diritto basato sulla separazione dei poteri, non si immischia nella politica. È là per dire quando i diritti fondamentali e costituzionali non vengono rispettati».
La presidente della Confederazione Viola Amherd si è detta sorpresa per il verdetto. La sostenibilità, la biodiversità e l’obiettivo zero emissioni nette sono «molto importanti» per il paese, ha detto a Vienna, a margine della sua visita in Austria. In una conferenza stampa congiunta col presidente austriaco Alexander Van der Bellen, Amherd ha affermato di essere impaziente di leggere i dettagli della sentenza e che intende rilasciare una dichiarazione in seguito. «Si tratta di una sentenza importante e accuratamente dettagliata, che obbliga la Svizzera a prendere provvedimenti. Il verdetto costituirà un precedente. Spetta alle varie autorità del Paese analizzarlo e delineare i modi» per rispettarlo, spiega a Keystone-Ats Alain Chablais, il funzionario dell’Ufficio federale di giustizia (Ufg) che rappresenta il governo svizzero presso la Cedu. La questione diventa ora politica. Si profila un ampio dibattito. Oltre all’Ufg, saranno sicuramente coinvolti anche il Dipartimento federale dell’ambiente (Datec), i Cantoni e diverse altre autorità, osserva Chablais. Possiamo anche aspettarci interventi alle Camere federali.