L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati è entrata nelle strutture federali (Pasture incluso), e rivolto alla Sem delle ‘raccomandazioni’ pratiche
Da un po’ di tempo il binomio è diventato inscindibile: dici Centro federale d’asilo e pensi alla sicurezza, ma quella verso l’esterno. In realtà è soprattutto dentro le mura delle strutture che in Svizzera accolgono i richiedenti l’asilo che andrebbe rivolta l’attenzione. Perché è lì che i diritti e la sicurezza tanto evocata possono essere messi in discussione. Vittime in particolare chi è vulnerabile tra i vulnerabili, come i minori (in primis se non accompagnatati), le donne, le persone disabili o parte della comunità Lgbtiq+. L’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, di recente ha voluto visitare i Centri delle sei regioni del Paese che li ospitano. E farlo alla luce della riforma varata nel 2019, che ha introdotto cambiamenti significativi nelle procedure e sul versante logistico. Tra il 2021 e il 2022 si sono così accesi i riflettori con l’intento, dichiarato, di costatare i miglioramenti attuati e le sfide ancora aperte. Una sorta di viaggio nell’‘universo asilo’ che ha consegnato un ‘diario di bordo’. Un documento di una cinquantina di pagine che mette nero su bianco una serie di “raccomandazioni chiave” rivolte alla Segreteria di Stato della migrazione (Sem) e figlie delle zone d’ombra ma pure delle esperienze virtuose condotte in alcune delle sedi, negli ultimi mesi messe sotto pressione per l’aumento degli arrivi e delle domande d’asilo. Facce di una stessa medaglia che hanno permesso di individuare anche quali sono oggi i “bisogni speciali”.
Come prima cosa gli inviati dell’Unhcr si sono messi in ascolto. E hanno intervistato tanto i richiedenti asilo (269 in tutto quelli sentiti) che gli operatori che lavorano dentro i Centri (218 in totale). In effetti, la loro voce si è rivelata un contributo che viene definito “inestimabile”. Sul campo “le loro intuizioni ed esperienze – si legge nel dossier – hanno fornito informazioni importanti sulle condizioni attuali nei Centri federali d’asilo”; evidenziando la necessità di coinvolgere gli stessi migranti in un processo partecipativo. Del resto, negli intenti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati vi è quello di accompagnare e sostenere la Sem con “suggerimenti pratici”, facendo tesoro proprio delle esperienze in atto in alcune regioni d’asilo. Sperimentazioni, si fa capire, mutuabili in tutto il territorio nazionale. Certo si è ben consapevoli che agire sulle condizioni di alloggio può comportare dei costi aggiuntivi. Ciò che può essere “impegnativo”, si annota, soprattutto “in tempi di risorse limitate – si parla di tagli, ndr – e priorità politiche variabili”. Se da un lato, però, identificare il potenziale di risparmio è possibile, dall’altro la protezione delle persone, si tiene a rimarcare, non può essere oggetto di compromessi. A maggior ragione quando le strutture sono sovraffollate e in carenza di personale: condizioni toccate con mano anche dagli inviati dell’Unhcr. Sta di fatto che, “nonostante alcuni progressi – come la reintroduzione di una visita medica iniziale o l’assistenza legale –, c’è ancora bisogno di miglioramenti”; e il focus va una volta di più sulle categorie più fragili tra i migranti.
Uno dei nodi (anche dal punto di osservazione delle istituzioni locali) è quello dell’alloggio. Qui l’Agenzia ha le idee chiare. “La sistemazione dei richiedenti asilo in alloggi collettivi con camere condivise – si rende attenti nel rapporto –, come concetto standard è stato a lungo messo in discussione. Si suggerisce invece che i richiedenti vengano ospitati, se possibile, in unità abitative più piccole” al fine di garantire “maggiore privacy” e di creare “un ambiente più sicuro, dignitoso”. E qui il riferimento è anche alle nuove strutture, come nel caso di Pasture, dove, si suggerisce, andrebbe messo l’accento su soluzioni logistiche alternative. “È deplorevole – si commenta – che anche la progettazione strutturale dei Centri federali d’asilo di nuova costruzione segua solo standard minimi e che non affronti adeguatamente la tutela della privacy e di altre esigenze dei richiedenti asilo, né tenga conto delle esigenze dei dipendenti che lavorano in tali Centri”. Ne va, si osserva, anche del fattore ‘prevenzione’: gli spazi limitati, si richiama, “creano un ambiente in cui si verifica la violenza fisica, psicologica e sessuale. Oltre a questi fattori, anche i limiti restrittivi dei tempi di uscita, i furti, le perquisizioni sistematiche all’ingresso e la preferenza percepita da parte del personale per determinati gruppi etnici pongono ulteriori potenziali di conflitto”. Tutte situazioni che vanno ‘disinnescate’. E diverse misure mirate a ridurre il rischio di conflitti e violenze, si riconosce, sono già state adottate: è il caso del progetto PreSec, ‘Prévention et Sécurité’, messo in atto dall’inizio del 2022. Ma si può fare di più. A testimoniarlo, secondo l’Unhcr, sono le iniziative introdotte nelle strutture di Basilea e Zurigo, dove si sta testando un punto di contatto esterno, al quale tanto i richiedenti l’asilo che gli operatori possono rivolgere in forma anonima preoccupazioni e lamentele. Come dire che la comunicazione (al pari dell’informazione) è cruciale. D’altro canto, le conoscenze acquisite negli anni sulla situazione abitativa dovrebbero consentire, si fa notare, di “elaborare strategie sostenibili in grado di reagire in modo flessibile alle fluttuazioni del numero di domande d’asilo”.
E una particolare attenzione, si sollecita, andrebbe rivolta poi verso donne, ragazze e minori, garantendo più riservatezza e restituendo una maggiore sensazione di sicurezza. Nel caso delle prime, soprattutto se in viaggio da sole, andrebbero previsti degli alloggi e dei servizi separati e assicurata la presenza di personale femminile di supporto. Non solo, l’Unhcr raccomanda altresì “la creazione di un sistema di segnalazione riservato per rendere più semplice per le donne e le ragazze denunciare episodi di violenza”. E ‘violenza’ torna, infatti, come parole chiave. Nel caso dei bambini, infatti, oltre a immaginare un processo d’asilo su misura, andrebbero accresciute le misure di protezione, proprio perché “spesso esposti a un rischio maggiore di violenza e sfruttamento”. Non si può dimenticare, si ricorda nel rapporto, che nell’ultimo anno la Svizzera ha registrato un aumento significativo del numero di domande d’asilo presentate da minori non accompagnati, i quali “dovrebbero preferibilmente essere collocati in un ambiente familiare o comunitario o in alloggi privati supervisionati”; e in ogni caso evitando le soluzioni sotterranee.
Ecco che, parlando di minori, le Nazioni Unite non hanno potuto non toccare il tema della scolarizzazione. Occorre, si sottolinea nel dossier, che “tutti i bambini in età scolare abbiano l’opportunità, fin dall’inizio del loro soggiorno nei Centri federali d’asilo, di frequentare le lezioni nelle strutture o nelle classi di accoglienza nelle scuole normali”, entrando, laddove possibile, in contatto con i coetanei del posto. E il coinvolgimento della società civile – così come promulgato anche dall’Associazione Mendrisiotto Regione Aperta – rimane uno dei punti focali nel dialogo con il Centro federale d’asilo per superare timori e diffidenze. Quella stessa società civile, sprona la stessa Agenzia dell’Onu, che va coinvolta sempre di più nell’offerta di iniziative ricreative e culturali, “al fine di promuovere un’ampia gamma di attività e scambi”; facilitando altresì l’accesso delle Ong e delle organizzazioni di volontariato riconosciute, le quali, si sottolinea, “contribuiscono positivamente all’atmosfera” che si respira nelle strutture. Anzi, si rilancia, andrebbero create delle “linee guida a livello nazionale per promuovere e standardizzare la cooperazione tra i Centri federali d’asilo e la società civile”. Anche in questo caso, d’altra parte, gli esempi virtuosi non fanno difetto. Come ad Altstätten, dove “un centro giovanile offre ai bambini richiedenti asilo l’opportunità di conoscere i bambini del posto, creando così un legame positivo con il quartiere”. O come a Berna, dove il bar Ziegler accanto al Centro federale è diventato un luogo di incontro; e ciò “rafforza l’interazione sociale”.
Per l’Unhcr non si può sottacere neppure la necessità di saper rispondere a malattie mentali e traumi. In tal senso, si fa emergere, il Centro federale di Zurigo sta svolgendo “un lavoro esemplare” grazie a un procedura di screening, ma non è il solo a essersi attivato in tal senso, in particolare Oltregottardo e nella Svizzera romanda. Sul piano generale, l’assistenza sanitaria per i richiedenti l’asilo, si legge nel documento, è stata “migliorata con i centri sanitari Medic-Help”, anche se “potrebbe essere ulteriormente migliorata”, in particolare proprio a vantaggio della salute mentale. Del resto, si rammenta ancora, “molti richiedenti asilo hanno vissuto esperienze traumatiche, nei loro Paesi di origine o durante la fuga, che hanno un impatto stressante sulla loro salute mentale e richiedono misure protettive speciali, come il supporto terapeutico. Un approccio economicamente vantaggioso che offrirebbe aiuto a molti sarebbe quello di espandere e intensificare i servizi di supporto psicologico e psicosociale a bassa soglia in tutti i Centri federali di asilo”. Tanto più, sottolinea l’Unhcr, che “un numero elevato di richiedenti asilo necessita anche di più personale infermieristico”. Personale specialistico di cui si registra “una notevole carenza”, soprattutto in momenti sensibili come la notte.
Ecco che una mano, con l’interazione con la popolazione locale, la potrebbe dare l’accesso a lavori di pubblica utilità, reso possibile nella regione grazie all’alleanza con un drappello di Comuni (che si è rivelata importante). In effetti, come ricorda anche l’Unhcr, la maggior parte dei Centri dispone di programmi ad hoc che “aiutano a creare una struttura quotidiana sensata e offrono ai richiedenti asilo piccole opportunità di guadagnare denaro”. Per far sì che questa misura sia efficace occorre, però, una informazione comprensibile e la possibilità di renderla accessibile a tutti, in modo paritario, garantendo al contempo una retribuzione tempestiva.
L’Agenzia dell’Onu non manca, come detto, di portare ad esempio le strutture che si distinguono per proposte e progetti pilota. E il Centro di Pasture come si colloca agli occhi degli inviati dell’Unhcr? Una citazione nel documento se l’è conquistata, distinguendosi nell’assistenza pastorale. Sono tre, infatti, le opzioni assicurate con la presenza di un prete cristiano, un imam e un’assistenza pastorale non confessionale. “In questo modo – si osserva – vengono prese in considerazione le esigenze dei richiedenti asilo di diverse confessioni religiose così come di quelli senza confessione religiosa”. E anche questo non è un aspetto da trascurare.