È nelle sale ‘Perfect Days’, il grande regista come non eravamo più abituati, grazie anche alla straordinaria interpretazione di Kōji Yakusho
Il 2023 è stato un anno anche di grandi ritorni e dopo David Fincher, Michael Mann e Hayao Miyazaki è arrivato l’atteso turno di Wim Wenders con il suo ‘Perfect Days’, che ha segnato, per il regista e ancor più per l’attore Kōji Yakusho, un significativo ritorno a Cannes: già protagonista del capolavoro ‘L’anguilla’ di Shohei Imamura, Palma d’Oro nel 1997, l’attore è stato insignito del ‘Prix d’interpretation masculine’ grazie a un’interpretazione memorabile e che è quasi interamente ciò su cui il film poggia. ‘Perfect Days’ è un film cerebrale in cui lo spettatore deve colmare gli spazi e cercare di penetrare il volto spensierato e spesso imperscrutabile del personaggio, andando di pari passo con la sua routine, dalla mattina alla sera, sogni compresi. Un ritratto enigmatico, iscritto in un formato 4/3 che, anche se a volte un po’ costringente, ben assolve al suo scopo, quello di simboleggiare il mondo del protagonista Harayama, un mondo chiuso ma felice anche nel suo essere solitario, colmo della soddisfazione e della poesia delle piccole cose circostanti.
Hirayama è un taciturno addetto alle pulizie di bagni pubblici a Tokyo, sistemi tecnologici e avanzati cui dedica anima e corpo, particolarmente concentrato e preciso. L’uomo vive un’esistenza tranquilla, scandita da una routine rigida: ogni giorno esce di casa con il sorriso, prende il suo caffè, lavora con il giovane e non altrettanto preciso collega Takashi, mangia sempre nello stesso parco a pranzo e nello stesso locale alla sera, facendo qualche foto agli alberi circostanti, fino al ritorno a casa e nel suo letto nel quale, dopo un momento di lettura, si corica. Ogni notte, l’uomo elabora la giornata attraverso i sogni, un misto di immagini in bianco e nero sovrapposte di alberi, foglie ed elementi di ciò che ha appena vissuto; quindi riprende il suo schema quotidiano al suo risveglio. La sua quiete eremitica viene talvolta scalfita: Takashi lo convince a prestargli dei soldi per conquistare una ragazza e quindi si licenzia, aumentando il suo carico di lavoro; Niko, sua nipote, si rifugia da lui dopo una litigata con la ricca madre, che si presenta a prenderla in limousine constatando la sua umiltà; infine Mama, bella proprietaria di un locale, di cui Hirayama è invaghito e con cui ha una delusione d’amore. Nulla di ciò sembra però essere abbastanza per abbattere completamente l’uomo che, grazie all’amore per le piante e la natura, alla fierezza di ciò che fa e ai grandi classici musicali, che scandiscono i suoi viaggi a bordo del suo furgoncino, riesce a trasformare ogni giorno in un giorno perfetto.
Perfetti i giorni, perfetta l’interpretazione, i sottotesti, la messa in scena e la fotografia. Eppure, forse per la ripetizione intrinseca della monotonia di una giornata-tipo, la vicenda risulta nebulosa e piuttosto dilatata nel progredire. Tuttavia, la mano di Wenders è in grado di elevare il coinvolgimento emotivo dello spettatore, con un utilizzo magistrale e centrale del primo piano e della profondità di campo. L’architettura avanzata e moderna delle toilette che Hirayama pulisce si contrappone e si accosta alla sua semplicità; l’incontro con la sorella, che sicuramente nasconde vecchie ferite probabilmente mai cicatrizzate, rivela anche un probabile passato nel lusso che, per qualche motivo, l’uomo ha abbandonato, abbracciando uno stile di vita scevro dai beni materiali, all'interno del quale l’unica cosa che egli custodisce gelosamente sono i suoi libri, tanti da straripare dalla biblioteca, e soprattutto le sue cassette con brani di, tra gli altri, Lou Reed, The Animals e Nina Simone.
Tra le note di ‘Perfect Day’ ci sono ‘The House of The Rising Sun’ e ‘Feeling Good’ e il ritmo della vita di Hirayama si distende: è un uomo profondo e saggio, ma che non nasconde una certa fragile emotività, capace tuttavia di ritrovare sempre il sorriso e colmare il volto di lacrime, anche semplicemente osservando un tramonto all’orizzonte, dopo una normale giornata di lavoro, come ogni giorno.