Lo afferma il rapporto elaborato dall'Ufficio di statistica. I dati riguardano il 2018, ‘ma verranno aggiornati, è uno strumento importante’
La povertà reddituale assoluta in Ticino nel 2018 – quindi prima di pandemia, rincari energetici e stangate di cassa malati – era del 7,4% (pari a circa 20mila persone), in aumento rispetto agli anni precedenti. È quanto emerge dal rapporto sociale sulla povertà in Ticino, un nuovo strumento di monitoraggio a disposizione del Cantone elaborato dall'Ufficio di statistica. «La povertà è un fenomeno complesso, diversificato», ha spiegato il direttore del Dipartimento sanità e socialità (Dss) Raffaele De Rosa. «Questo nuovo strumento si basa su una banca dati creata da fonti esaustive e di natura amministrativa. Permette quindi analisi molto approfondite e affidabili». Questo, però, comporta un certo periodo per elaborarle. «È vero, le cifre presentate oggi sono lontane nel tempo. Ora però lo strumento esiste e sarà più facile tenerlo aggiornato e ridurre quindi il ‘gap’ temporale. Un certo spazio – precisa il Christian Vitta, direttore del Dipartimento finanze ed economia (Dfe) – resterà comunque. Il dato fiscale, ad esempio, è per forza di cose fornito con un certo ritardo». Inoltre, «si tratta di un'analisi strutturale e non congiunturale, per la quale abbiamo già a disposizione diversi indicatori».
Ma cosa si intende per povertà reddituale assoluta? «È la percentuale, o il numero, di persone in un’economia domestica il cui reddito disponibile è inferiore al minimo sociale vitale», spiega Francesco Giudici, responsabile del settore società dell’ufficio di statistica del Dfe. Considerando solamente il reddito, le fasce d’età più anziane sono quelle caratterizzate dai tassi di povertà reddituale assoluta e di persistenza in povertà più alti. Se però si considera anche il patrimonio, che può essere utilizzato come fonte sostitutiva del reddito, sono invece le classi più giovani quelle maggiormente in difficoltà. «Il rapporto ha permesso di dare una fotografia più nitida su alcune categorie particolarmente vulnerabili, come ad esempio le economie domestiche composte da un adulto con minori», aggiunge Giudici.
Il rapporto ha anche calcolato “l’intensità” della povertà in Ticino, ovvero la differenza tra il reddito disponibile dell’economia domestica e il minimo vitale sociale. Un esempio: una famiglia dispone di 29’672 franchi anche se il minimo vitale sociale, calcolato in base al numero dei suoi membri, è di 34’908. «Nel 2018 il divario mediano tra queste due voci era del 18,8%».
Nello studio si mostra anche l’impatto che hanno le prestazioni sociali cantonali. «Questi aiuti hanno dimezzato la povertà reddituale in Ticino», dichiara Gabriele Fattorini, direttore della Divisione dell’azione sociale e delle famiglie del Dss. «Le politiche messe in atto dal Cantone, penso ad esempio a favore delle famiglie, hanno inoltre permesso di contenere il numero di economie domestiche a beneficio di prestazioni assistenziali. Che è sostanzialmente rimasto invariato negli ultimi anni e sotto la media nazionale».
Sempre a proposito di aiuti sociali, la quota a livello nazionale è scesa al 2,9%. In totale 256'800 persone hanno percepito almeno una volta una prestazione finanziaria, stando all'ultima statistica pubblicata oggi dall'Ufficio federale di statistica. Rispetto all'anno precedente, il 2022 ha segnato un calo del 5,9% nel numero di nuovi casi aperti. Al contempo il numero di casi chiusi è aumentato dello 0,9%. La diminuzione del tasso di aiuto sociale si riscontra in tutti i gruppi a rischio. Le percentuali rimangono più alte per i minori (4,8%), i cittadini stranieri (5,9%) e i divorziati (4,5%), ma anche in questi casi si è registrato un calo rispetto all'anno precedente.
"I timori che, come conseguenza a lungo termine della pandemia, soprattutto la disoccupazione potesse avere un impatto negativo sull'aiuto sociale non sono stati confermati", sottolinea il comunicato. “A questo risultato positivo hanno contribuito, da un lato, le misure adottate dalla Confederazione e dai Cantoni e rimaste in vigore fino alla fine del 2021 e, dall'altro, la crescita economica e la situazione favorevole sul mercato del lavoro”.