Gli anni della Repubblica Elvetica sono ancora controversi. A pochi giorni dalla parata delle milizie storiche, ne parliamo con il professor Sandro Guzzi
«Non siamo noi che ce la siamo conquistata la libertà, ce l’hanno portata». A dirlo è il professor Sandro Guzzi Heeb, ticinese docente di Storia all’Università di Losanna, che abbiamo interpellato a pochi giorni dalla parata delle milizie storiche andata in scena domenica 15 ottobre a Lugano. Un incontro, organizzato dal Corpo Volontari Luganesi in collaborazione con la Città, in occasione del 225esimo dai Moti di Lugano e al quale hanno preso parte numerosi Corpi dal resto della Svizzera, oltre a un folto pubblico. Un anniversario che, al di là della tradizione e del folclore, è anche l’occasione per riflettere su un periodo cruciale per la formazione del Paese e per l’origine del Ticino stesso.
Che cosa furono, innanzitutto, questi Moti di Lugano?
Si tratta di un avvenimento e di un periodo in realtà piuttosto complessi. In generale, per la storiografia tradizionale e probabilmente per la memoria collettiva, si tratta di un evento passato alla storia come il momento quando Lugano ha scelto di essere ‘libera e svizzera’ opponendosi ai moti cisalpini che provenivano soprattutto dal Mendrisiotto. Si crede che sia stata una scelta patriottica. In realtà è stato ben diverso. Semplificando, possiamo dire che è andata come Napoleone aveva previsto e come voleva che andasse.
Che cosa intende dire?
Napoleone nel 1796 aveva conquistato il Nord Italia, costituendo la Repubblica Cisalpina, che rientrava nel suo piano di stabilizzazione dei vicini della Francia. In una lettera di fine gennaio del 1798, pochi giorni prima dei Moti di Lugano (del 14 febbraio, ndr), scriveva che sarebbe stato opportuno che i cosiddetti baliaggi italiani (ossia gli otto territori nei quali i confederati avevano diviso le terre conquistate nel Cinquecento, gli antenati dei distretti ticinesi di oggi, ndr) restassero in Svizzera, eccezion fatta eventualmente per il Mendrisiotto al quale veniva dato più margine di scelta, ovvero la possibilità di unirsi alla Cisalpina.
Perché solo il Mendrisiotto?
Perché il sentimento filo-cisalpino era più diffuso. Tra la formazione della Repubblica Cisalpina e di quella Elvetica a Mendrisio si era effettivamente formato un partito che chiedeva l’unione con la vicina entità neocostituita. Questo moto nel Mendrisiotto era sostenuto dagli esclusi: persone che si erano arricchite, tramite il commercio o altre attività, ma erano escluse dal Consiglio del Borgo di Mendrisio e non avevano diritti politici a causa delle regole dell’Ancien Régime. Per questo erano interessati a sovvertire l’ordine politico-sociale. Ma anche nel Mendrisiotto non tutti la pensavano così, non c’era unanimità. C’erano alcuni Comuni come ad esempio Stabio e Genestrerio che non erano filo-cisalpini. In generale è stato un periodo molto combattuto, con varie correnti e pure bande che si scontravano in modo anche violento.
Questo già prima della formazione della Repubblica Elvetica?
Sì, perché già da un paio d’anni era diventato sempre più chiaro che i francesi sarebbero intervenuti e che l’Ancien Régime sarebbe caduto anche in Svizzera. C’erano stati cambiamenti alle dogane e le acque dei laghi erano pattugliate da navi dotate di cannoni. E anche a Lugano e nei suoi dintorni c’era una forte instabilità e già alla fine del 1797 si stavano organizzando dei Corpi di volontari, uno della campagna e uno del borgo, per difendere i propri interessi. Che spesso non erano combacianti. Quando ci furono i Moti del febbraio 1798, in parte pilotati dalle vecchie élite, i distretti della campagna ad esempio espressero malumore perché non volevano la libertà della quale parlava Lugano.
Di quale libertà parliamo precisamente?
In realtà non era ben chiaro. In loco erano ancora presenti le vecchie autorità dell’Ancien Régime che cercavano di pilotare la situazione a loro favore. In realtà, i Volontari a quel momento non decidono di restare con la Confederazione, ma aboliscono il vecchio Consiglio della città, che rappresentava l’aristocrazia legata al precedente regime. Altre decisioni di spessore vengono in realtà rimandate. Questo, anche perché sanno di avere un’autonomia decisionale limitata: le truppe napoleoniche sono a due passi. E infatti la Repubblica Elvetica verrà formata ad aprile. A marzo i generali francesi visiteranno i baliaggi, spiegando che resteranno con la Svizzera. È una decisione di fatto presa dai francesi. Il vero risultato dei moti, la vera libertà, è quello di aver modificato il vecchio sistema politico in vigore nel borgo.
Come mai erano stati anni così instabili quelli della Repubblica Elvetica?
Perché il nuovo quadro istituzionale era stato creato su forte pressione dei francesi, sul modello stesso della Francia. Ossia fortemente centralizzato ed estraneo alle tradizioni locali. Non c’era legittimazione dal basso. In più, in Ticino ogni distretto, ogni pieve, voleva far da sé, rifacendosi alle autonomie delle quali godevano sotto il vecchio regime.
A parte quelli di Lugano, in ambito ticinese, quali altri moti sono particolarmente degni di nota?
In ‘Logiche della rivolta rurale. Insurrezioni contro la Repubblica Elvetica nel Ticino meridionale (1798-1803)’ ho recensito una decina di moti solo nel Sottoceneri fra il 1798 e il 1802. Quindi un periodo di grandi agitazioni. La maggior parte di questi moti aveva carattere antirepubblicano. Ancora più importanti di quelli del ’98 sono forse quelli del ’99, quando ci furono episodi controrivoluzionari, con bande armate arrivate in città che riuscirono a destituire il governo provvisorio locale in rappresentanza della Repubblica Elvetica. Di questo momento di difficoltà dei francesi approfittano anche i leventinesi, che organizzano a loro volta un’insurrezione. Anche il Mendrisiotto è toccato da lotte fra filo- e anti-cisalpini, con da un lato i primi che riescono per un periodo a impadronirsi del potere a Mendrisio, e dall’altro dal Luganese ci sono incursioni di bande armate che volevano evitare che il distretto si staccasse per unirsi alla Cisalpina.
Quella del 14 febbraio è stata dunque una vera minaccia per Lugano?
Sì, ma nella misura che è stato un tentato colpo di mano. In realtà, i filo-cisalpini speravano in un supporto o della Repubblica Cisalpina o dei francesi che non è arrivato, pertanto la minaccia è da relativizzare. Più che una minaccia esterna, si trattava di lotte tra fazioni interne.
Perché i baliaggi desideravano restare con i confederati, anche se venivano da tre secoli di sudditanza?
La maggior parte dei baliaggi desiderava restare con la Confederazione, perché passare alla Cisalpina avrebbe significato essere sottoposti a Milano, e questo in realtà non lo voleva quasi nessuno. Questo per diversi motivi, ma quello principale era che i confederati erano geograficamente, linguisticamente e culturalmente più lontani e questo permetteva alle élite locali di mantenere un’ampia autonomia, nonostante la presenza dei balivi, che comunque cambiavano frequentemente. Sotto Milano, queste autonomie sarebbero state molto più minacciate.
Oggi, in tutta la Svizzera e anche a Lugano, quel periodo è regolarmente ricordato e celebrato, ma attraverso gli occhi e le gesta delle milizie storiche.
Sì, e c’è una dose di costruzione storica a posteriori. Ma questo è naturale, è sempre così in tutto. Il grosso problema in Ticino è che è stato fatto un pasticcio con il periodo della Repubblica Elvetica. Questo perché non c’è mai stata una reale e completa ammissione, nonché presa di coscienza collettiva, del fatto che il Ticino deve la sua indipendenza e la sua ‘promozione’ a cantone indipendente a Napoleone e alla Repubblica: sono loro che ci hanno liberato dalla sudditanza. Non c’è alcun monumento a Napoleone, mentre paradossalmente sul Gottardo ce n’è uno al generale russo Suvorov, che rappresentava la coalizione che voleva lo status quo e quindi il mantenimento dei baliaggi nella sudditanza. In definitiva, direi che queste milizie sono utili nella misura in cui ci richiamano al fatto che siamo eredi di una storia. Quello che mi sembra grave è che c’è una coscienza distorta riguardo alle origini del cantone e al suo essere una repubblica.
Perché c’è questa visione distorta?
Perché determinati valori della Rivoluzione francese e della Repubblica Elvetica, come ad esempio l’universalismo e l’uguaglianza dei cittadini, erano in conflitto con altri valori diventati poi centrali nell’Ottocento e nel Novecento con il patriottismo svizzero, come ad esempio il federalismo, l’indipendenza, la neutralità. Oggi, con il dovuto distacco e senza strumentalizzazioni ideologiche o politiche, andrebbe rivalutato quel periodo. Ma per quel che è realmente stato. Non siamo noi che ce la siamo conquistata la libertà, ce l’hanno portata. E questo vale anche per i Moti di Lugano, perché senza un’approvazione finale dei francesi sarebbero finiti in nulla. In generale, il 1798 è stato uno degli anni più importanti della storia sia ticinese sia svizzera, al pari forse del 1848, perché è da quell’anno che termina l’Ancien Régime e la società non sarà mai più la stessa, anche se con alcuni tentativi di restaurarlo. E questo è fondamentale da ricordare, perché la Repubblica Elvetica viene spesso liquidata come un periodo di invasione straniera, di dominazione francese. È vero, è stato anche questo, ma è stato anche un periodo di innovazioni fondamentali su molti livelli. Anni difficili, ma molto fecondi.