È la terza opera murale della manifestazione Urban Art Chiasso creata da Sir Taki. ‘È una metafora che potrebbe rispecchiare la società contemporanea’
‘Roberto’. Un personaggio ritratto nell’intento di arrampicarsi tra due pareti rocciose. Sarà lui il protagonista della terza opera murale della manifestazione Urban Art Chiasso che ha già visto sorgere le grandi cicogne del gruppo Truly Design in vicolo dei Calvi, la bardana minore di Mona Caron in via degli Albrici e le ‘finestre aperte’ di Atentamente una Fresa all’Acquedotto Pra’ Tiro. Alla stessa altezza in cui sorge la sua figura abbiamo incontrato – grazie al fedele sostegno di una gru – la mente che si cela dietro il murales. È Sir Taki, un’artista d’arte visuale e regista ticinese che ha scelto una palazzina di via Odescalchi (recentemente ristrutturata) come tela da dipingere. Una scelta che scaturisce dall’intento artistico di raccontare delle storie di personaggi nella loro complessità in relazione a un determinato contesto, «di far interagire l’enorme palazzo, una società verticale, con un protagonista che si arrampica fra due pareti rocciose nello squarcio che spacca in due l’edificio».
Una natura rocciosa che incontra l’architettura di un palazzo. Un connubio che dà spazio a una figura umana. Ma chi è Roberto? «Siamo forse noi? È una metafora che potrebbe rispecchiare la società contemporanea. La complessità della realtà mi affascina e stimola il mio lavoro. Roberto è un personaggio che ha trovato un varco, una via, e che cerca di arrivare in cima, lassù non si sa dove. La roccia può essere brutale e ti obbliga a metterti in gioco: devi affrontarla a mani nude. E così anche la vita, ovunque ci si trovi». Nell’opera, prosegue Sir Taki, «c’è anche un aspetto di autorealizzazione, di raggiungimento dei propri obiettivi. O un desiderio di libertà, di felicità».
A ogni modo, «vorrei che fosse lo spettatore a dire cosa vede, percepisce e interpreta. Chi è Roberto? Cosa sta facendo? Perché?». Anche perché, secondo l’artista, «l’arte inizia quando c’è ambiguità e apertura al dialogo. Quando il messaggio è chiaro e diretto diventa decorazione o pubblicità e non c’è spazio per l’interpretazione. Se uno mi dicesse che Roberto sta scendendo, ne sarei incuriosito, non gli direi che non è così. Ognuno riconduce l’interpretazione anche alla propria esperienza». Si tratta di un’opera «di dominio pubblico, in un quartiere trafficato di Chiasso vicino alla dogana, non è in un museo dove sarebbe contestualizzata. Per questo motivo è ancora di più soggetta a diverse chiavi di lettura, ed è interessante sapere che ci possono essere idee diverse o in contrasto fra loro. È anche per questo motivo che le mie creazioni non contengono mai delle scritte: ritengo che le parole abbiano un peso a volte molto forte in grado di condizionare l’interpretazione di un’immagine».
Non è la prima volta che le creazioni di Sir Taki nascono con un nome proprio. Oltre a Roberto, nel suo repertorio artistico ci sono anche Stéphane, Thanaporn, Lucia, Theresa, Elly Santoro e Rita. Lavori dal contenuto e dalla forma distinta, ma accomunati da una scelta che caratterizza l’artista. «Le mie opere – ci spiega – hanno sempre come titolo il nome di una persona perché questo mi permette di creare personaggi che si staccano da me, interagendo con lo spettatore in modo più intimo». Una prima invece per quanto riguarda le modalità di realizzazione. «La pittura per me è una sfida, è la prima volta che mi ritrovo a dipingere un edificio, e su una facciata di queste dimensioni (23x16 metri). Normalmente realizzo le mie installazioni all’esterno in carta. In questo caso ho puntato alla sintesi del concetto. Infatti si tratta di un disegno molto stilizzato, non è uno stile pittorico con sfumature o altro, per rendere la facciata più leggera. Molto spesso i miei lavori vengono concepiti a partire dalla spazio in cui saranno collocati. È anche il caso di Roberto, l’idea è nata dall’architettura del palazzo».
E mentre i lavori iniziati il 28 agosto proseguono, e l’opera non è ancora conclusa, la curiosità degli inquilini di via Odescalchi cresce. «Un aspetto che ha rivoluzionato questo lavoro è l’incontro con gli abitanti del palazzo. In queste due settimane ho conosciuto decine di persone diverse fra loro che si interrogavano su quanto sto realizzando. Un signore per esempio si chiedeva se la spaccatura tra le due pareti di roccia si ricongiungerà, anche quando l’opera è ancora in divenire c’è spazio per l’immaginazione. Una signora invece mi ha detto che condivideva l’interesse per l’arte e mi ha mostrato con entusiasmo un suo dipinto e un’altra ancora quando eravamo all’altezza del settimo piano ci ha passato un caffè. Due ragazzi mi hanno invece lasciato il loro curriculum perché cercano lavoro».
«All’inizio la gente non capiva cosa stessi dipingendo, soprattutto perché abbiamo cominciato dai lati e solo ora abbiamo svelato la parte centrale, ovvero le pareti rocciose, tra le quali comparirà Roberto. In più gli abitanti del palazzo hanno una prospettiva diversa, spesso vedono il lavoro solamente da vicino. Alcuni li ho accompagnati per vedere l’opera da lontano e il risultato è chiaramente diverso, è più completo». Infatti «è un murales che va visto almeno da 50 metri di distanza per cogliere l’immagine intera e nella sua interazione con l’architettura».