La cittadina accoglie la settima edizione della manifestazione. E la piazza si confronta sul tema della migrazione
A Chiasso è un'altra estate calda. Anche sul fronte dei flussi migratori. È rovente quasi quanto quella del 2016. Ma allora a premere alla frontiera, accampati in condizioni precarie nei giardini della stazione ferroviaria di Como San Giovanni, erano circa 500 migranti. Una vera emergenza che aveva innescato una catena di solidarietà in una buona parte della stessa popolazione locale. Lo stesso spirito che da sette anni permea gli organizzatori del Primo agosto alternativo, che anche ieri, martedì, con Stopallignoranza hanno dato appuntamento nella cittadina. Un invito al quale hanno aderito in trecento.
L'antidoto a diffidenza e razzismo? Di sicuro l'incontro, che sia su un campetto da gioco, come quello di via Bossi, o una piazza. Così, fedele alla sua formula, la manifestazione ha dato vita, la mattina, al torneo di calcio antirazzista, che ha coinvolto otto squadre e visto la presenza di numerosi richiedenti l'asilo, anche giovanissimi. A bordo campo, ad assistere alle partite, vi erano pure il sindaco di Chiasso Bruno Arrigoni e il presidente e vice presidente del rinato Fc Chiasso, Marco Armati e Otto Stephani. Per i promotori una testimonianza che vale "un bel segnale di vicinanza e accoglienza". In seguito tutti si sono ritrovati a tavola in piazza Indipendenza per un pranzo conviviale, quindi la premiazione della squadra vincitrice del torneo - Fc Barellona-Pasture - e di tutti i giocatori, e i discorsi di rito.
A prendere la parola sono stati, infatti, le granconsigliere Samanta Bourgoin e Nara Valsangiacomo, il direttore di Soccorso operaio svizzero Mario Amato, due rappresentanti del Collettivo R-Esistiamo, il portavoce di un gruppo spontaneo di cittadini del Mendrisiotto, Willy Lubrini, lo stesso sindaco di Chiasso, una cittadina chiassese, Fabiola Lurati, l'avvocato Immacolata Iglio Rezzonico e un ospite di Casa Astra.
Interventi attraversati da un confronto schietto sul tema del momento, quello della migrazione, che, come ha fatto notare Amato, viene declinato ormai come «problema, sfida, emergenza, massa umana che invade e disprezza i valori patrii», lanciando petizioni e iniziative e scrivendo missive. Cosa sta accadendo? «La risposta che mi sono dato, quella ai miei occhi più evidente, è strettamente legata alle prossime elezioni federali di ottobre – ha detto a chiare lettere il direttore di Sos –. Fare campagna elettorale contro deboli e indifesi, porta i suoi frutti. Ma puntare sull’emergenza, quando emergenza non c’è, è da irresponsabili».
Del resto, ha ricordato Amato, come mostrano le statistiche oggi approdano qui «afghani, turchi, ucraini e sappiamo bene cosa succede in quei Paesi». Persone costrette «a viaggi pericolosi, ad affidare donne, bambini, famiglie nelle mani di passatori senza scrupoli». E non è questione, ha ribadito, di essere ’giusti‘ o ’sbagliati‘. «A voler considerare seriamente il fenomeno delle migrazioni internazionali, e non quale strumento di propaganda – ha richiamato il direttore di Sos – ci si rende conto della serietà e della portata dei flussi migratori. Lo scorso anno i cosiddetti migranti forzati, hanno superato la quota dei 100 milioni, la cifra più alta mai registrata. Fuggono da persecuzioni, guerre, dalla fame e dai cambiamenti climatici e dai fenomeni climatici estremi. Ormai bisogna riconoscere che il cambiamento climatico può essere una delle motivazioni che spingono milioni di persone a cercare rifugi sicuri».
E alcuni di questi migranti approdano alla frontiera sud della Svizzera e vengono accolti al Centro federale d'asilo. E allora, si sono chiesti al Collettivo R-Esistiamo, cosa è essenziale? «Considerare le persone dei Centri qui accanto come persone appunto e non come numeri e/o un problema da risolvere. Aprire i Centri federali e cantonali significa dare a tutta la società un'opportunità d'incontro, di creare legami e scambi tra culture diverse sì, ma che si possono incontrare e aiutare vicendevolmente. Nei Centri serve più assistenza e sostegno, più lavoro di mediazione che di sicurezza. Serve una comunità che accolga, che abbia voglia d'incontrare l'altra parte del mondo».