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Ferrara in pista per il Nazionale: ‘Nel Plr urge responsabilità’

La granconsigliera è disponibile a correre per Berna: ‘Alle Cantonali risultato preoccupante, la nostra foto si sta sbiadendo: bisogna avere più coraggio’

(Keystone)
9 maggio 2023
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«Ho parlato col presidente della sezione di Lugano e con il presidente cantonale dando loro la mia disponibilità a candidarmi». La granconsigliera liberale radicale Natalia Ferrara rompe gli indugi e supportata «dal mio ottimo risultato alle ultime Cantonali», con l’obiettivo di «far passare il messaggio che il liberalismo può e deve pensare a tutte e tutti, anche ai più deboli» è intenzionata a essere della partita questo autunno, di nuovo, a quattro anni dalla prima corsa per la Camera del popolo. A colloquio con ‘laRegione’, spiega la sua motivazione con un concetto ribadito più volte nel corso dell’intervista: «Serve spirito critico e avere la libertà di poterlo esprimere nell’interesse dello stesso Plr: meno ci si profila, più si perdono voti. Meno scelta si offre, meno si mobilitano gli elettori e le elettrici».

Ferrara, è arrivata terza in lista alle ultime Federali, è prima subentrante e adesso intende ripresentarsi. Cosa la muove?

Ho dato la mia disponibilità e aspetto con piacere il confronto con la commissione ‘cerca’ che è già al lavoro. L’ottimo risultato elettorale il 2 aprile scorso dimostra che sono credibile in quello che dico e faccio. Essere tra i più votati dell’intero parlamento e, soprattutto, tra le fila del Plr, dimostra anche che non sono affatto divisiva come qualcuno sostiene. Questo mi conforta e mi stimola ad andare avanti. Un punto centrale del mio impegno politico è ribadire che i valori liberali sono quelli che non dimenticano nessuno e cercano di promuovere ciascuno. Non ho mai alimentato le paure delle persone o soffiato sul fuoco, ma non mi sono nemmeno mai nascosta: viviamo in una società che non dà più certezze, e forse quello che non ha intercettato la sinistra è che non si tratta più di lotta di classe. Riguarda anche i bancari, lo abbiamo visto con la crisi del Credit Suisse, ma non solo: soprattutto in Ticino tutti possono avere dei problemi, e tocca ai liberali radicali in primis agire. Se non siamo noi a occuparci del lavoro, chi deve farlo?

Lei parla del suo buon risultato, ma il suo partito alle ultime Cantonali ha perso sia in termini di percentuali sia in numero di seggi, due. Cosa non sta funzionando nel Plr?

Questo risultato è preoccupante. L’ho comunicato all’interno del partito in diverse occasioni e ho chiesto una discussione aperta sul tema anche in un prossimo Comitato cantonale. Non è solo una questione di percentuali da relativizzare perché qualcun altro ha perso di più; serve interrogarsi sul perché e, soprattutto, sull’azione politica promossa. L’indicazione dell’elettorato è molto chiara: meno schede Plr, più schede senza intestazione e sempre più assenteismo. Lo dico e lo ripeto da anni: meno ci si profila, più si perdono voti. Bisogna smetterla di fare liste blindate, liste accompagnate, liste ponderate. Bisogna avere più coraggio, meno calcoli e più cavalli di razza, per dirlo con una battuta.

Il Plr non si è profilato a sufficienza secondo lei?

Proporre liste forti significa proporre persone diverse per percorso professionale e personale, per spessore ed esperienza. Non servono soltanto cognomi forti, serve la forza delle idee. Se alla fine di una campagna so che faccia ha un candidato ma non so cosa pensa, abbiamo un problema. I liberali radicali hanno giustamente rimproverato tutti i populismi che distruggono la cultura politica, è altrettanto vero, però, che nell’ultimo periodo ci siamo limitati a guardare gli altri (o a rincorrerli, come con l’Udc) senza essere a nostra volta propositivi. Quella del Plr è una bella foto che con il tempo sta perdendo i suoi colori, le sue peculiarità. Ci sono oggi tante facce un po’ sbiadite, una uguale all’altra. Quando invece guardo gli eletti a livello locale e anche in Gran Consiglio, ai primi posti vedo persone profilate, presenti, delle quali so perfettamente cosa pensano, non solo che faccia hanno. Questa è la giusta direzione in cui andare, spiegando che il liberalismo non ha nemici, ma avversari sì. Chi non ha avversari o non ha idee o non gliene importa molto.

Nella foto di cui parla a essere un po’ sbiadita è la ‘riserva indiana’ dei radicali in uno spostamento, generale e del Plr, verso destra. Questa ‘r’, nel suo partito, conta ancora qualcosa?

Il liberalismo è sempre stato una sintesi di sensibilità molto diverse tra loro. Da quando queste sensibilità sono sbiadite, il Plr ha iniziato a perdere sempre più terreno. Qualcuno dimentica completamente la ‘r’ che non è solo di ‘radicale’, ma anche di ‘responsabilità’. Senza, si toglie all’elettorato la possibilità di identificarsi in un partito che vuole una fiscalità leggera, progresso, benessere, sostenere l’economia di larga scala così come le Pmi, ma che non trascura la possibilità per tutti di formarsi, migliorarsi, avere sostegno e lavoro. Questo spostamento a destra del partito mi preoccupa, perché, di fatto, toglie proprio alla nostra parte liberale la possibilità di esprimersi al meglio. Mi spiego: più la popolazione fa fatica, meno è possibile prendere decisioni legate al risanamento delle finanze. Nemmeno si osa fare una riforma fiscale a favore dei redditi più alti e delle aziende, perché si teme il voto popolare. E torniamo al coraggio, alla fotografia di prima, che vorrei avesse colori vivi, scintillanti, riconoscibili dall’elettorato. Non è vero che siamo tutti uguali, non è vero che un partito vale l’altro. Sta a noi spiegarlo.

Qualcuno dentro il suo partito la considera ‘divisiva’, qualcun altro da fuori a volte si chiede addirittura cosa ci faccia nel Plr. Dov’è la verità?

I liberali radicali non sono tutti uguali e lo dimostrano anche alle urne, dispensando voti da destra a sinistra. Se queste sensibilità sapessimo valorizzarle in casa nostra, verrebbe anche fatto meno uso del panachage. Che io sia liberale radicale e che sia tra coloro che maggiormente rappresentano il partito me lo riconosce sia la base sia l’elettorato con ottimi risultati. Sono molto grata e ne vado fiera.

Insisto, qual è la sua visione del liberalismo considerando che ha pure scritto un libro sul tema? Perché non sembra quella al momento dominante nel suo partito.

Da anni, con la sola eccezione della Svizzera, e del Ticino in particolare, i partiti liberali in Europa faticano a superare il 5%, perché a dire il ‘cosa’ si è sempre bravissimi, è il ‘come’, che manca. La cultura liberale è una bussola preziosa che indica sempre prima il metodo. Prendiamo il risanamento delle finanze: un liberale radicale prima si chiede come fare e poi cosa. E se ne assume le responsabilità, senza ad esempio nascondersi dietro a tagli lineari. Alcuni vorrebbero ad esempio tagliare i sussidi. Io non sono contraria a priori, prima, però, mi chiedo: se una persona lavora a tempo pieno e non guadagna abbastanza, è lei che riceve un sussidio o è piuttosto lo Stato che sta “sussidiando” una parte dell’economia che non paga salari sufficienti? Essere liberale radicale, essere attenti all’economia, non significa non vederne e criticarne le distorsioni. Bisogna intervenire su più livelli, considerando che anche il ceto medio-alto fa sempre più fatica a far quadrare il proprio budget, figurarsi gli altri.

Provoco sapendo di provocare, ma capirà che alcune cose che ha detto finora in questa chiacchierata avrebbe potuto dirle un socialista.

Io non sono socialista, sono sociale, sono, appunto, liberale radicale. E lo sanno bene i delegati del Plr che per un pelo non mi hanno eletta presidente cantonale nel 2020. Al primo turno, solo una manciata di voti differenza tra me, Martinenghi e Speziali. Non credo che il paio di voti che mancavano determinino che io sia meno liberale di un altro, non credo di essere una mosca bianca. Certo, rispetto ad altri esponenti più silenti, ho il coraggio di portare avanti le mie posizioni, così come di assumerne le conseguenze. Le mie dichiarazioni, però, anche in questa intervista, vogliono essere uno stimolo per il Plr a favore della coesione, perché ogni volta che ci dimentichiamo di chi fa più fatica creiamo tensione e invidia sociale, che portano i populismi a crescere sempre di più, frenando quelle riforme e la crescita del benessere che tanto vorremmo.

La possibilità di una nuova congiunzione col Centro alle Federali è definitivamente archiviata o secondo lei può avere una seconda chance considerata la polarizzazione crescente a destra e sinistra?

Ci sono i bei principi, quelli secondo cui partiti affini, cosiddetti di centro, dovrebbero unirsi. Il problema è che il Centro, ex Ppd, lo è per ora solo nel nome. È un partito che ha scelto di fare anche campagne popolari, qualcuno potrebbe dire populiste: una volta le imposte di circolazione, un’altra i radar. L’ultimo risultato elettorale li ha premiati. Però, poi, in aula sul tema della ripartizione dei seggi commissionali si sono astenuti dicendo che il tema non li concerneva. Ma come? Applicare la legge o meno non li concerne? Il giorno prima, il 2 maggio, hanno dichiarato fedeltà alla Costituzione e alle leggi. Il giorno dopo, il 3 maggio, non hanno votato in aula per l’applicazione della legge. Essere un partito di centro ha come prima regola lo Stato di diritto.

Pare di capire che la risposta alla domanda precedente sia ‘no’.

È un’ipotesi che credo sia molto lontana, serve prima dimostrare sul campo che abbiamo un’affinità programmatica. Dopo averlo criticato, però, mi faccia dire che il Centro ha saputo negli ultimi anni (non so se con o senza mal di pancia) gestire bene le sue diversità. Lei mi ha chiesto qual è il mio rapporto col mio partito, nel Centro nessuno si chiede se Fabio Regazzi o Giorgio Fonio siano al loro posto: entrambi, in modi molto diversi tra loro, rappresentano (e bene!) il partito. È una lezione che il Plr deve imparare. Prima di pensare a congiungersi col Centro, il Plr dovrebbe chiedersi quale sia oggi la sua identità. Poi decidiamo come arricchirla o completarla.

Lei si è sempre molto battuta per la parità di genere, con le dimissioni di Marina Carobbio alle Camere federali resta solo Greta Gysin per il Ticino. È un brutto segnale, ma a cosa è dovuto il fatto che in politica le donne continuino a fare fatica a emergere?

Si trovano poche donne nelle liste quando le donne sono più della metà della popolazione, è un altro motivo per cui si vota di meno. Meno l’elettorato si identifica, meno vota. Meno scelta si offre, meno si mobilitano gli elettori e le elettrici. Mentre con gli uomini si riesce ad avere un ventaglio (età, professione, regione, area di pensiero), con le donne bisogna spesso accontentarsi di una sola in lista o, qualche volta, di una eletta. Con tutto il rispetto per Gysin, non credo che tutte le donne si riconoscano in lei. È di nuovo tempo che anche una donna di cultura liberale possa dare il suo contributo alle Camere federali. Mi dispiace che il Plr non abbia ancora capito che occorre puntare su una maggiore rappresentanza femminile. Alle ultime cantonali, in lista per il governo di nuovo c’era solamente una donna, Alessandra Gianella, tra l’altro arrivata seconda. È anacronistico. Purtroppo, però, se non si vive una discriminazione, non si capisce come combatterla e superarla. In consessi partitici dove ci sono file di cravatte una di fianco all’altra, quando si sollevano certi temi a volte la reazione è ‘Ma ancora?’. Negando questa discriminazione, gli uomini esercitano ancora di più il privilegio che hanno e sono infastiditi da chi promuove le pari opportunità, ossia la possibilità di far saltare qualche seggio maschile. Lo noto anche nella mia professione, nell’impegno per la piazza finanziaria: se i punti che sollevi non sono scomodi, vuol dire che non stai facendo un buon lavoro. Certo, per le donne è tutto più difficile: essere candidate, elette e, soprattutto, rispettate. Da quando ho dei figli poi vivo sulla mia pelle situazioni grottesche come l’essere accusata di trascurare la famiglia e, allo stesso tempo, di non fare comizi da Chiasso ad Airolo. Non mi risulta che succeda anche agli uomini. Non voglio né vogliamo alcun regalo, semplicemente chiediamo non ci siano sempre e comunque degli ostacoli. Ecco, per concludere, non sono divisiva, ma determinata, questo sì.