Lo ha stabilito l'Ufficio presidenziale. Due le varianti sul tavolo che vedono un posto conteso tra Ps e Plr. Interpretazioni al voto...
Sarà il plenum del nuovo Gran Consiglio, nella seduta costitutiva del 2 maggio, a emettere il verdetto sulla ripartizione dei seggi nelle commissioni parlamentari per la legislatura 2023-27. Sul tavolo ci sarà da un lato la decisione comunicata il 4 aprile dalla Segreteria del Gran Consiglio ai partiti le cui liste hanno ottenuto almeno cinque deputati alle elezioni cantonali e che prevede cinque seggi al Plr, quattro al Centro, tre alla Lega, due al Ps, due all'Udc e uno ai Verdi. Dall'altro lato ci sarà una delle due varianti – la seconda – contenuta nel reclamo dei socialisti, che contestava le modalità di calcolo utilizzate dalla Segreteria, firmato dai copresidenti Laura Riget e Fabrizio Sirica, dal capogruppo in Gran Consiglio Ivo Durisch e dalla prima proponente Anna Biscossa. Opzione che invece assegna tre seggi al Ps – come nel quadriennio al termine – pur considerando la perdita di un deputato, e quattro al Plr – uno meno di ora – a fronte della perdita di due parlamentari.
È quanto ha deciso oggi, e segnalato in una nota, l'Ufficio presidenziale (Up) del Gran Consiglio in una riunione chiesta dal capogruppo democentrista Sergio Morisoli per fare chiarezza sulla decisione presa dal Consiglio di Stato di non indire le elezioni suppletive per il posto lasciato vacante al Consiglio degli Stati dopo l'elezione al governo cantonale della socialista Marina Carobbio. Presenti all'incontro tenutosi online lo stesso Morisoli, Durisch, la presidente dell'Up Gina La Mantia (Ps), i vicepresidenti Nadia Ghisolfi (Centro) e Michele Guerra (Lega), i capigruppo Maurizio Agustoni (Centro) e Boris Bignasca (Lega), nonché il vicecapogruppo Plr Sebastiano Gaffuri.
Come spiega Gina La Mantia da noi contattata, «dopo le differenti valutazioni relative all’interpretazione delle norme sulla distribuzione dei seggi, si è stabilito di lasciare la facoltà di decidere tra le due varianti al Gran Consiglio». A monte della decisione odierna c'è, come scritto, il reclamo inoltrato la scorsa settimana dal Partito socialista. «Penso che quella adottata dall'Ufficio presidenziale sia la via più democratica per chiarire la questione – sostiene Ivo Durisch –. Come Ps riteniamo che ci sia un problema di interpretazione della disposizione contenuta dal 2019 nella Legge sull'esercizio dei diritti politici. Un problema dovuto anche al fatto che per la prima volta si è concretamente confrontati con le conseguenze dell'applicazione di una norma che stabilisce di approssimare il quoziente al numero intero superiore. Ciò che introdurrebbe un maggioritario mascherato se questa disposizione venisse attuata per la ripartizione dei seggi nelle commissioni». La ripartizione appunto: il quoziente del 5,29 di queste elezioni è stato arrotondato al 6, ed è quello utilizzato dalla Segreteria del Gran Consiglio. La quale nei propri calcoli, prosegue Durisch, «ha richiamato l'articolo sulla Legge sul Gran Consiglio concernente la distribuzione dei seggi nel legislativo, ma in quest'ultimo caso i numeri in ballo sono ben più elevati di quelli sulla ripartizione dei seggi commissionali. L'arrotondamento al numero intero superiore del quoziente per la distribuzione dei seggi in Gran Consiglio è ininfluente sul sistema proporzionale, influisce invece sulla ripartizione dei seggi nelle commissioni».
A rimetterci secondo il calcolo socialista sarebbero i liberali. «Per quanto ci riguarda, davanti a una situazione simile dove si va a interpretare la legge, riteniamo che debba essere il Gran Consiglio a prendere una decisione, e non l’Ufficio presidenziale – commenta Sebastiano Gaffuri –. Abbiamo quindi promosso e condiviso la decisione di andare davanti al parlamento». Dice Maurizio Agustoni, capogruppo del Centro: «Sicuramente a suo tempo non sono state discusse le implicazioni, per quanto riguarda la ripartizione dei seggi nelle commissioni, della modifica della Legge sull'esercizio dei diritti politici. La soluzione più lineare, e soprattutto democratica, ci è parsa quella di far decidere il plenum del Gran Consiglio. È giusto che sia il legislatore a stabilire come vada interpretata la norma». Afferma il capogruppo della Lega Boris Bignasca: «A me sembra più ragionevole e proporzionale la soluzione del quoziente del 5,29 non arrotondato al numero intero superiore. Per il resto vediamo cosa deciderà il plenum».
Secondo Matteo Pronzini del Movimento per il socialismo (formazione che non fa gruppo avendo meno di cinque granconsiglieri), «questa vicenda è l'ulteriore dimostrazione di un modo di procedere dei gruppi parlamentari superficiale e improvvisato. Come mai non si sono accorti per tempo delle conseguenze della norma introdotta nel 2019? Ora il Gran Consiglio voterà addirittura sull'interpretazione: e la certezza del diritto?!».
In questo momento, rileva il democentrista Sergio Morisoli, «non ci sono però alternative alla decisione dell’Up se si vuole istituire e far partire subito le nuove commissioni parlamentari. In ogni caso bisognerà poi intervenire sulla legge per fugare dubbi di sorta».
Durante l'incontro, l’Ufficio presidenziale ha anche stabilito di chiedere al governo copia della risoluzione e di eventuali pareri giuridici a suo supporto in merito alla decisione del 6 aprile di non indire un’elezione complementare per il seggio vacante al Consiglio degli Stati. «All’unanimità si è deciso di verificare i criteri, i motivi per i quali l’Esecutivo cantonale non ha indetto le suppletive: è una questione di trasparenza nei confronti dei cittadini – sottolinea Morisoli –. Ho apprezzato molto la volontà espressa da tutti nella riunione dell’Ufficio presidenziale di andare fino in fondo, per la tranquillità dell’elettorato e dei partiti, indipendentemente dai rispettivi interessi. Il che è fondamentale in uno stato di diritto». Quello dell'Up del parlamento di chiedere al Consiglio di Stato le ‘pezze giustificative’ della decisione di rinunciare alle suppletive può essere letto come un atto di sfiducia nei suoi confronti? «Non direi – risponde La Mantia –, viene dalla necessità di comprendere meglio le basi della decisione presa dal governo».
«Direi che interpretiamo alla lettera l’articolo 75 della Legge sul Gran Consiglio», indica a sua volta Morisoli. L’articolo citato dal capogruppo dell’Udc recita che “il Gran Consiglio esercita l’alta vigilanza sul Consiglio di Stato e sui tribunali ed esercita gli attributi della sovranità che la Costituzione non riserva esplicitamente ad altra autorità”. Riprende Morisoli: «Per ora abbiamo solo il comunicato stampa rilasciato la settimana scorsa dal governo». Che non chiarisce tutto. «E la chiarezza si impone a maggiore ragione quando parliamo di diritti popolari», chiosa. «Abbiamo seguito diligentemente la via istituzionale in base alla legge sul Gran Consiglio. Vedremo cosa ci risponderà il governo», dice Morisoli, aggiungendo che l’Udc «non ritira» l’iniziativa parlamentare che propone di rimuovere dalla legge il divieto di tenere elezioni e votazioni cantonali nei mesi di luglio e agosto.