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Trump in fuga e il Papa rapper: l’era delle foto false fai-da-te

Basta un abbonamento per creare immagini finte che possono fare il giro del mondo o mettere nei guai una persona. Ma dov’è il limite? Pare non ci sia

Il falso arresto di Trump (Twitter)

Il movimentato arresto di Donald Trump e lo sfoggio di un elegante piumino da parte del Santo Padre sono solo alcune dimostrazioni di quel che sta per piovere in maniera torrenziale sui nostri schermi, poco importa se di un computer, un tablet o uno smartphone.

Qualcuno parla di banale applicazione artistica dell’intelligenza artificiale, trova divertenti certe iniziative, ritiene di non trovarci nulla di male o di preoccupante.

Se ci fosse una diffusa consapevolezza di quel che sono in grado di combinare certe soluzioni informatiche particolarmente evolute, si potrebbe esser d’accordo sull’aspetto spiritoso di certe immagini ma certo non si potrebbe mai disconoscere la pericolosità di certe chance che alcuni strumenti mettono a disposizione.

Di cosa stiamo parlando

Paragonando la pubblicazione di immagini fake a un incidente stradale, rinviamo la dinamica della collisione o dell’investimento a un momento successivo: prima di occuparci delle responsabilità di “chi” ha prodotto certe conseguenze, cerchiamo di capire “cosa” è stato utilizzato per giungere a quel risultato.

Si trattasse di ispezionare una vettura si dovrebbe aprire il cofano o compiere altre manovre per curiosare al suo interno. Nel caso delle foto farlocche ma pazzescamente verosimili, dobbiamo sapere che lo strumento è un sofisticato programma informatico “text-to-image”, ovvero un software capace di generare in assoluta autonomia una rappresentazione grafica partendo semplicemente da una serie di indicazioni testuali ricevute dall’utente.

In termini pratici chi dispone di questo programma somiglia – tutto sommato – ad Aladino alle prese con la sua magica lampada. Senza aver bisogno di strofinare alcunché, il fortunato utilizzatore si limita a descrivere il prodotto che vorrebbe venisse visualizzato, delegando al motore di MidJourney di rintracciare gli ingredienti (ovvero tutte le immagini che, presenti in Rete, possono avere attinenza con il risultato che il “committente” si aspetta).


Il Papa alla moda è un altro fake che ha ingannato molti (Twitter)

Inventato da David Holz e varato il 12 luglio 2022, è diventato un mezzo dalle capacità sbalorditive per creare paesaggi, scene e soggetti che nemmeno il più bravo specialista di “fotoritocco” sarebbe in grado di realizzare. Queste sue straordinarie doti creative hanno prima terrorizzato il mondo dell’arte e adesso impensieriscono chi non fatica a immaginare un distorto uso speculativo di fotografie la cui diffusione potrebbe sconvolgere il mondo. Ma è ancora presto per parlare di rischi e angosce…

Dove si trova e come funziona

Chi vuole saggiare le potenzialità di MidJourney può sperimentarle personalmente dopo aver acquisito un account sulla piattaforma statunitense Discord, che offre servizi di telefonia via Internet, messaggistica istantanea e distribuzione digitale originariamente nata per i videogiocatori e progettata per condividere e comunicare tra persone con interessi simili.

L’iscrizione a Discord è gratuita e, una volta effettuata, ci si collega al sito web di Midjourney. Basta fare clic sul pulsante “Join the Beta” che ammette a fruire della versione sperimentale del software che tutt’ora vive una fase evolutiva non da poco. Il sito fa partire un invito su Discord che, se si vuole continuare, deve essere accettato. La app di Discord “ha la pressione bassa” e quindi non si avvia immediatamente, ma – se si ha un po’ di pazienza – quando si presenta sullo schermo si deve andare sul menu a sinistra e selezionare l’icona MidJourney che è simile a una nave.

A questo punto si accede a una sorta di appartamento virtuale con più stanze “Newcomer”, riservate ai “nuovi arrivati” e aperte ad accettare chi comincia questo genere di avventura.

Quando si è pronti basta digitare “/imagine” nella conversazione Discord della stanza per principianti. Si apre una finestra popup in cui è possibile fornire la descrizione dell’immagine. La fatica fatta fino a quell’istante sta per essere ripagata.

Più specifici sono i dettagli forniti, migliore sarà il risultato che l’intelligenza artificiale sarà in grado di “partorire”.

Più dettagli, più risultati

Premuto il tasto “enter” per inviare la richiesta, nel giro di un minuto MidJourney è in grado di generare alcune immagini che tengono conto delle indicazioni ricevute. Normalmente il programma sforna più di un prodotto, consentendo all’utente di avere alcune alternative tra cui scegliere per proseguire nelle operazioni di perfezionamento.

Una volta trovata l’immagine più aderente alle aspettative, selezionando U la si può ingrandire e procedere a ulteriori perfezionamenti. Finite correzioni e modifiche si può scaricare l’immagine e, completato il download, la si può utilizzare a proprio piacimento.


Macron tra i manifestanti? Altro fake (Twitter)

Le tecnologie hanno rivoluzionato il mondo del lavoro intaccando mestieri e professioni “sostituibili” da soluzioni automatizzate, ma fino a poco tempo fa si pensava che la creatività rimanesse esente da possibili scippi.

Il dilemma degli illustratori

La base di metaconoscenza di MidJourney è rappresentata dall’infinità di immagini reperibili sul web: il sistema è stato pasciuto con miliardi di foto e disegni che sono opera di artisti in carne e ossa. Il programma – congegnato per “autoapprendere” – si arricchisce ogni giorno di cognizioni nuove grazie ad algoritmi che simulano le modalità con cui la mente umana trae conclusioni o opera attraverso il ragionamento. Il sistema affina con incredibile rapidità accostamenti cromatici, aggregazione e composizione di elementi, coreografie e così a seguire.

Non passerà tanto tempo prima che un’immagine creata da MidJourney diventi indistinguibile e chi vorrà rivendicarne indebitamente la paternità avrà vita facile perché l’etica sul fronte dell’uso dell’intelligenza artificiale stenta ad attecchire nonostante da anni suoni (inutilmente) la sirena dell’allarme. Il saccheggio di lavori esistenti è destinato a divenire la regola, in spregio alla sussistenza di qualsivoglia diritto d’autore. Le opere dell’ingegno sono in pericolo e la pioggia di libri tradotti in altra lingua – interamente o solo in parte – da sistemi di intelligenza artificiale come DeepL Traslate, e soltanto soggetti a revisione umana, ne è solo una plateale dimostrazione.

Gli interessi commerciali in campo sono infiniti e l’assenza di scrupoli fertilizza uno scenario che spaventa non solo gli artisti. Non sarà unicamente la morte del “fatto a mano”. Dietro l’angolo si profilano ben peggiori orizzonti.

Legittime preoccupazioni

Chi guarda lontano non esita a considerare l’intelligenza artificiale una vera e propria “arma”, da disciplinare e su cui ipotizzare una sorta di “non proliferazione”. Senza allargare il campo (si perderebbe solo l’orientamento) è sufficiente immaginare un uso spregiudicato di fotografie generate da MidJourney (o dalle tante alternative che non tarderanno ad affacciarsi sul mercato) e provare a supporne le riverberazioni politiche, economiche e sociali.

In questi anni non siamo stati capaci di arginare lo tsunami di fake news e soprattutto non si è nemmeno capito che non era il fact-checking la ricetta giusta. La verifica della singola notizia è come il farmaco analgesico per far passare il dolore ai denti. Non risolve affatto il problema, anche se gli effetti immediati sembrano soddisfacenti.


Putin in ginocchio da Xi, troppo in ginocchio, infatti non è vero (Twitter)

Disinformazione e antidoti

La cura contro la disinformazione (fenomeno che con le foto false ma estremamente verosimili si amplifica a dismisura) comincia con una ponderata azione di prevenzione sul piano culturale che sappia permeare l’intera popolazione. La somministrazione di correttivi in occasione di situazioni di emergenza è un palliativo ed è destinata a una “farmacoresistenza” inevitabile per il ripetersi dell’ingestione di “pillole” cui l’organismo non tarda ad assuefarsi.

Un intervento educativo a più livelli (il cui più basso è quello della formazione scolastica) può “vaccinare” la collettività che nel frattempo ha abbandonato i canali tradizionali di informazione. La gente ha lasciato quotidiani, periodici e notiziari radiotelevisivi per abbeverarsi alle micidiali fonti dei social network la cui inattendibilità non frena la corsa di chi disseta così la voglia di sapere di più e di sapere prima.

Chi naviga online è indotto in errore da semplici scritti spesso smaccatamente privi di senso e di fondamento. C’è chi addirittura si ferma al titolo, senza nemmeno prendere in considerazione l’eventuale occhiello: in un attimo la frase a effetto che ha calamitato l’attenzione scatena il clic del mouse o l’azione del polpastrello sul display, innescando la condivisione di contenuti “avvelenati” e diffondendo pericolose distorsioni della realtà che influiscono su opinioni e pensieri.

Se poche parole sono capaci di scatenare le reazioni più infervorate, cosa accadrà quando l’inquinamento dell’informazione potrà contare sulla produzione sistematica di rappresentazioni?

Visuali fasulle

Le provocatorie fotografie di Trump, con cui il pool di giornalismo investigativo Bellingcat è arrivato in un battibaleno in ogni angolo del pianeta, sono un segnale da non trascurare. Se qualche errore nelle proporzioni dei soggetti ritratti nelle abili messe in scena o qualche sbavatura caricaturale dei protagonisti potevano far insorgere nel pubblico più attento il dubbio sulla autenticità delle immagini, tra qualche mese i risultati saranno di perfezione tale da ingannare anche i più qualificati cyber-detective.

Uno scatto audace può rovinare la reputazione anche a chi può vantare condotta immacolata, una stretta di mano o un atteggiamento confidenziale con un individuo sbagliato può disintegrare la credibilità dei più ortodossi personaggi della politica o dell’imprenditoria, il presunto selfie chissà dove non fatica a mettere nei guai anche il soggetto più irreprensibile.

Arriverà quel che nemmeno Robert Zemeckis, il regista di ‘Forrest Gump’, avrebbe immaginato si potesse realizzare. E il ricordo di certe scene interpretate da Tom Hanks alle prese con personaggi storici faranno esclamare al nostro vicino di casa “Bazzecole, quelle sono bazzecole. Posso far di meglio, molto di meglio…”.