LA TRATTATIVA

Ora a preoccupare sono i rischi nascosti

Attività di cui disfarsi, doppioni, clienti indesiderati e altre incognite emergeranno solo dopo lunghi controlli. ‘Investment banking rivenduto o buttato’.

(Keystone)
19 marzo 2023
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Per Carlo Lombardini l’alternativa a un accordo sarebbe stata la“morte certa” e repentina del Credit Suisse (Cs). Per questo, anche quando nel primo pomeriggio di ieri il Tages-Anzeiger aveva dato notizia di un primo rifiuto all’offerta di Ubs – poi rilanciata e accettata – l’avvocato a Ginevra e professore di Diritto bancario all’Università di Losanna aveva chiamato il bluff: l’unica alternativa sarebbe stata il tracollo. Una cosa, però, è dire ‘sì’ come due novelli sposini. Un’altra è superare tutti gli ostacoli di una relazione che potrebbe rivelare più d’una brutta sorpresa. Chiediamo a Lombardini di aiutarci a comprendere quali rischi si nascondano nei libri mastri.

Il Cs è la classica banca universale, attiva su più fronti: i depositi e i crediti ‘classici’, la gestione patrimoniale e l’investment banking. Un conglomerato che ha alcune parti sane – in primis l’attività svizzera – ma anche membra moribonde a causa di scandali e cattiva gestione. L’economista Nouriel Roubini ha osservato che è troppo grande per fallire, ma anche troppo grande per essere salvata. E Ubs aveva già promesso una riduzione del ramo investimenti. Ci aspetta uno spezzatino?

Penso proprio che il settore dell’investment banking sarà rivenduto – se ci si riesce – o addirittura buttato. Per questo Ubs è stata restia a fare offerte troppo generose: ci sono troppe attività di cui disfarsi, i cui rischi finanziari e reputazionali sono peraltro ancora da valutare con una meticolosa, prolungata due diligence; parliamo di elementi e scelte passate che inoltre non hanno più senso in quanto incompatibili con la strategia di Ubs. In particolare, è verosimile che non si vogliano ereditare certe pratiche giudicate troppo aggressive.

C’è anche il problema di eliminare i doppioni: sedi, sistemi informatici, attività di ‘retrobottega’…

Ma quello tutto sommato è il meno. Il problema vero – che spiega i termini scontati dell’offerta – è dover acquistare a scatola chiusa un portfolio di attività e clienti che solo dopo mesi potranno rivelare le loro effettive vulnerabilità. Questo anche se Ubs è comunque interessata all’acquisto, tanto per sfruttare il potenziale di Cs quanto per evitare un fallimento che sarebbe una batosta per l’intera piazza svizzera, perché segnalerebbe che il Paese non riesce a sorvegliare le sue istituzioni finanziarie.

Visto che le attività svizzere di Cs sono sane, c’era chi suggeriva di mantenerle autonome, anche per preservare una certa concorrenza, e vendere solo il resto.

Non è possibile, perché allora non si vede quale convenienza avrebbe mai potuto trovare Ubs nell’acquisto di Cs.

Ma ora non si teme un monopolio finanziario?

Di sicuro il rischio c’è, e proprio per questo la Commissione della concorrenza potrebbe chiedere la vendita a terzi di alcune attività. Ci saranno anche grandi clienti che, avendo in passato differenziato il deposito dei loro averi tra Ubs e Cs, preferiranno spontaneamente scegliere un’altra banca dove spostare parte di quel patrimonio, tra l’altro riducendo così ulteriormente gli asset in gestione. In ogni caso, però, la priorità ora non è la concorrenza, quanto piuttosto il salvataggio di un istituto finanziario d’importanza sistemica dalle conseguenze di un panico generalizzato.

Uno più uno, comunque, farà molto meno di due. Anche perché i due istituti seguono da tempo curve divergenti: negli ultimi tre anni il prezzo delle azioni Ubs è aumentato del 120%, quello del Credit Suisse è sceso del 70%. È ‘solo’ il risultato di gestioni diverse, oppure è un dato da attribuire anche al nervosismo e all’aleatorietà dei mercati?

Semplicemente, il mercato pensa che Ubs gestisca bene i suoi rischi, a differenza di Credit Suisse. In ogni caso, non dimentichiamo che anche Ubs nel corso degli anni è scesa da 90 a 20 franchi per azione. A maggior ragione allora occorreva ‘scontare’ l’investimento il più possibile, in previsione di un processo d’integrazione che richiederà un lavoro colossale, un enorme impiego di risorse che andranno spostate dal perseguimento della strategia gestionale al completamento di quella stessa integrazione.

Si pensa anche di invocare clausole d’emergenza per non dover passare dall’ok formale degli azionisti all’acquisizione. È la dimostrazione del fatto che i vertici delle grandi banche non rispondono più nemmeno ai loro proprietari?

Non direi, perché in ogni caso gli azionisti, se scontenti dell’accordo, possono mettersi a cedere in massa le azioni Ubs, esprimendo così il loro disappunto nel più forte dei modi. È proprio per questo che si è cercato in ogni modo di ‘strappare’ un accordo ragionevole e sostenibile. L.E.