Cantonali 23, terzo dibattito organizzato da ‘laRegione’ in vista del 2 aprile. Gianella (Plr), Agustoni (Centro) ed Erez (Socialisti e Verdi) a confronto
Alessandra Gianella, per la maggioranza del Gran Consiglio si è arrivati finalmente a votare la sperimentazione per il superamento dei livelli. Anche in questo caso il Plr si è opposto: per voi come si sarebbe dovuta risolvere la questione?
Gianella: Siamo d’accordo nel merito di superare i livelli, però dal nostro punto di vista la proposta approvata non è una reale sperimentazione che permetterà di ottenere dei risultati misurabili. Perché è facoltativa e su annuncio volontario, verrà fatta solo in sei sedi e prevede quattro modelli. Per tutti questi fattori sarà difficile valutarne l’efficacia. Inoltre secondo noi manca tutto l’aspetto legato all’orientamento che avevamo chiesto con la nostra iniziativa parlamentare. Troviamo infatti che sia fondamentale in terza e quarta media aiutare gli allievi a capire quali sono gli ambiti in cui si trovano più a loro agio e quali percorsi vorrebbero approfondire.
Non si tratta anche di una questione personale col direttore uscente del Decs?
Gianella: In realtà in questa legislatura la maggior parte delle proposte che sono uscite dalla commissione ‘Formazione e cultura’ sono state sostenute anche da noi e questo dimostra che non c’è di principio una contrarietà. Col direttore uscente non abbiamo nulla di personale, ma con diverse sue proposte sì, perché non condividiamo l’impostazione che negli anni ha dato al tema dei livelli e quella data alla sua volontà di riformare la scuola.
Ritenete che manchi un vero coinvolgimento del mondo della scuola?
Gianella: Nel caso della sperimentazione diversi direttori di scuola e docenti non erano convinti del modello proposto. Sarebbe dunque stato preferibile aspettare un po’ di più, per elaborare qualcosa che convincesse davvero anche gli attori della scuola. Le critiche e perplessità dall’interno, da chi fa la scuola tutti i giorni, dovrebbero essere maggiormente considerate. Così come le valutazioni esterne del mondo del lavoro e dell’economia che mettono in guardia sui tempi che sono cambiati. La scuola dovrebbe essere più vicina anche a questi mutamenti.
Maurizio Agustoni, nella precedente proposta di sperimentazione del Decs, rifiutata per pochissimo dal Gran Consiglio nel gennaio 2022, il sostegno della maggioranza del vostro gruppo arrivò per il rotto della cuffia perché avevate molti dubbi. Cosa è cambiato nel frattempo?
Agustoni: Poco visto che abbiamo votato di sì in entrambi i casi. La prima volta avevamo chiesto delle garanzie, in particolare la presenza di un ente esterno per valutare la sperimentazione. Nell’ultimo rapporto commissionale di maggioranza, che in parlamento ha avuto un ampio sostegno, è rimasta l’indicazione relativa all’ente esterno e questo ci soddisfa. Non può essere il Gran Consiglio a decidere quali sono i criteri di verifica di un modello. La politica deve indicare gli obiettivi e mettere a disposizione i mezzi per raggiungerli, ma il percorso deve essere definito dagli specialisti. Anche per questo il modello è stato elaborato da persone che lavorano nel mondo della formazione, e la Commissione ha semplicemente aggiunto delle varianti che erano state proposte da altri atti parlamentari, tra cui il nostro allestito in collaborazione con l’Ocst Docenti. C’è poi anche una questione di costi, sperimentare la codocenza a tempo pieno per tutte le sedi sarebbe stata una spesa decisamente più importante.
Quindi non sarà un esperimento, più che una sperimentazione, come sostengono i liberali radicali?
Agustoni: Non capisco il ragionamento del Plr secondo cui se qualcuno si propone liberamente ed è felice di fare la sperimentazione la falserà. Se a una persona a cui piace sciare si fa provare un nuovo paio di sci non vedo dove sia il problema visto che la valutazione è col paio di sci vecchi, non con l’esperienza di qualcuno a cui non piace sciare. Anche quando è stata sperimentata la storia delle religioni sono state scelte alcune sedi con delle varianti e la verifica è stata affidata a persone competenti del mondo della scuola, non a dei partiti politici che sono di parte.
Gianella: Non è tanto la questione di proporsi volontariamente a essere critica, ma il fatto che si sperimentino addirittura quattro modelli a scelta in sei sedi, quando già solo sul concetto di codocenza non c’è unanimità in merito a cosa voglia dire. Se già di partenza non si è d’accordo su come applicare la codocenza, di conseguenza diventa molto difficile analizzarne i risultati.
Boas Erez, lei ha assistito da fuori a questa discussione, qual è la sua valutazione? Si aspettava magari di più a livello di coesione e inclusione?
Erez: Per prima cosa quello di sopprimere i livelli penso sia un obiettivo assolutamente da raggiungere. In Ticino abbiamo una scuola media unica ed è dimostrato "scientificamente" – anche se esito sempre a usare questa parola – che si tratta di un modello che porta gli allievi a un successo per il fatto di essere inclusivo e di ritardare le scelte, sempre complicate, relative a cosa fare dopo la scuola dell’obbligo. Se si crede che questo sia un modello che vale la pena di difendere, si deve anche andare verso la soppressione dei livelli senza reintrodurre altre traiettorie che limitino la libertà di scelta. In generale però queste discussioni mostrano una mancanza di entusiasmo e talvolta sono usate come pretesto per parlare d’altro. Ad esempio Gianella più che parlare veramente dei livelli rimprovera al Decs di non ascoltare abbastanza la rappresentanza del corpo docenti. Dal punto di vista del metodo, Agustoni diceva che il parlamento dovrebbe fissare gli obiettivi e dare i mezzi per raggiungerli, ma lasciare a qualcun altro immaginare come fare. Sono d’accordo, ma non mi sembra che il dibattito sia stato improntato su queste basi. Se voglio una polizia più efficace non mi aspetto che il parlamento dica quanti poliziotti ci vogliono e come formarli. Mi sembra ci sia una confusione e che spesso il parlamento entri troppo nelle modalità e tiri i discorsi troppo per le lunghe per ottenere dei piccoli successi.
Si tratta dunque di discorsi che nascondono altro?
Erez: Su quella che è l’impostazione generale vedo una differenza tra la posizione del Plr, che non è un’opposizione di principio, e quella dell’Udc che con altri sta lavorando da anni per uno smantellamento della scuola pubblica. Quando Sergio Morisoli dice che c’è un’uguaglianza per gli allievi all’entrata ma non ci deve essere all’uscita dice una cosa grave. È una visione della nostra società che va assolutamente combattuta. La scuola deve cercare di correggere le differenze e dare le stesse opportunità a tutti, al contempo facendo valere i talenti degli uni e degli altri.
Gianella, la differenziazione anche in ottica del mondo del lavoro per voi è sempre stata necessaria.
Gianella: Tengo a sottolineare che noi abbiamo sempre difeso la scuola pubblica e continueremo a farlo perché dare a tutti una formazione è la base fondamentale della società. Dal nostro punto di vista è giusto includere, però poi non bisogna arrivare a penalizzare chi va meglio o è più bravo in alcune materie perché c’è il rischio di andare a livellare verso il basso. Qui si inserisce la questione del ciclo di orientamento per permettere agli allievi di farsi un’idea completa delle possibilità che ci sono dopo le Medie. Per questo chiediamo di approfondire le materie secondo i propri interessi e di confrontarsi maggiormente con le professioni e la realtà che i ragazzi troveranno nel passaggio successivo. Bisogna tener conto anche di quanto dice il mondo professionale quando rende attenti che ci sono dei profili che mancano, delle professioni che magari non vengono abbastanza valorizzate. L’apprendistato è qualcosa di fenomenale che nel nostro cantone è ancora un po’ sottovalutato.
Significa che la scuola deve indirizzare gli allievi verso i bisogni del mondo professionale?
Gianella: La nostra idea è che bisognerebbe sfruttare le possibilità di conoscere meglio le varie professioni, anche attraverso i centri di competenza della ricerca dell’innovazione che possono far suscitare in qualcuno l’interesse per un certo tipo di professione a cui magari non aveva pensato. Sarebbe importante permettere questo scambio e renderlo molto più frequente di oggi per dare l’opportunità di una visione a 360 gradi delle opzioni.
Agustoni: Una delle nostre richieste poi confluite nel rapporto sulla sperimentazione era di avere all’interno del curriculum scolastico anche una declinazione diversa della materia, con alcune opzioni più pensate per uno studio superiore e altre più legate al mondo dell’apprendistato. C’è uno studio di Aiti legato al piano strategico Ticino 2032 in cui viene fatta la richiesta di un maggiore dialogo e una migliore interconnessione tra i mondi della scuola e del lavoro. Questo potrebbe iniziare già alla scuola media, ad esempio trasmettendo alcune conoscenze di base in ambito elettronico o meccanico che possono essere utili in una prospettiva professionale. D’altro canto sarebbe interessante avere più possibilità di fare degli stage. Da questo punto di vista l’orientamento professionale è qualcosa che va migliorato. Il problema è che spesso l’attuale direttore del Decs stabilisce il target di successo della nostra scuola in base al tasso di licealizzazione dando a intendere che chi opta per l’apprendistato fa una scelta non così pagante o valorizzante. D’altro canto, ritengo fondamentale che si metta l’accento sul trasmettere una buona cultura di base soprattutto agli allievi che non sono indirizzati verso un percorso liceale. Faccio spesso l’esempio del film ‘Il compagno Don Camillo’ dove a un certo punto i protagonisti sono in Russia ad assistere a ‘La Traviata’ di Verdi e Peppone afferma: "Stanno già facendo ‘di Provenza il mar, il suol’, hanno saltato almeno 20 minuti". Questo passaggio mi ha sempre impressionato perché si tratta di un meccanico in grado di andare a un’opera lirica e addirittura di capire a che punto si trova. È un livello di cultura generale che oggi manca. Adesso si insiste molto di più sulle competenze, che sono sicuramente importanti, ma che da sole non bastano. Si può essere dei geni, ma se non si conosce la realtà non si riuscirà mai a fare un ragionamento compiuto.
Siamo passati al ruolo della scuola. Quale deve essere?
Erez: I primi articoli della Legge sulla scuola dicono che la scuola è un’istituzione. Un’istituzione che si situa in un triangolo con la società e l’allievo, il cui compito è di formare i cittadini, dunque non dei lavoratori. Il valore di un’istituzione è anche una certa rigidità. Questa da un lato viene criticata perché poi è difficile da far smuovere, dall’altro però è ciò che ci garantisce il suo essere un pilastro della società. L’economia naturalmente si muove più velocemente e in maniera anche un po’ erratica. È giusto che l’istituzione si adatti anche alla società, ma che lo faccia con i suoi tempi. Non abbiamo abbastanza infermieri o docenti di certe materie, ed è importante tener conto di questi indicatori e che la politica mantenga la sua posizione nel constatare quali potrebbero essere i problemi. Ma non è per questo che bisogna cambiare le istituzioni. Anche perché c’è un buon sistema di passerelle ed è da anni ormai che con queste si possono correggere i percorsi. Concordo però che sia importante investire nell’orientamento per accompagnare gli allievi, e pure lavorare sulla formazione continua.
Agustoni: I fabbisogni esistono e bisogna tenerne conto. Lo si è visto durante la crisi sanitaria, se l’Italia precetta infermieri e medici rimaniamo qui a curarci tra di noi. Se vogliamo potenziare l’insegnamento del tedesco è necessario fare i conti con la carenza dei docenti. A me non scandalizzerebbe se si dicesse ai giovani che in futuro come sistema-Paese avremo bisogno di certe professioni. Anche quando le aziende lamentano l’assenza di certi apprendisti le si dovrebbe ascoltare per il bene del Paese. Ovviamente la scuola non deve essere asservita all’esigenza dell’economia, perché è sbagliato, e perché ha anche una dimensione culturale e di formazione del pensiero critico. Però visto che la formazione ha anche un costo, sarebbe una beffa spendere soldi per fare studiare dei giovani da poi mantenere in disoccupazione.
Sull’anticipo in prima media del tedesco i Giovani liberali radicali vi hanno accusati di ostruzionismo. Come replica?
Agustoni: La dimostrazione che non c’è stato ostruzionismo è che questo anticipo sarà votato la settimana prossima in Gran Consiglio e nella migliore delle ipotesi entrerà in vigore tra due o tre anni. Non capisco bene questa critica, nessuno si è agitato fino a poco dalle elezioni. Potenziare il tedesco in un Paese dove più del 60% della popolazione lo parla ed è richiesto sul lavoro assieme all’inglese ci può stare, bisogna capire però se è giusto incaponirsi sull’unica soluzione dell’anticipo in prima media o se, invece, sia più ragionevole considerarne altre. Noi avevamo proposto un potenziamento dei corsi lingua e sport e lingua e cultura in estate, accessibili a tutti: il Plr si è opposto, peccato perché sarebbe entrato in vigore subito. E con due settimane di tedesco intensivo si fanno più ore che durante tutto l’anno. Sono aperto ad anticiparlo, l’ho già detto, basta capire a che prezzo. Se si tolgono due ore di matematica o di italiano la risposta però sarà no. Si chieda a docenti, esperti di tedesco e direttori delle medie qual è la migliore soluzione, considerando quanto la griglia oraria è già piena e quanto si chiede già a dei bambini appena usciti dalle elementari.
Gianella, su questa proposta è anni che combattete. Però se sui livelli chiedete che la proposta venga davvero dal basso, in questo caso dal basso dicono che ci sono problemi di griglia oraria e non tutti gli esperti sono convinti di questo anticipo.
Gianella: Già sei anni fa si sapeva che uno dei problemi era la mancanza di docenti, e questo tema è ancora lì. Assieme ad altre questioni. È chiaro che per noi italofoni imparare il tedesco è uno shock, per questo con la nostra mozione abbiamo chiesto di anticiparlo, e la commissione ‘Formazione e cultura’ ha trovato un compromesso nella prima media. Per quanto riguarda la griglia oraria è chiaro, bisogna far quadrare tutto. Vero però che in seconda si riesce, anche col tedesco. Ribadisco però che in Svizzera, dove continuiamo a dire quanto è positivo il plurilinguismo, il tedesco è la lingua più parlata, ed è fondamentale anche per lavorare. Il potenziamento proposto dal Centro aveva il problema che questi corsi estivi erano aperti a tutti ma non frequentati da tutti, di conseguenza sarebbero potuti essere scelti da alcune famiglie e non da altre. Dopo sei anni, approfondimenti, richieste, e chi più ne ha più ne metta ora si tratta di decidere se lo vogliamo o no.
Agustoni: Non diciamo di non farlo in prima media, ma di valutare altre possibilità e rinnovo il mio non capire perché si dica di no a un potenziamento dei corsi estivi che non esclude l’anticipo in prima media. Mi sembra un po’ incoerente come posizione, senza dimenticare che il tedesco al liceo è facoltativo.
Erez: Questo dibattito è ancora peggiore di quello sui livelli… avere tempi lunghissimi per decidere se il tedesco deve essere insegnato in prima media in un parlamento per me è una cosa assurda. Gli svizzeri romandi e gli svizzero tedeschi parlano inglese tra di loro, è un dato di fatto, era già così quando studiavo: è triste, ma il 60% degli svizzeri non parla tedesco, parla svizzero tedesco. Impari il tedesco qui, vai Oltre Gottardo e non capisci niente. Purtroppo le realtà sono queste. Le aziende vogliono il tedesco? Si dica che non possono esigerlo per comodità loro, negli ultimi 40/50 anni si è assistito a una arroganza nell’imporre il tedesco anche a livello di bandi che a volte è anticostituzionale. Molti ragazzi escono con delle difficoltà dalle elementari e gli si vuole insegnare subito il tedesco? Non capisco.
Gianella: Però senza questa mozione non si sarebbe tematizzato il problema, non se ne sarebbe parlato e forse non si sarebbe arrivati a questa proposta.
Erez: Si può parlare di tante cose per carità, ma il messaggio alla nazione qual è? Due legislature passate così? Poi ci si lamenta che vota il 35% degli aventi diritto?
Allora di cosa si deve parlare nel Decs secondo lei?
Erez: Il mondo e la società stanno cambiando radicalmente. Penso che la gente e anche alcuni politici non conoscano bene il metodo scientifico, se si assegna un ruolo importante agli scienziati è bene capire cosa è il dubbio. O ancora: una proposta concreta che faccio è guardare verso una cultura della sufficienza, quando nelle nostre valli ci si accontentava di meno e l’economia locale era più privilegiata. Aiuterebbe a capire meglio i bisogni della società, permettendo di cambiare le abitudini di consumo con senso critico.
Una formazione alla vita?
Erez: Anche. Non bisogna mica eliminare la matematica e le lingue, ma la scuola deve portare i ragazzi a diventare cittadini che abbiano davvero una visione d’insieme della società.
La C del Decs è la C di Cultura. Che ha anche un indotto importante: il Bak di Basilea fissa 2,58 franchi generati da ogni franco pubblico investito in questo settore in Ticino. L’area rossoverde è storicamente sensibile sul tema, Agustoni pure e non solo per l’iniziativa popolare ‘100 giorni per la musica’. Il Plr come si schiera?
Gianella: Che la cultura sia fondamentale e parte integrante della società è sempre bene dirlo. Ci sono tantissimi esempi virtuosi, il nostro cantone investe molto e c’è una ricaduta positiva a livello di posti di lavoro e anche per il turismo. In Ticino l’offerta culturale è molto vasta, basti citare il Festival del film, o le manifestazioni più pensate per attirare turisti come ad esempio ‘Moon&Stars’ o il Long lake. L’offerta è ottima, ci sono talmente tante manifestazioni ed eventi che non capisco quando si dice che non c’è niente da fare. Un esempio recente è ‘La Straordinaria’ a Lugano, 20mila entrate in poche settimane. La cultura arricchisce, e va sicuramente sostenuta: noi come liberali l’abbiamo sempre fatto. Ai tempi il nostro partito ha lottato per il Lac, e cara grazia lo abbiamo.
Agustoni, si fa abbastanza in questo ambito?
Agustoni: Ben venga l’offerta culturale che guarda più al turismo e che permette alle persone di avere momenti di svago e arricchimento. Quello che mi interessa di più però è lo scambio tra mondo della scuola e mondo della cultura. Ci si avvicina da piccoli alla cultura, ascoltando concerti, assistendo a uno spettacolo teatrale: se si fa partecipare al sapere i giovani avremo cittadini più aperti e che sviluppano molto più senso critico nei confronti della vita. Questo penso che lo si faccia, ma non abbastanza. Le scuole dovrebbero andare a vedere i musei, i concerti e non solo quelli dell’Osi, ma anche un concerto di gala della Filarmonica o un gruppo di giovani che suona, non necessariamente classica. Sostengo l’iniziativa ‘100 giorni per la musica’ perché imparare a suonare uno strumento oggi è purtroppo elitario, e bisogna invece permetterlo a tutti: è un peccato che delle famiglie per banali motivi economici non abbiano accesso a questo mondo, anche perché la musica sviluppa alcune aree del cervello utili anche in altri ambiti.
Erez: A me sta a cuore un’altra cosa. Oggi si investe perché la gente possa consumare creazioni culturali di altri, in Ticino invece quello che si fa pochissimo è sostenere la creazione culturale e artistica personale. Ora bisogna insistere, avere artisti ticinesi è una questione anche di identità. Adesso attraverso gli artisti di altre epoche possiamo comprendere e imparare le dinamiche e la vita di quei periodi. Gli artisti sono un barometro, possono vedere cose che non vediamo. Noi abbiamo bisogno di queste persone, e per questo dobbiamo investire nella creazione culturale. Nel Preventivo ’23 l’essenziale è preso dal Fondo Swisslos, cioè fuori dal budget. Ogni ticinese sborsa solo 50 centesimi delle sue imposte per la creazione culturale, quindi niente: è qui che si deve lavorare.