Inflitti due anni e mezzo di prigione per lesioni gravi e rissa a un 33enne, che ha picchiato senza motivo due persone. Sarà espulso dalla Svizzera
Ha riempito di botte due persone, senza motivo, tanto che entrambe hanno rischiato di morire. Il protagonista delle tristi vicende è un afghano di 33 anni comparso in aula penale stamattina. L’uomo è accusato di tentato omicidio, riconosce solo in parte le proprie responsabilità, ma ha chiesto scusa per tutti i problemi che ha causato. Il processo è stato condotto dal giudice Siro Quadri, presidente della Corte delle Assise criminali di Lugano (giudici a latere Giovanna Canepa Meuli e Aurelio Facchi), che lo ha condannato a due anni e mezzo di reclusione da espiare, da dedursi il carcere preventivo sofferto, il trattamento ambulatoriale e l’espulsione dalla Svizzera per sette anni.
Il primo episodio di violenza è capitato fuori da una discoteca in centro a Lugano, accanto al quartiere Maghetti, lo scorso 9 aprile. Il secondo al Parco Ciani di Lugano, dove il 28 luglio di quest’anno l’imputato le ha date di santa ragione a un’altra persona. Due situazioni simili, anche se nel primo caso l’uomo è stato coinvolto pure in una rissa. Il giudice ha dipinto il 33enne come una persona pericolosa. L’imputato è stato riconosciuto colpevole di lesioni gravi e di rissa, per il primo episodio, di lesioni semplici, per il secondo. L’uomo è stato condannato anche per infrazione alla Legge federale sugli stupefacenti, per aver ceduto cocaina e marijuana ad altre persone e per contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti per aver consumato droga.
La pena inflitta al 33enne è inferiore a quanto aveva postulato, al termine della sua requisitoria, la procuratrice pubblica Valentina Tuoni, che aveva chiesto la conferma integrale dell’atto d’accusa, con l’aggiunta del reato di rissa, inserito dalla Corte durante il dibattimento. Alla fine del suo intervento, in tarda mattinata, nei confronti del 33enne afghano, tenendo conto della detenzione sofferta e delle attenuanti, tra le quali una leggera scemata responsabilità indicata nella perizia psichiatrica, la procuratrice ha richiesto una pena di quattro anni e mezzo di carcere da espiare, l’espulsione dalla Svizzera per dieci anni e il trattamento ambulatoriale in prigione.
Fino al processo odierno, l’imputato era reo confesso, in aula invece ha cambiato versione dei fatti del secondo episodio di violenza, senza tuttavia spiegare i motivi della discordia e delle successive botte. Agli occhi della procuratrice, l’imputato è una persona pericolosa, che ha infierito in modo vigliacco contro due persone già a terra, non curante della vita altrui. I fatti, secondo l’accusa, sono sufficientemente dimostrati. Non solo. La prima vittima che ha subito parecchie percosse durante la rissa scoppiata fuori dalla discoteca, è addirittura stata definita clinicamente in pericolo di vita. Il 33enne afghano lo ha colpito e ha continuato a colpirlo con pugni e calci anche quando era inerme a terra.
Stesso discorso, ha continuato la procuratrice, per quanto riguarda il secondo episodio. La vittima è stata colpita a più riprese e l’imputato ha infierito su di lei, mostrando un comportamento estremamente violento. L’imputato non può essere creduto quando afferma che non ha mai pensato che la persona che stava picchiando potesse morire, visto che l’ha colpita più volte agli organi vitali. La perizia psichiatrica ha stabilito che l’uomo non si assume le proprie responsabilità ed è a rischio di recidiva. Secondo Tuoni, sono pure provate le accuse d’infrazione (e di contravvenzione) alla Legge federale sugli stupefacenti: il nome del 33enne è emerso in varie inchieste penali ed è pacifico che lui abbia ceduto quantità imprecisate di cocaina e marijuana.
Di parere diametralmente opposto sono state le tesi sostenute dalla difesa. L’avvocata Cristina Faccini ha messo in evidenza il vissuto personale particolarmente travagliato dell’uomo, che è cresciuto in Afghanistan durante la guerra civile. In patria ha vissuto situazioni di violenza. L’uomo, di formazione poliziotto, è sposato e padre di due figli, ha dovuto fuggire dal suo Paese, prima in Iran, poi in Siria ma senza ottenere il permesso di risiedere in entrambi i Paesi. Per questo motivo, è in seguito giunto in Svizzera nel 2015 ottenendo lo statuto di rifugiato.
L’uomo, ha spiegato Faccini, non ha mai avuto l’intenzione di uccidere. Nel primo caso è intervenuto per separare due litiganti, poi è rimasto coinvolto in un pestaggio con altre persone. Tutti avevano bevuto parecchio quella sera e all’uscita dalla discoteca nei pressi del quartiere Maghetti hanno cominciato a picchiarsi, poi si sono seduti su una panchina come se nulla fosse capitato. Secondo l’avvocata, dalle immagini della videosorveglianza è impossibile stabilire che sia stato l’imputato a picchiare la vittima, per cui non si può attribuire a lui la paternità dei colpi né l’intensità degli stessi.
Nemmeno le ferite riportate dalla vittima della prima lite sono attribuibili al 33enne, secondo l’avvocata. Faccini non ha voluto minimizzare, ma pure nella seconda lite, il suo assistito non si è comportato come ha sostenuto la procuratrice: si è sentito minacciato e ha reagito. L’avvocata ha contestato le testate al volto, che avrebbe inferto alla vittima che peraltro girava con un coltello. La difesa ha inoltre contestato sia le richieste di risarcimento formulate dalle due vittime, sia l’accusa di aver ceduto droga. Faccini ha postulato una pena più mite rispetto a quelle richiesta da Tuoni: al massimo 18 mesi di reclusione. L’avvocata si è detta d’accordo con il trattamento ambulatoriale per il suo assistito, mentre a proposito dell’espulsione dalla Svizzera ha chiesto il caso di rigore.
Tuttavia, il giudice non ha potuto né voluto banalizzare i due episodi di violenza, che ha definito brutali e non ha concesso il caso di rigore, tantomeno la sospensione condizionale della pena. A carico del 33enne, c’è pure un precedente penale: nell’ottobre 2020, tramite un decreto d’accusa, venne condannato per ricettazione a una pena pecuniaria.