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Le cinque lezioni incassate da Putin

Lo zar era convinto di avere un’armata schiacciasassi, si è dovuto rendere conto che non è così. Ma ha fatto anche errori di valutazione sull’Occidente

Putin fa l’occhiolino da un magnete di Belgrado
(Keystone)
24 febbraio 2023
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Ricorre ‘un anno di guerra in Ucraina’, ci siamo abituati a dire dal 24 febbraio scorso, ma un anno fa la guerra non è cominciata, è ripresa. L’inizio del conflitto è datato 2014, anno dell’occupazione russa della Crimea e della protezione di Mosca ai separatisti del Donbass, sino a quel momento attori assai marginali della scena politica ucraina. Sarebbero rimasti tali, se Mosca non li avesse armati e caricati come pupazzi a molla contro il resto del Paese.

Nel 2014 il resto del mondo stette a guardare, per tante ragioni: interesse, incompetenza, complicità. Non avremmo la guerra oggi, se la Russia fosse stata fermata allora. Quando, all’alba del 24 febbraio 2022, Putin lancia i suoi carri armati oltre la frontiera ucraina e punta su Kiev, l’Occidente finalmente reagisce. Il ritardo sta costando centinaia di migliaia di vite e danni patrimoniali incalcolabili. Vladimir Putin, in questi dodici mesi, ha dovuto incassare alcune lezioni.

1. L’esercito russo non è un’invincibile macchina da guerra

Sin dai primi giorni è chiaro che nella pianificazione bellica del Cremlino qualcosa non funziona. I carri russi si fermano per l’inefficienza della catena logistica e la sottovalutazione della resistenza ucraina. Le armi occidentali non sono ancora arrivate, ma l’esercito ucraino ferma senza sforzo l’armata di Mosca fuori Kiev. La Russia recede dal territorio a nord della capitale, offrendo ipocritamente la ritirata come "gesto di buona volontà". Lascia sul terreno cadaveri di cittadini ucraini uccisi a bruciapelo per le strade, torturati, gettati in fosse comuni. La città di Bucha emerge per prima, come luogo di massacri che ricordano le stragi naziste della Seconda guerra mondiale. Purtroppo, non sarà l’ultima.

Seguono, tra l’estate e l’autunno, altre due sconfitte dell’esercito di Mosca: Kharkiv e Kherson, liberate dagli ucraini. La ritirata russa lascia ovunque morte e distruzione, degradazioni della dignità umana e vilipendio dei cadaveri. A ottobre gli ucraini fanno saltare il ponte tra la terraferma russa e la Crimea. La difesa russa non riesce a prevenire l’attacco. È un altro duro colpo alla catena logistica di Mosca e al simbolismo neoimperiale di Putin. A fatica, dopo una mobilitazione parziale di riservisti, oggi l’esercito russo combatte per un territorio poco più ampio di quello che controllava illecitamente già prima del 24 febbraio 2022: Crimea, Donbass e l’arco di terra che li unisce. I russi cercano la rivincita, gli osservatori prevedono un nuovo, maggiore attacco russo a breve. Nel frattempo, la battaglia per occupare villaggi e qualche centro minore lascia sul terreno centinaia di caduti al giorno.

A Mosca, la guerra-lampo contro l’Ucraina si converte in fulmini sul Cremlino. Evgenij Prigožin e Ramzan Kadyrov, a capo l’uno dell’esercito privato Wagner e l’altro dei combattenti ceceni, ronzano intorno a Putin e al suo sempre più trasparente ministro della Difesa, Sergej Šojgu. Alla poltrona di comando delle operazioni russe in Ucraina i graduati passano come meteore: in autunno è la volta del ciclopico Sergej Surovikin. Doveva essere un novello generale Graziani, un "macellaio del Fezzan" in versione moscovita. Con la sua voce stentorea deve invece prendere atto, come un grigio notaio, della sconfitta di Kherson. Dopo appena tre mesi, anche lui deve cedere il passo. Viene sostituito dal capo di Stato maggiore delle forze armate, Valerij Gerasimov, che ora comanda in Ucraina in prima persona. Gli uomini capaci di comandare le operazioni sono meno di quelli che Putin pensava.

2. La Nato non è morta

L’ammasso di truppe russe ai confini dell’Ucraina comincia a fine estate 2021, poco dopo la disfatta morale e militare dell’Occidente in Afghanistan. A Ferragosto gli Stati Uniti decidono di uscire dall’avventura afghana e lo fanno nel peggiore dei modi: scene apocalittiche, nessun coordinamento con gli alleati, l’Afghanistan ricade sotto i talebani. Era dai tempi del Vietnam che Stati Uniti e Occidente non apparivano così confusi. Putin vede una Nato in caduta libera e concentra truppe sul confine russo-ucraino: il progetto d’invasione è nel cassetto da tempo e gli sembra giunto il momento di realizzarlo. In Occidente l’ammasso di truppe preoccupa, ma nessuno interviene, persino gli ucraini sono divisi sul senso delle manovre. Mese dopo mese l’ammasso cresce, i timori anche, ma ancora nessuno si muove.

Putin attacca e si accorge di avere sbagliato i conti. La Nato stringe le fila e rinforza il fianco Est. Due Stati europei storicamente neutrali, Finlandia e Svezia, chiedono l’adesione all’Alleanza. In Ucraina arrivano armi dall’Occidente. Putin ha cominciato la guerra con il pretesto di impedire l’adesione dell’Ucraina alla Nato. Ottiene una Nato che si estende sul Baltico e presto metterà piede proprio in Ucraina, dove è già presente nello spirito e con le armi.

3. L’Unione europea non è un vizietto della Storia

Escluse le consuete zuffe da cortile, alla guerra l’Unione europea reagisce compatta e riporta sul caso Ucraina l’esperienza di azione comune appena raccolta con la pandemia. In pochi mesi le forniture di gas e petrolio dalla Russia scendono ai minimi. I pacchetti di sanzioni si susseguono. I risultati non sono sempre quelli sperati, ma la Russia è tagliata fuori dall’innovazione tecnologica e perde il primo mercato di vendita delle sue risorse naturali, mentre grandi imprese occidentali abbandonano il Paese con il loro patrimonio di know-how e posti di lavoro. Mosca deve asservirsi a Paesi di seconda e terza fila: Cina, India, Iran, Corea del Nord. In parte l’alternativa funziona, ma non compensa la qualità e quantità degli scambi con l’Occidente.

Ucraina e Moldova ottengono tra gli entusiasmi lo status di Paesi candidati all’adesione all’Unione europea. L’ultimo schiaffo a Putin è il solenne vertice del 3 febbraio 2023 tra Europa e Ucraina: le massime autorità e mezzo governo dell’Ue si riuniscono a Kiev, sfidando gli allarmi antiaerei, e firmano i primi protocolli di cooperazione. Pochi giorni dopo, il presidente ucraino Zelensky è a Londra, Parigi e Bruxelles. Il 20 febbraio il presidente Usa Joe Biden incontra Zelensky a Kyiv. Il giorno dopo, a Varsavia, rimarca i valori dell’Occidente di fronte a una folla festante. L’Occidente è rimasto unito e l’Unione europea, l’ostacolo che impedisce alla Russia di piegare ai suoi voleri i singoli Stati membri, almeno sino a oggi non si è sfaldata. La guerra ha riacceso il dibattito sul suo ruolo militare. La Germania tentenna, ma intanto approva un clamoroso cambio di paradigma nella sua politica di difesa e sicurezza, molto timida dal Dopoguerra. Putin minacciava di far cominciare la Terza guerra mondiale, ma ha fatto finire per sempre la Seconda.

4. Il diritto internazionale non è un’invenzione occidentale

La dottrina della Russia post-sovietica considera il diritto internazionale un’imposizione occidentale: la Russia lo ignora o lo interpreta a modo suo, per opporsi al mondo «unipolare» che si ispira ai valori dell’Occidente. Non tutti gli Stati si sono associati alle sanzioni contro Mosca decise a causa del conflitto in Ucraina. Molti fingono di non vedere, per interesse o comodità. Eppure, quando a ottobre le Nazioni Unite mettono ai voti la risoluzione che condanna l’annessione forzata di territorio ucraino da parte della Russia, la maggioranza schiacciante degli Stati del mondo la approva. La comunità internazionale capisce che non può far passare il precedente di uno Stato che annette a proprio arbitrio intere regioni di un altro. La Carta delle Nazioni Unite e tutto il diritto internazionale postbellico affermano che l’annessione violenta di territorio non deve essere riconosciuta. Minare questo principio significa tornare alle logiche antecedenti alle Guerre mondiali: allora, se uno Stato ne conquistava un altro, il mondo ridisegnava le cartine e tutto finiva lì, sino alla guerra successiva. Se si torna a quel sistema, è la fine per tutti. È ciò che avrebbe voluto Putin, ma, almeno sinora, non ha funzionato.

5. La Russia piace anche così

Infine, una lezione positiva per Putin e molto negativa per noi. La guerra ha rivelato che la Russia ha in Occidente ammiratori che le perdonano qualunque cosa. Nazionalisti di destra antiamericani per principio; nostalgici del comunismo che vedono ancora nella Russia un eroe anticapitalista; giornalisti, docenti, politici e persino militari, disposti a giocarsi la reputazione pur di sostenere le gesta del Cremlino.

Italia, Germania e Austria sono le piattaforme principali sulle quali la Russia trova redazioni di media compiacenti e leader d’opinione pronti a sostenerla. Persone che fino a ieri si riempivano la bocca di antifascismo e peregrinavano ad Auschwitz nel Giorno della Memoria, oggi glorificano in tv il regime che sta ripetendo gli stessi crimini a due passi da casa nostra. Le truppe ucraine che liberano i territori occupati dai russi, in questi mesi, vi trovano scenari analoghi a quelli che statunitensi e sovietici trovarono quando liberarono i campi di concentramento nazisti. No, non è un’esagerazione. Il mondo ha la memoria corta. Tra tutte le lezioni della guerra, anche per noi, è con questa che ci tocca concludere.

Luca Lovisolo è traduttore e ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il suo ultimo libro è ‘Il progetto della Russia su di noi’ (Archomai).

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