Prima serata, la lezione di educazione civica di Benigni, quella di diseducazione del rapper (?), che rende meno bella la Festa della Repubblica
L’orchestra che si accorda, la sigla, gli stacchi dei fiati, il frullare delle luci, l’ovazione. «Ci sono emozioni che non passano mai, diverse, anche difficili da descrivere, ma che sono un privilegio. Come poter dire: "Benvenuti alla 73esima edizione del Festival di Sanremo"». Amadeus ha Gianni Morandi al suo fianco, l’Ariston si stringe alla popolazione turca e siriana, poi il minuto di silenzio diventa d’applausi per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E siccome è il Festival della canzone italiana, per una volta non sono solo gli americani a cantarsi l’inno in diretta televisiva, a gonfiare i petti e asciugarsi le lacrime, ma anche Morandi, il Frank Sinatra di Monghidoro, che intona un Mameli appena ritoccato dal maestro Leonardo De Amicis. Il resto lo fa il pubblico.
Non c’è il tempo per pesare il momento, a modo suo solenne: il presidente della Repubblica alla Scala per la Prima è consuetudine, Mattarella all’Ariston, tempio della presunta canzonetta, fino a ieri sera un poco meno. Ad aggiungere altra italianità, in nome della Costituzione, «a rappresentare l’altissimo valore delle sue pagine» appare Roberto Benigni. «Mi spiace non avere studiato la danza per mostrarvi tutta la mia felicità».
Letizia Reynaud
‘Tra i nostri padri costituenti c’era Bernardo Mattarella, padre di Sergio. Presidente, la Costituzione è sua sorella’
Sono le 20 e 55, e venti minuti più tardi il Festival dovrà tirarsi su le maniche e superare una vetta, quella del dantista dai tempi che nel 2002 furono lunghi, lunghissimi, tornato per un istante comico puro, dai tempi fulminei: «Amadeus è al quarto mandato e ha già prenotato il quinto: secondo lei è costituzionale? È un colpo di Stato! Bisogna fermarlo!». E ancora: «Ma gliel’ha detto, presidente, quanto dura una serata?». La migliore: «Tra i nostri padri costituenti c’era Bernardo Mattarella, padre di Sergio. Presidente, la Costituzione è sua sorella».
Un minuto più tardi, nell’Ariston che «sembra uscito ora dalla fabbrica», Benigni si produce in un’ode alla musica e alla Costituzione e ne fa una cosa sola: parte da Amilcare Rambaldi, che per rilanciare il commercio dei fiori s’inventò il Festival, snocciola i successi della storia, «quelli che ci hanno avviluppato il cuore», e li mette ‘in dialogo’, come si dice nei salotti della cultura, con la Costituzione «opera d’arte che canta la dignità dell’uomo, dalla forza evocativa come le opere d’arte», la Costituzione «schiaffo al potere, che come l’arte ci fa sognare», la Costituzione «sogno fabbricato da uomini svegli», la Costituzione «che può accadere una volta sola, come l’incipit di ‘Volare’, "penso che un sogno così non ritorni mai più"». Perché «chi sogna arriva prima di chi pensa».
Poi cita l’articolo 11, l’Italia che "ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli", l’articolo che "se l’avessero adottato le altre nazioni, nessuno Stato potrebbe invadere un altro Stato", e il suo preferito, il numero 21, quello per il quale "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero", bello che «sembra scritto da un bambino», che è «come dire che tutti possono respirare». Il 21, «architrave di tutte le libertà dell’uomo», e ricorda gli squadroni fascisti, Benigni, e senza mai citare l’Iran, ricorda i perseguitati perché «cantano, ballano o parlano». Chiosa: «L’ultima pagina della Costituzione è bianca, perché dovevamo scriverla noi, con la nostra vita, vivendola, e sono sicuro che la scriveremo bene».
Diciassette minuti. Senza gobbo.
Letizia Reynaud
Sergio Mattarella
C’è un’altra ufficialità, quella della gara canora. La apre Anna Oxa, un pezzo di storia della manifestazione e di questo teatro. Tutto l’eccentrico dal 1978 a oggi, da ‘Un’emozione da poco’ a questa mistica, la mistica ‘Sali (Canto dell’anima)’, è finito in un compunto, essenziale e annullante nero, per un canto che a tratti diventa urlo. Amadeus scambia gIANMARIA per Sangiovanni, ma la canzone è quella: ‘Mostro’, storia di chi ha messo in secondo piano tutto e tutti per inseguire un sogno. C’è altro festival giovane in Mr. Rain (sempre di nero vestito), uno dei tanti nomi del momento (in nero), che per ‘Supereroi’ ha dei bimbi con le ali che strappano affetto (anche la bimba commossa che lascia il palco in lacrime, forse per l’emozione).
Keystone
Marco Mengoni
Come nella tradizione di Amadeus, chi vince torna, e tornano Mahmood e Blanco, a dire di quanto ‘Brividi’ fosse una gran canzone, al di là del venduto e dello scaricato, o comunque inclusi entrambi (su come si manda in vacca una canzone e tutta la Festa della Repubblica, vedi in fondo alla pagina). La probabilità che ‘Due vite’ di Marco Mengoni, anch’egli in nero ‘essenziale’, segua la stessa strada è altissima, soprattutto se nella sala dai bei lampadari al Casinò di Sanremo, casa della Sala stampa ancora in trasferta per colpa del virus, prorompe in un applauso un minuto prima della fine della canzone. È un’altra vetta, e la giovane Ariete, per cui Spotify ha un debole, la deve scalare con la bella ‘Mare di guai’. È di nero vestito anche Ultimo, che – Mengoni permettendo – quella di domenica prossima potrebbe essere la sua ‘Alba’.
Passano i Coma_Cose con ‘L’addio’, restano i Pooh, in medley da ‘Amici per sempre’ a ‘Uomini soli’, con Stefano D’Orazio dall’aldilà a dare il cambio a Phil Mer alla batteria, sul grande schermo alle spalle di una band onesta, storica e dalla pregevole scrittura, non solo – anzi mai – leggerissima. Roby Facchinetti: «Siamo nati negli anni 60 quando nascevano milioni di band, era difficile affermarsi. Finalmente, nel 1971 è arrivata ‘Tanta voglia di lei’, e abbiamo scritto la nostra storia».
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In memoria di Stefano D’Orazio
Una conferenza stampa un po’ movimentata, è stato il giorno di Chiara Ferragni. La presentazione: «Nasce come fashion blogger, poi è diventata una grande imprenditrice. È il personaggio più influente del modo della moda, milioni di ragazzi la seguono incondizionatamente». L’influencer scende le temute scale su ‘Amare’ della Rappresentante di lista. «È surreale essere qua». Loda il Festival reso moderno da Amadeus, è fan di Gianni e delle sue canzoni. Si è esercitata con gli amici ad annunciare i cantanti, «ora è il momento che mi date il cartoncino così annuncio il prossimo cantante in gara». Prima della mezzanotte, in abito nude look, legge il monologo che ha scritto di suo pugno.
Poi Blanco devasta il palco, e tutto quel che accade dopo (anche artisticamente) poco conta. "Non riuscivo a sentirmi, volevo comunque divertirmi", dice il rapper con la faccia di chi crede di aver rubato la marmellata. Se anche la macchietta fosse stata una citazione degli Who (ammesso che Blanco conosca gli Who) o quella del video della sua ‘L’isola delle rose’, la macchietta simil-punk, scadente come il simil-pelle, è uscita male. "Son ragazzi", dice Amadeus. Di sicuro Pippo Baudo, Blanco, lo avrebbe preso a calci in culo (si perdoni l’inciviltà).