La disdetta del regime speciale che regola fiscalmente il tema ‘unisce’ Camera di commercio, Unia e Ocst. Con sfumature diverse, ma i timori abbondano
«Siamo chiaramente stupiti da questa decisione». «Si fa astrazione dall’Accordo fiscale che entrerà in vigore nel 2024, sono tempistiche che non condividiamo». «Si aumenta la confusione, è assurdo che non ci sia una legislazione seria sul telelavoro». La decisione comunicata martedì 22 dicembre dalle autorità federali che non sarà prorogato l’Accordo tra Svizzera e Italia sul telelavoro per i frontalieri oltre la scadenza del 31 gennaio – con tutte le sue regole speciali a livello di fiscalità, oggi è concesso un 20% –, unisce nella protesta padronato e sindacati, seppure con sfumature diverse. Ma quando si creano costellazioni simili si capisce subito che il tema è dirimente.
A lanciare il sasso di buon mattino è la Camera di commercio del Canton Ticino, con un comunicato in cui, dopo aver biasimato la decisione, viene messo nero su bianco come "è importante che le autorità svizzere e italiane trovino celermente una regolamentazione più adeguata alla situazione, introducendo delle soglie di telelavoro durevoli anche in ambito fiscale, idealmente parificandole a quelle assicurative". E ancora: "In tale contesto è poi importante che venga anche stabilito che il telelavoro nel limite delle soglie eventualmente concesse non può configurare stabile organizzazione con conseguenze fiscali anche per l’azienda medesima, e non solo per il dipendente".
Come uscirne? Secondo la Cc-Ti "con un accordo amichevole tra le rispettive autorità fiscali, che non prevede le lungaggini procedurali invece applicabili alla ratifica degli accordi internazionali". Partendo dal fatto che contestualmente a questa decisione "le autorità federali hanno annunciato di aver raggiunto un accordo con la Francia proprio sul telelavoro durevole". Raggiunta da ‘laRegione’, la vicepresidente della Cc-Ti Cristina Maderni ricorda anche che «è fondamentale chiarire il quadro giuridico: finora la deroga parla del 20%, quindi di un giorno di telelavoro, ma che a livello di oneri sociali al datore di lavoro costava il 25%, grazie alla burocrazia… Sono regole federali che dovrebbero valere per tutti, per noi un giorno o massimo due a settimana ha senso, perché è importante sia per il lavoratore, sia per l’azienda. Ma il tutto va regolato bene».
E anche dal fronte sindacale le preoccupazioni non mancano. «Il telelavoro è una possibilità supplementare e importante, ma nasconde anche diverse insidie su condizioni di lavoro, difficoltà nello svolgere i controlli e, in Ticino, sulla lotta al dumping. Quindi non ha solo aspetti positivi», premette il segretario regionale di Unia Giangiorgio Gargantini. Nel caso specifico, «non si può arrivare a due giorni da Natale con una notizia del genere, con termini di disdetta brevissimi, quando nello stesso giorno si informa che con le autorità francesi un accordo si è trovato…». In più, rileva Gargantini, «tra qualche mese sarà ratificato l’Accordo tra Svizzera e Italia sulla fiscalità dei frontalieri che, nei suoi decreti applicativi, ha anche punti legati al telelavoro per avere un contesto giuridico più chiaro e definitivo. Sarebbe stato più semplice per tutti prolungare anche semplicemente di cinque o sei mesi questo regime speciale – dice ancora il segretario regionale di Unia –, un tempo che avrebbe permesso di definire il quadro che avremo dal 1° gennaio 2024. Peccato, sarebbe stato più logico e corretto».
A essere preoccupata è anche l’Organizzazione cristiano sociale ticinese. Da noi interpellato, il responsabile frontalieri dell’Ocst Andrea Puglia afferma come «abbiamo accolto in modo negativo la decisione di revocare questo accordo amichevole, e fa specie che lo stesso giorno sia stato deciso un accordo con la Francia che concede il 40% di telelavoro». Sono tempistiche «che stupiscono», rincara Puglia, «si sarebbe dovuto dare disdetta solo quando fosse stato pronto un nuovo accordo non più legato alla pandemia, non capiamo perché dare disdetta proprio ora e con un preavviso così limitato».
Il timore di Puglia, dando un ulteriore contesto alle rivendicazioni, è che «dal 1° febbraio 2023 un frontaliere che lavora da casa avrà il reddito prodotto nei giorni di telelavoro che diventa tassabile in Italia, con l’effetto secondario che l’Agenzia delle entrate italiana potrebbe mettere in dubbio la definizione di frontaliere per quel lavoratore, visto che non fa avanti e indietro tutti i giorni». Siamo alla fine del 2022, «e siamo nella confusione totale senza una legislazione sul telelavoro…» conclude Puglia sarcastico, ma anche molto perplesso.