Governo a maggioranza latina, Giura, agricoltura, socialità: a colloquio con la ‘senatrice’ Elisabeth Baume-Schneider, candidata al Consiglio federale
Sono le 12.30, Palazzo federale è semideserto. Mancano un paio d’ore all’inizio della seconda settimana di sessione, che culmina domani con l’elezione di due nuovi consiglieri federali. La consigliera agli Stati giurassiana Elisabeth Baume-Schneider pranza in un angolo del Café Vallotton. Al tavolino accanto siedono il neo-presidente del Consiglio nazionale Martin Candinas (Centro/Gr) e la ‘senatrice’ Andrea Gmür (Centro/Lu). Attendiamo fuori. Alle 13, l’ora stabilita per l’intervista, la giurassiana ci chiede di pazientare un momento: giusto il tempo di bere il caffè e scambiare due chiacchiere con altri avventori-parlamentari. Nessun problema. Pochi minuti dopo si fa incontro. Cerchiamo un angolo più discreto e tranquillo. Trovato: uno dei divanetti dietro al monumento dei tre Confederati.
Signora Baume-Schneider, per la sua facilità di contatto è stata paragonata agli ex consiglieri federali Doris Leuthard e Adolf Ogi. C’è una consigliera federale o, più in generale, una politica che la ispira?
Direi Ruth Dreifuss [consigliera federale socialista dal 1993 al 2002, ndr]. Per il suo coraggio, per il suo essere molto calorosa con le persone, per l’impegno nel portare avanti in Consiglio federale temi come quello delle droghe, con la politica dei quattro pilastri. Devo dire poi di essere rimasta impressionata da Dick Marty [ex consigliere agli Stati ticinese dal 1995 al 2011, ndr], che ho potuto apprezzare – come persona estremamente attenta alla certezza del diritto – soprattutto in qualità di presidente dell’Assemblea intergiurassiana, una sorta di orologio assai complesso ma che ha sempre funzionato molto bene. Non mi dispiace essere paragonata a Adolf Ogi [dal 1988 al 2000 consigliere federale, e non consigliere di Stato come erroneamente indicato nell’edizione del 2.12.2022, ndr], anzi: vorrei essere ‘popolare’ quanto lo è stato lui, e per me essere ‘popolare’ significa anche essere capace di lavorare a fondo, in modo serio, con grande energia sui dossier. Non è perché a qualcuno piace ridere che non è serio nel lavoro che fa.
"Baume-Schneider all’inseguimento [della concorrente Eva Herzog, ndr]", scrivevano la scorsa settimana i giornali Tamedia. "L’offensiva di charme si esaurisce", si poteva leggere domenica sulla ‘SonntagsZeitung’. A due giorni dall’elezione, ha l’impressione di essere sempre in una dinamica favorevole?
Non ero impegnata in un’‘offensiva di charme’. Non è così che intendo la politica. In queste settimane sono rimasta quello che sono. E a me, come sempre, preme presentare la mia posizione sui temi che mi stanno a cuore: come il potere d’acquisto delle persone meno abbienti, i premi di cassa malati, la diversità e l’integrazione, le sfide energetiche, il ruolo delle regioni periferiche. Una ‘dinamica’ che ‘si esaurisce’? Sinceramente non lo so. Io in ogni caso non sono ancora stanca!
Domani si sottoporrà al secondo round di audizioni. Crede che le opinioni dei 246 parlamentari siano già consolidate, oppure pensa di poter ancora far muovere le cose?
A mio avviso gli hearings – che prendo molto sul serio – hanno un ruolo molto importante nel processo di formazione dell’opinione di un parlamentare.
Su cosa punta per convincere gli indecisi: sulle sue convinzioni politiche, o piuttosto sulla sua attitudine al compromesso?
Su entrambe le cose. I miei valori, frutto del mio percorso politico, sono noti. Ma c’è anche il mio modo di lavorare, nel caso specifico all’interno di un Esecutivo [il Consiglio di Stato giurassiano, ndr], dove sono stata per 13 anni in una posizione di minoranza. Sto cercando di mettere in risalto questa mia capacità di cercare dei compromessi. Una capacità che è stata anche creatività, nella misura in cui nel Canton Giura si trattava di far quadrare i conti di un budget tutto sommato modesto: quando si hanno molti mezzi da investire è più facile, non bisogna sempre fare delle scelte. D’altro canto, quando si affrontano dei periodi di austerità, è ancor più necessario saper lavorare assieme in seno a un Esecutivo. E devo dire di averlo fatto con enorme piacere con i miei colleghi giurassiani.
A quanto pare ha fatto un’ottima impressione al gruppo dei parlamentari agricoltori. Eppure lei era favorevole alle iniziative per ridurre o bandire i pesticidi. Come se lo spiega?
Non c’è una stata una domanda specifica sui pesticidi. Ero favorevole alle due iniziative, ma non ho fatto campagna attivamente nel mio cantone. Per contro, non ho sostenuto l’iniziativa contro l’allevamento intensivo. Anche a me gli agricoltori piacciono [lei stessa è cresciuta in una famiglia di agricoltori: vedi sotto, ndr]. Mi batto per un’agricoltura più sostenibile, certo. La cosa importante, qui, è stabilire obiettivi chiari e realistici.
Con lei avremmo una insolita maggioranza latina in Consiglio federale. Il presidente del Plr Thierry Burkart intravede a termine un "bisogno di correzione". Lei non ci vede nulla di male?
No. Perché si potrà sempre riequilibrare in occasione di una prossima elezione. E poi non c’è solo la questione linguistica: contano pure altri criteri, come ad esempio quello della rappresentanza delle regioni periferiche. L’articolo 175 della Costituzione non vieta una maggioranza latina in Consiglio federale. Di più: è stato concepito proprio per proteggere le minoranze. Detto questo, spetta all’Assemblea federale decidere: se la maggioranza è del parere che non possa dare il mio contributo perché sono ‘latina’, beh... lo accetterò.
Se il bernese Albert Rösti e lei veniste eletti, in Consiglio federale non vi sarebbe più (tranne il democentrista Guy Parmelin) alcun rappresentante di un cantone con una grande città. Non è un problema?
No. Perché la Svizzera è piccola. E poi Berna e San Gallo [cantone di provenienza di Karin Keller-Sutter, ndr] sono grandi città. Comunque non si tratta soltanto di questo: come consigliere federale bisogna avere lo stesso occhio di riguardo per tutte le regioni del Paese, valorizzando le differenze ma evitando di metterle l’una contro l’altra. Ad ogni modo, in fondo sia io che Eva Herzog rappresentiamo la stessa regione, quella della Svizzera nord-occidentale.
Parlando del suo cantone, ha affermato di voler cancellare questo "cliché dell’ultimo della classe". Una sua elezione – ha dichiarato – "renderebbe possibile una nuova narrazione" sul Giura. In che senso?
Quando il proprio cantone è in difficoltà, sul piano finanziario, talvolta si può avere l’impressione di subire un’ingiustizia e si vorrebbe magari ricevere più soldi da Berna, nell’ambito della perequazione o da altre fonti. Il Giura è un cantone giovane, che a volte in passato è stato forse – comprensibilmente – un po’ impaziente. Ma oggi non è più così. Siamo più maturi, la ‘Question jurassienne’ – la fase della rivendicazione identitaria – si è chiusa. Oggi il mio è un cantone decisamente moderno: la componente rurale resta molto forte, ma al contempo dimostriamo grande vivacità culturale e possediamo una notevole capacità di innovazione ed esportazione a livello industriale, in particolare nei settori dell’orologeria e delle macchine utensili. Siamo anche una regione-ponte: per quanto riguarda la promozione economica, facciamo fronte comune con Basilea, non con il resto della Romandia; e abbiamo creato una maturità bilingue francese-tedesco.
Ha più volte sottolineato il suo impegno di lunga data a favore delle persone meno abbienti. Quali priorità vede, in quest’ambito?
Qualsiasi tema si affronti, la prima domanda da porsi è questa: ciò che sto facendo peggiorerà la situazione delle persone più sfavorite, più fragili?
Quando se l’è posta, di recente, questa domanda?
In occasione del dibattito sul clima, ad esempio. La legge sul CO2 [respinta lo scorso anno in votazione popolare, ndr] è un buon esempio: dimostra che semplicemente fare la morale alle persone o tassare di più la benzina non funziona. Dove abito io, o in alcune valli del Ticino, dove i trasporti pubblici non sono ben sviluppati, le persone hanno sempre bisogno dell’automobile. Ma un discorso analogo – incentrato sui bisogni delle persone meno abbienti – lo si può fare ad esempio anche parlando di lotta alla povertà, di formazione continua, di prestazioni transitorie per i disoccupati anziani.
Politica europea: come si esce dal vicolo cieco nel quale ci troviamo?
La situazione attuale genera insicurezza. E per il settore della ricerca, l’esclusione dal programma ‘Horizon Europe’ è davvero nefasta. Il periodo non è dei più propizi per l’avvio di negoziati: l’anno prossimo avremo le elezioni federali, e all’inizio del 2024 si terranno le elezioni europee. Inoltre, di questi tempi la Commissione europea e i 27 Stati membri non hanno soltanto la Svizzera in mente. Veniamo trattati come altri Paesi terzi. E forse in Svizzera siamo ancora troppo poco consapevoli di questa realtà.
Franches-Montagnes e dialetto bernese
Cinquantanove anni il prossimo 24 dicembre, sposata, due figli, vive a Les Breuleux, nelle Franches-Montagnes (Giura). Figlia di contadini originari del Seeland, è cresciuta parlando il dialetto bernese. Di formazione assistente sociale. Vanta una lunga esperienza in politica. A cavallo degli anni ‘70 e ‘80 fa parte della Lega marxista rivoluzionaria. Eletta nel 1995 al Gran Consiglio sulla lista del Ps. Nel 2002 entra in Consiglio di Stato. Dirige fino al 2015 il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport. Poi si prende una pausa dalla politica per dirigere la Scuola universitaria professionale di lavoro sociale e della sanità, a Losanna. Eletta al Consiglio degli Stati nel 2019. Presiede la Commissione dell’ambiente, della pianificazione territoriale e dell’energia. Si presenta come la candidata delle regioni periferiche. Si riferisce alle Franches-Montagnes come a una regione progressista sulle questioni sociali, ne sottolinea la sua creatività culturale e l’apertura al mondo. Vicepresidente del Ps svizzero, Elisabeth Baume-Schneider è considerata più a sinistra della rivale (e favorita nella corsa alla successione di Simonetta Sommaruga) Eva Herzog. Ha affermato che, se verrà eletta, non resterà in Consiglio federale fino ai 70 anni, ma per un massimo di due legislature (fino a 67 anni, dunque). Se invece non ce la farà, dovrebbe assumere la presidenza della Camera dei Cantoni nel 2024.