I fatti riguardano la morte di un suo dipendente nel 2017, caduto da circa 6 metri di altezza mentre lavorava. Secondo la difesa è colpa della vittima
È stata colpa del datore di lavoro o della vittima? Ruota attorno a quest’interrogativo il processo tenutosi oggi alla Pretura penale di Bellinzona, riguardo a un tragico fatto di cronaca capitato il 9 agosto 2017, quando un operaio di Dongo è caduto da circa 6 metri di altezza mentre lavorava in un cantiere in via Violino a Manno. L’uomo, cadendo, ha sfondato la copertura di plastica ondulata del tetto finendo al suolo. Per la drammatica sorte toccata al lavoratore, un 58enne cittadino italiano dipendente da circa dieci anni della ditta, il Ministero pubblico, rappresentato dalla procuratrice pubblica Margherita Lanzillo, ha formulato l’accusa di omicidio colposo nei confronti del datore di lavoro. Contraria la difesa: l’avvocato Rossano Guggiari ha chiesto l’assoluzione per il suo assistito, che si è dichiarato non responsabile.
Secondo la tesi difensiva infatti, a essere colpevole in modo preponderante sarebbe la vittima, per non aver indossato i dispositivi anti caduta e per essere andato al di fuori del percorso indicato. Per la pubblica accusa, invece, il posto di lavoro non era a norma di legge. Ad esempio, non disponeva di strumenti di sicurezza o reti contenitive adatte, come confermato dalla Suva e da un perito intervenuti il giorno stesso dell’accaduto. In aula era presente anche la famiglia dello sventurato 58enne, la moglie con i figli, costituitisi accusatori privati. Patrocinati dal proprio legale, hanno chiesto un risarcimento. Lanzillo, dal canto suo, ha chiesto una pena pecuniaria di 90 aliquote sospesa condizionalmente per due anni, annunciando a ‘laRegione’ l’intenzione di andare in Appello qualora la richiesta non venisse accolta. La decisione spetta alla giudice Elettra Orsetta Bernasconi Matti, che pronuncerà la sentenza il prossimo 19 dicembre.