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Cesare Lombroso e la fissa per il cranio

La controversa figura del medico, antropologo e criminologo è raccontata dal volume illustrato di Stefano Bessoni. Ma non è un libro per bambini.

Cesare e il cranio
(Stefano Bessoni)
5 dicembre 2022
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Poteva essere una mattina di dicembre come questa, con l’odore di camino nell’aria fine, la punta del naso gelida e le guance rosse per il freddo becco. Dicevamo che poteva essere una mattina come questa, quella in cui "nel silenzio tombale del suo laboratorio a Pavia", il trentacinquenne Cesare Lombroso è colpito dall’intuizione che ha dato un’impronta ai suoi studi, cambiando la sua vita e come la sua, quella di tanti sfortunati che rientravano nelle categorizzazioni delle sue teorie, oggi ampiamente confutate (lo scrivo subito, a scanso di bisticci).

Torniamo a quella mattina. Siamo nel 1870 e il medico, che diverrà antropologo, filosofo, giurista e criminologo, sta facendo ricerca su una serie di crani, rimanendo folgorato da quello di Giuseppe Villella, un brigante "ladro di formaggi" condannato a sette anni di reclusione per aver distrutto un mulino, appiccato incendi e rubato. L’intuizione – armato di sega, scalpello e martello – riguardava un’anomalia in corrispondenza della fossa occipitale posteriore della testa che lo porta a elaborare la teoria dell’atavismo e del delinquente nato, formulazioni figlie in parte delle tesi evolutive di Charles Darwin. Da lì, Lombroso definisce quattro stigmate anatomiche per cui un criminale lo è per nascita e perciò geneticamente destinato a compiere reati. Fra le sue considerazioni ritiene pure determinanti elementi aggiuntivi al corpo come i tatuaggi, ne raccoglie una notevole collezione asportandoli dai cadaveri e facendoli seccare: veri e propri biglietti da visita per uomini e donne di malaffare. (Chissà quale opinione si farebbe oggi in merito; chi scrive non avrebbe scampo al suo giudizio).

Studi e ricerche durati anni – che comprendono la catalogazione e la descrizione di fotografie di delinquenti, corpi di reato, armi del delitto, lembi di pelle, reperti anatomici di cui una vasta collezione craniologica – e che, per farla breve (molto breve) lo portano, nel 1876, alla celebre pubblicazione de ‘L’uomo delinquente’, cui segue anni dopo ‘La donna delinquente, la prostituta e la donna normale’.


Stefano Bessoni
Menesclou in necrofilo e Sogliano

Questioni di testa

La storia di Marco Ezechia, detto Cesare, Lombroso è raccontata da penna e matita di Stefano Bessoni nel bel volume pubblicato nel 2019 da Logos Edizioni. (Avvertenza: non è un libro per bambini, a meno di non leggerlo insieme). "Una favola nera ambientata ai tempi dell’unificazione d’Italia, fra briganti, folli, cretini, delinquenti, malattie terribili, guaritori, patologi, medium e spiritisti". L’autore e illustratore romano, facendo capo a una bibliografia essenziale, racconta pagina dopo pagina l’evoluzione della figura di un uomo votato alla scienza: dall’infanzia (era nato il 6 novembre 1835 a Verona) fino alla morte, sopraggiunta per arresto cardiaco il 19 ottobre 1909. Va annotato che il pensiero lombrosiano si sviluppa in un contesto positivista, movimento filosofico e culturale che ha nel progresso, nella scienza e nella ragione una fiducia smisurata, tuttavia c’erano grande paura e fredda ostilità nei confronti del diverso.

Nel mezzo degli estremi, "una storia che potrebbe scaturire dalla penna di Mary Shelley o di Edgar Allan Poe" fatta di incontri decisivi, come quello col medico, chirurgo, naturalista, storico e linguista Paolo Marzolo che lo spinge a iscriversi alla facoltà di medicina dell’Università di Pavia o quello con Karl von Rokitansky, luminare degli esami autoptici e noto "dissezionatore di cadaveri", conosciuto a Vienna, dove Cesare si trasferisce dopo una delusione amorosa che contribuisce a sclerotizzare la sua visione maschilista del mondo, già piuttosto radicata nel concetto aristotelico dell’imperfezione della donna. Diverse anche le nomine nel tempo: nel 1870, anno delle nozze con la devota Nina (che gli dà cinque figli), è nominato direttore dell’Istituto psichiatrico di Pesaro. In futuro sarà direttore del Manicomio di Torino e due anni più tardi, medico delle Carceri Nuove. Nella città bagnata dal Po, Cesare realizza il suo museo – che aveva sempre sognato – ovvero "un tempio dedicato alla criminologia e all’antropologia forense", che cambia diverse sedi nel corso degli anni e contiene, fra gli altri, 684 crani, 183 cervelli umani, 502 corpi del reato, 475 disegni di alienati. C’è anche lo scheletro di Lombroso, che lo studioso ha voluto lasciare alla scienza, così come il suo volto conservato sotto formalina (ma non esposto).


Stefano Bessoni
Nella formalina

Per evitare vecchi errori (e orrori)

La nuova sede del Museo di antropologia criminale Cesare Lombroso in via Giuria 15 è aperta dal 2009 e quasi subito è stata lanciata una campagna per chiederne la chiusura per "supposta apologia del razzismo", cui ha aderito un centinaio di città italiane. Seppur affascinante e facile alle strumentalizzazioni, la figura di Lombroso è controversa e nel volume Bessoni mette anche in rilievo le sue criticità: "le posizioni bigotte, razziste e intransigenti, che nel tempo sono diventate terreno fertile per tante discriminazioni". Insomma, l’intento dell’autore, lo esplicita lui stesso, è dare uno spunto di riflessione su una storia ambientata in un’epoca nemmeno troppo lontana dai giorni nostri. Dimenticare Cesare Lombroso e come lui tante figure storiche controverse è però rischioso poiché "cancellando la memoria non si pone rimedio a un’ingiustizia (…). L’oblio rischia piuttosto di permettere alle ingiustizie di riaffermarsi ciclicamente, beffandosi di quanto avvenuto in passato".

Voleva fare il becchino

"Ho sempre disegnato, fin da quando ero bambino e da piccolo sognavo di diventare un becchino, ma poi non ci sono riuscito (…) e così, dopo una deviazione verso la zoologia e le scienze naturali, mi sono diplomato all’Accademia di Belle Arti. Alla fine ho deciso di fare cinema, che è il mezzo espressivo che prediligo". Le parole iniziali della presentazione sul suo sito sono quanto meno significative e in poche righe condensano le scelte fin qui fatte da Stefano Bessoni. Nato nel Sessantacinque a Roma, è regista, illustratore e animatore stop-motion; ma ha insegnato in diversi istituti e regolarmente tiene laboratori nelle scuole e in festival specializzati. Persona dai molteplici interessi, l’illustratore è un grande raccoglitore di "oggetti, animali rinsecchiti, teschi" degno delle Wunderkammer dei collezionisti fra XVI e XVIII secolo, lo attraggono situazioni macabre, perturbanti… "tutto ciò che è sinistro e mortifero", che richiama anche una schiera di letterati – fra i grandi classici – come Kafka, Borges, Poe, Kristof, Morgenstern, che si accompagna a personaggi celebri della letteratura come Alice (quella del Paese delle meraviglie) e Pinocchio. Incantato dalla dimensione irreale, anzi surreale delle fiabe, all’illustratore interessa lavorare sul loro potenziale iniziatico, perché la fiaba "è un’immagine speculare della realtà".

Seppur prediliga il cinema, Bessoni è ben consapevole della centralità del disegno per il suo lavoro, strumento imprescindibile di tante opere, dalle pubblicazioni librarie al cinema. Con modestia scrive di non considerarsi un illustratore, ma piuttosto uno "scarabocchiatore" e disegnare è un mezzo per "catturare e fermare idee".


Stefano Bessoni
L’autore Stefano Bessoni

Per approfondimenti: www.stefanobessoni.com.