La Corte ha comunicato la sentenza nei confronti del 42enne che è stato espulso dalla Svizzera. La difesa annuncia la dichiarazione di appello
Quattro anni di reclusione, più l’espulsione dalla Svizzera per una durata di sette anni e il risarcimento degli accusatori privati proporzionalmente al danno da essi patito. Si riassume così la sentenza nei confronti di Alessandro Cipollini, 42enne, di nazionalità italiana, che lavorava nel settore finanziario, processato giovedì 10 e venerdì 11 novembre dalla Corte delle Assise Criminali di Lugano. Si profila tuttavia un secondo dibattimento, a Locarno, di fronte a una Corte d’appello e di revisione penale, visto che la difesa ha annunciato l’intenzione di interporre ricorso. Mauro Ermani, presidente della Corte (giudici a latere Emilie Mordasini e Luca Zorzi), ha riconosciuto l’imputato colpevole dei reati di truffa (ripetuta) per mestiere (in parte tentata), falsità in documenti (ripetuta), infrazione alla Legge federale sugli stranieri (per aver ingannato le autorità cantonali, per ottenere il permesso B). È stato invece prosciolto da un tentativo di truffa. Nella sostanza, l’atto d’accusa preparato dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli è quindi stato parzialmente accolto. I beni sequestrati al 42enne, serviranno per risarcire le parti lese.
Particolarmente stringata la comunicazione relativa alla condanna di Cipollini. Dal canto suo, la difesa del 42enne, sostenuta dall’avvocata Laura Rigato, conferma l’intenzione di contestare la sentenza di primo grado: «Non sono d’accordo con l’esito di questo processo, ne ho parlato con il mio assistito. Per ora abbiamo ricevuto soltanto il dispositivo. Presenterò la dichiarazione di appello, così avrò modo di leggere le motivazione della sentenza, per capire le ragioni che hanno spinto la Corte a decidere in un certo modo, senza tenere conto delle prove che abbiamo presentato». Nel frattempo, ad Alessandro Cipollini è stata prorogata la carcerazione di sicurezza. Per questa decisione, la Corte ha ritenuto le richieste formulate dalla procuratrice pubblica, al termine della requisitoria. Borelli, nei confronti del 42enne, ha chiesto una pena di quattro anni e cinque mesi di prigione e l’espulsione dalla Svizzera per dieci anni, parlando dell’imputato come di «un potenziale pericolo per l’ordine pubblico». Secondo l’atto d’accusa, dal gennaio 2020 al giorno dell’arresto, il 16 dicembre dello scorso anno, l’imputato con l’unico fine di procacciarsi un indebito profitto, affermando falsità o dissimulando verità, ha ingannato con astuzia diverse persone, inducendole ad atti pregiudizievoli al patrimonio proprio o altrui. Tra i raggirati, alcuni studi legali, tra i quali quello dell’avvocato luganese Giorgio Grandini, che figura tra le vittime.
Insomma, la Corte ha ritenuto valide le tesi accusatorie, secondo le quali il 42enne ha inventato storie basandole su qualche elemento reale e le ha raccontate con una tale arguzia da riuscire a convincere tanti, facendo credere che esistevano i documenti originali, sebbene mostrasse soltanto fotocopie. Tutto nasce da un presunto testamento che avrebbe lasciato Giuseppe Cadario (1920-2014), il nonno dell’imputato, già Cavaliere della Repubblica, che aveva legami stretti con lo Stato del Vaticano. Dell’esistenza del testamento, con tanto di lascito miliardario a favore del nipote, il 42enne è riuscito a convincere tanti interlocutori di spicco. Non solo, ha spiegato la procuratrice in aula, «Cipollini ha costruito un castello di bugie, utilizzando la strategia classica del truffatore, quella di persuadere ogni personaggio coinvolto a confermare il suo racconto. La confidenzialità e la fiducia carpita sono i pilastri della sua truffa». Così, dopo il testamento, un obiettivo che col passare del tempo sfuma e viene messo da parte, visto che il consolato vaticano a Berna nega l’esistenza del documento, il 42enne s’inventa un piano B, travolgendo, tra gli altri, anche Grandini nella ricerca del tesoro. Cipollini millanta e fornisce estratti bancari e patrimoniali falsi, ma coinvolge numerosi piccoli e grossi investitori a finanziare il suo Hedge Fund.
Dal canto suo Paolo Bernasconi, legale degli accusatori privati, si dice soddisfatto della sentenza ma non nasconde la propria delusione mettendo in evidenza «come l’imputato, definito dall’accusa un pericolo pubblico per l’economia, abbia potuto lavorare nella città di Lugano, terza piazza finanziaria svizzera, indisturbato per un paio di anni, senza alcun controllo da parte delle autorità preposte».