L’associazione opera a Corinto e ad Atene in collaborazione con One Bridge to Idomeni e Vasilika Moon, affinché l’unione faccia la differenza
La parola greca ‘Aletheia’ indica qualcosa che non è più nascosto, che non è stato dimenticato. Ed è proprio sul principio del ‘non dimenticare’ le condizioni di vita precarie dei rifugiati in Grecia che si fonda l’omonima associazione umanitaria, istituita da 13 ragazzi a Balerna nel 2019. Il loro impegno si traduce nella salvaguardia dell’integrità fisica, sociale ed economica dei profughi, offrendo loro vari spazi di accoglienza e di supporto sia a Corinto che ad Atene. A raccontarci la genesi di questo progetto e gli obiettivi raggiunti nel tempo sono il presidente Andrea Felappi ed Emma Tognola, le cui rispettive esperienze di volontariato hanno dato origine ad Aletheia Rcs.
Partendo dagli esordi, come è nata quest’associazione e da che volontà è scaturita?
Felappi: Da fine 2015 migliaia di persone hanno iniziato a lasciare la loro terra d’origine per tentare il viaggio della speranza verso l’Europa, arrivando in una piccola cittadina greca, chiamata Idomeni, che era la porta d’ingresso per la rotta balcanica. All’epoca era diventato il più grande campo profughi informale d’Europa a causa delle decisioni dei vari governi dei Balcani di chiudere le frontiere a singhiozzo. Sentendo queste informazioni sono partito con un’associazione ticinese che voleva dare una mano, e così ho raggiunto Idomeni. Poco dopo il mio arrivo, il campo è stato sgomberato con le ruspe dall’esercito e le circa 12’000 persone che vi erano rifugiate sono state deportate all’interno di vecchie fabbriche nella periferia di Salonicco, che sono poi diventate dei campi rifugiati gestiti però dal governo greco. Ricordo che in un campo nella zona portuale di Salonicco c’erano 300 famiglie ma non servizi di volontariato. Le persone erano semplicemente abbandonate sé stesse.
È da quell’esperienza che è iniziato tutto, dal trovare dei fondi qui in Ticino a far partire dei mini progetti all’interno del campo dove mi trovavo e così via. Con il passare del tempo quest’esigenza di aiutare si è rafforzata e con Emma Tognola, Alessia Da Silva Salvador, Alice Vicini, Elisa Rossini, Emanuele Scandale, Josy Ricciardi, Matteo Taddei, Noa Viganò, Paolo Pontarolo, Rachele Conti Ferrari, Enea Bacilieri e Omar Negri, tutti con una formazione nel ramo sociale e nell’insegnamento alle spalle, abbiamo voluto creare un’associazione e cercare di avere una progettualità più a lungo termine.
Come si è evoluto il vostro sostegno e intervento nei campi profughi?
Tognola: Siamo partiti tutti come volontari e abbiamo osservato queste disfunzionalità di una situazione già di per sé estremamente tragica, perché sono persone che in quel momento ‘non vivono’. Si trovano in un limbo di attesa, nel quale si sentono totalmente impotenti. Noi abbiamo portato un piccolissimo contributo facendo un periodo di volontariato, ma la grande spinta è derivata dalla volontà di fare qualcosa in più per poter apportare un aiuto sull’arco di tutto l’anno.
Dove e come operate? Ci sono altre associazioni con le quali collaborate?
Felappi: All’inizio si improvvisava un po’, secondo i bisogni che comparivano nell’arco della giornata o del periodo di volontariato. Per professionalizzare la nostra missione abbiamo stretto una collaborazione con due associazioni italiane, One Bridge to Idomeni (Obti) di Verona e Vasilika Moon, con sede a Brescia. La partnership è nata dalla volontà di unire le proprie risorse e competenze, in maniera tale da poter offrire un sostegno e un accompagnamento alle persone costrette a vivere all’interno dei campi per rifugiati.
Tognola: Inizialmente, a Corinto, non vi erano attività educative e ricreative e luoghi riparati e quindi abbiamo deciso di affittare degli spazi all’interno della città con vari scopi.
Uno di questi è il ‘Community School’. È una scuola a tutti gli effetti, dove vengono offerti vari corsi, dalle lingue all’informatica. Se poi c’è un volontario con qualche conoscenza particolare cerchiamo di far sì che venga condivisa con i rifugiati.
A pochi passi dalla scuola c’è il ‘Community Center Cheriapsies’, che è un luogo di incontro, di scambio culturale e per costruire amicizie che cela dietro il suo nome il suo scopo sociale. Infatti, ‘Cheriapsies’ in greco significa ‘stretta di mano’. All’interno di questo centro, sempre in collaborazione con Obti e Vasilika Moon, abbiamo creato un ‘Free shop’, un negozio di alimentari e di beni di prima necessità dove le persone acquistano grazie a un sistema di punti. Per rifornire il negozio puntualmente organizziamo un ‘SolidariTir’, un camion pieno di beni di prima necessità raccolti tra Svizzera e Italia.
Ci sono poi un servizio di noleggio biciclette ‘We bike you’, assistenza medico-sanitaria gratuita con ambulatorio gestito dall’associazione Medical volunteer international, un internet point gratuito e altri servizi.
Felappi: Ad Atene invece abbiamo creato uno sportello sociale nel centro città, chiamato ‘Meraki’ che significa ‘essenza di noi stessi’ all’interno del quale cerchiamo di indirizzare le persone che arrivano verso servizi specifici per le loro esigenze. Tutto questo è possibile grazie a un lavoro di rete sul territorio. Il volontariato rimane il motore della nostra missione. Abbiamo sempre 20 persone presenti sul campo, generalmente 13 volontari a Corinto e 7 ad Atene, più un coordinatore e una coordinatrice fissi in entrambi i posti.
Come è il rapporto con la burocrazia e con le autorità greche?
Felappi: Non è che una battaglia continua. Il governo ha applicato delle procedure di registrazione delle organizzazioni in Grecia estremamente complicate, proprio per cercare di evitare che la situazione venga denunciata. Nel 2016, in Grecia, c’erano molte associazioni, a oggi ne sono rimaste poche. E questo è proprio dovuto alle difficoltà di lavorare con le autorità. Non se ne parla, ma in Grecia, e in particolar modo ad Atene, è guerriglia urbana ogni giorno, con la polizia che blocca le strade, controlla passaporti e arresta persone, mandandole poi oltre confine.
Tognola: Il governo greco cerca di rendere la situazione il più ostile possibile. Perché la situazione a livello di crisi economica è talmente grave che i mezzi dati dall’Unione Europea per gestire la crisi migratoria non sono sufficienti e dunque cercano di fare in modo che queste persone vadano via. Non sempre, purtroppo, abbiamo margine di manovra per aiutare i rifugiati, soprattutto se è stata loro negata più volte la domanda di asilo.
Ci sono altri progetti in cantiere?
Felappi: A oggi, vista la mancanza di cibo da distribuire in Grecia, stiamo andando a investire maggiormente nella distribuzione di quest’ultimo. Per questo si sta elaborando una sorta di software che andrà a raggruppare in un unico sistema informatico le associazioni, fondazioni e Ong che si occupano di distribuzione di beni di prima necessità ad Atene, centralizzandola e coordinandoci con le varie associazioni.