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El Salvador, la criptoligarchia che si avvicina a Lugano

Uno dei Paesi più violenti d’America, il primo a dare corso legale al Bitcoin, è ‘gemellato’ con la città. Foletti: ‘Accordo puramente commerciale’

(Keystone)

Il ‘criptogemellaggio’ tra Lugano ed El Salvador – annunciato la settimana scorsa al Plan B Forum – ha stupito molti. Perché certo, il piccolo Paese aggrappato all’istmo centroamericano è stato il primo al mondo, l’anno scorso, a dare corso legale al Bitcoin, rendendone obbligatoria l’accettazione come mezzo di pagamento. Ma ha anche fama d’essere sull’orlo del fallimento, una terra violentissima saccheggiata dall’oligarchia latifondista. Come stanno davvero le cose? Ne parliamo con Gianni Beretta, storico corrispondente della Rsi e de ‘Il manifesto’, grande conoscitore di El Salvador con 40 anni d’esperienza in Centroamerica e Caraibi.

Dopo la guerra civile che tra il 1980 e il 1992 ha causato 75mila morti, i guerriglieri del Fronte di liberazione e gli ultraconservatori hanno dato vita a una fragile democrazia e nessuna riforma. In un contesto di profonda miseria, ora è stato adottato il Bitcoin. Perché?

Si deve essenzialmente alla figura del presidente Nayib Bukele. Figlio di imprenditori d’origine palestinese e lui stesso uomo d’affari, a 41 anni è anche il primo millennial alla guida di uno Stato americano. Estromesso dal Fronte – la sinistra ex guerrigliera, spesso rigida e settaria – ha fondato il partito Nuevas Ideas, proponendosi come alternativa ‘terza’ e stravincendo le Presidenziali del 2019 e il voto del 2021 per il legislativo e i municipi. Un risultato ottenuto anche grazie alle sue abilità social da ‘twittero’, apprezzate in un Paese costituito in maggioranza da giovani, perlopiù disperati. C’è quindi una prossimità culturale e generazionale alle criptovalute. Ma la scelta dei Bitcoin è anzitutto una scorciatoia.

In che senso?

Bukele non ha voluto sfidare un’oligarchia storicamente avida e feroce, non ha cercato di spendere il suo capitale politico per combattere le disuguaglianze e alleviare la povertà: la maggioranza di due terzi al Parlamento gli è servita semmai per smontare la Corte suprema e rimontarla a sua immagine e somiglianza, garantendosi il controllo anche del potere giudiziario e al contempo la possibilità, incostituzionale, di un secondo mandato nel 2024. Queste tendenze autarchiche e golpiste fanno il paio con la scorciatoia dei Bitcoin: Bukele sperava che il boom delle criptovalute potesse magicamente portare un po’ di ricchezza nel Paese senza doversi impegnare in vere riforme, attraverso una mera quanto azzardata speculazione.

Quali sono i punti-chiave della sua strategia?

Ha investito in momenti diversi le risorse pubbliche per acquistare 2’381 Bitcoin. Ha immaginato la creazione di una Bitcoin City sul Pacifico, in cui l’estrazione informatica della moneta sia resa possibile dall’energia geotermica di due vulcani, e addirittura una Bitcoin Beach per i surfisti amanti delle criptovalute. Ha speso 120 milioni nella creazione del ‘Wallet Chivo’, piattaforma di scambio della criptovaluta cui hanno aderito due terzi dei salvadoregni – allettati dall’omaggio iniziale equivalente a trenta dollari Usa – per poi soprattutto cercare di veicolare in moneta digitale i 7 miliardi e mezzo di rimesse annue degli emigrati con la possibilità di evitare le normali spese di commissione. Proprio quello delle rimesse familiari (ci sono oltre 2 milioni di salvadoregni solo negli Usa contro 6,5 milioni di residenti nel Paese, ndr) è un punto importante: ammontano a quasi un quarto del Pil, mentre il 70% circa dell’economia è informale.

Come sta andando?

Male, almeno per ora. Il crollo del Bitcoin – passato da un cambio sul dollaro di circa uno a 70mila a quello, ben più modesto, di uno a 20mila – ha già dissipato il 60% dell’investimento. Della Bitcoin City non si è fatto nulla, l’emissione di bond sui mercati internazionali che avrebbe dovuto sostenerne la costruzione continua a essere rimandata. Spesi i loro 30 dollari, i salvadoregni hanno abbandonato in massa il Wallet. Mentre solo il 2% delle rimesse entra nel Paese in Bitcoin. La fiducia del Fondo monetario internazionale vacilla, e con essa il futuro prestito da 1,3 miliardi di dollari che dovrebbe evitare a El Salvador la bancarotta. Le agenzie di rating hanno già declassato a spazzatura il debito nazionale. Nel frattempo, i ricchi continuano quasi a non sapere cosa significhi pagare imposte dirette, esattamente come prima.

El Salvador utilizza come divisa nazionale il dollaro da quando, nel 2001, la destra oligarchica abbandonò il colón. Puntare sui Bitcoin è un modo per emanciparsi dagli Usa?

Quel che è certo è che gli Usa non vedono di buon grado l’operazione, così che la relazione con Washington si è deteriorata, specie da quando Bukele ha aperto a collaborazioni commerciali con la Cina: andava meglio con Trump, che lo stesso Bukele aiutava a tamponare i flussi migratori dei salvadoregni in cambio di fondi ingenti finiti chissà dove. Ma la scelta dei Bitcoin, più che un atto di ribellione, appare come una pura e semplice scommessa al tavolo verde.

È in corso una guerra al crimine: in uno dei pochissimi Paesi al mondo arrivati a contare oltre cento omicidi ogni centomila abitanti, il 2% della popolazione adulta è in prigione in condizioni indicibili. Diverse Ong denunciano violazioni dei diritti umani. Cosa sta succedendo?

In un primo tempo, Bukele era riuscito ad attenuare le violenze attraverso patti con le maras, le brutali gang ‘importate’ da Los Angeles che tengono in scacco soprattutto le periferie della capitale San Salvador (che conta un milione e 700mila abitanti e contribuisce a fare di El Salvador il Paese centroamericano più densamente popolato, ndr). Poi gli omicidi sono nuovamente aumentati ed esercito e polizia hanno usato il pugno duro: lo stato d’emergenza dichiarato a marzo e ancora in vigore ha portato fino a oggi a 60mila arresti. Sono finiti in prigione oltre mille minorenni che ora, per una recente riforma del codice penale, a partire dai 12 anni rischiano già fino a 10 anni di prigione. A volte basta un tatuaggio per finire dentro. Per ora questa politica ha però regalato a Bukele il sostegno dei milioni di persone che vivono sotto il giogo di queste bande, fatto di estorsioni, microcriminalità e spaccio. Oltre a far dimenticare il fallimentare esperimento del Bitcoin.

Come si spiega l’accordo con Lugano?

Io credo che Bukele, vedendo crollare il suo progetto, individui nella collaborazione con Lugano una sorta di salvagente. Probabilmente spera di trovare lì le competenze, il sostegno e la visibilità che finora non è riuscito a ottenere. Questo spiega anche la scelta di inviare sul Ceresio Milena Mayorga, che essendo l’ambasciatrice negli Usa è di fatto la numero uno della diplomazia salvadoregna.

Ma Lugano cosa ci guadagna?

Non saprei. Può darsi che una collaborazione possa fare comodo in termini di relazioni con certi grandi attori del mondo delle criptovalute, alcuni dei quali peraltro sono caduti un po’ in disgrazia. Ma in un momento in cui la Banca centrale europea dichiara guerra alle criptovalute e anche la Fed si mostra perplessa, legarsi con il minuscolo e insignificante El Salvador è una mossa che mi pare piuttosto curiosa e di difficile comprensione.

IL SINDACO

‘Accordo puramente commerciale e tecnologico’

Per approfondire il pensiero dietro a questa collaborazione sui generis abbiamo contattato il sindaco di Lugano, Michele Foletti.

Com’è nata questa collaborazione? Chi ha contattato chi?

Il loro ambasciatore all’Onu di Ginevra ci ha contattato dopo aver saputo del Plan B, in quanto ha ritenuto che rispecchiasse la filosofia economica salvadoregna. Poi abbiamo stilato una lettera d’intenti, che è più che altro un auspicio per una collaborazione tra due entità pubbliche che desiderano introdurre le criptovalute come mezzo di pagamento ufficiale. Con tutte le differenze del caso, perché certamente la situazione a El Salvador non è la stessa di Lugano.

Prima vi siete consultati col Dipartimento federale degli affari esteri?

Noi abbiamo fatto tutte le valutazioni del caso, sia dal punto di vista diplomatico che legale. Si tratta comunque di un patto non vincolante e senza una roadmap vera e propria. Il Dfae non è stato contattato, perché il nostro sistema federalista permette a città e cantoni di instaurare rapporti di collaborazione senza dover passare da Berna. Ad esempio Lugano ha già accordi con la città di Genova e con alcune città cinesi. È chiaro che oggi non farei un accordo con una città russa, o con qualunque altro ente che possa causare problemi diplomatici, non siamo certo così ingenui.

C’è da dire che la situazione di El Salvador non è proprio delle più rosee.

Siamo consapevoli del fatto che si tratta di un Paese in profonda trasformazione, e che vi sono diverse problematiche. Ma quando un Paese cerca di fare ordine a casa sua saltano sempre fuori queste cose. L’accordo di collaborazione però rimane unicamente legato alle criptovalute.

Neppure l’adozione del Bitcoin sta dando grandi risultati.

Corretto, ma il loro progetto è ancora in fase di sviluppo. La loro idea è comunque diversa dalla nostra, dal momento che si basa sullo sfruttamento delle grandi sorgenti geotermiche per estrarre i Bitcoin e spenderli per la creazione di infrastrutture a beneficio della popolazione. Il nostro intento è invece quello di attrarre persone e aziende che operano nell’ambito della blockchain.

Non c’è il rischio che l’immagine di Lugano ne esca danneggiata?

Siamo a conoscenza dell’alto tasso di criminalità nel Paese, ma è anche vero che le cose stanno migliorando sotto il nuovo presidente…

… sì, mediante l’uso della violenza da parte del governo.

Il nostro rimane un accordo puramente commerciale e tecnologico. Se potrà in qualche modo aiutare El Salvador a migliorare la sua situazione, sarei ben contento. Per quanto riguarda l’immagine ritengo che si debba guardare avanti e non soffermarsi sui trascorsi dei Paesi, perché altrimenti non avremmo potuto instaurare molti dei proficui accordi in vigore tutt’oggi. Io sono contento che noi, una piccola città svizzera, possiamo dare una mano a El Salvador a implementare delle buone pratiche, sia tecnologiche che di gestione, che permettano una sana e democratica crescita.

È prevista la creazione di un ente di rappresentanza salvadoregno a Lugano?

La loro intenzione al momento è di creare una specie di camera di commercio di El Salvador a Lugano. Stanno anche valutando la possibilità di aprire un consolato qui, ma a quel punto saranno tenuti a seguire l’iter richiesto dal Dfae. È chiaro che a loro interessa essere a Lugano per attirare investitori stranieri interessati alla loro economia.

Però si ha come l’impressione che a guadagnarci siano solo loro.

Loro sono partiti due anni fa con l’implementazione nazionale del Bitcoin. Il nostro vantaggio è la possibilità di imparare dalla loro esperienza e capire quali sono i passi da seguire e cosa invece non funziona, e soprattutto con quali mezzi e tecniche procedere.

Riconoscerà però che a livello d’immagine va tutto a vantaggio loro.

Non capisco perché aiutare un Paese svantaggiato a crescere non possa essere visto come una buona pubblicità. L’accordo riguarda solo il Bitcoin, ma questo potrebbe sicuramente portare profondi cambiamenti in positivo per El Salvador. Inoltre questo accordo potrebbe essere l’inizio di una collaborazione che potrebbe estendersi anche ad altri settori e altre iniziative. Questa tecnologia potrebbe fare una grande differenza in quei Paesi in cui la popolazione non è nemmeno libera di accedere a un conto in banca, e per queste persone possedere un wallet di criptovalute costituirebbe di fatto una rivoluzione.