Il professor Thierry Largey (Università di Losanna) sulle proposte della commissione degli Stati per sviluppare le rinnovabili
Avanti tutta con le rinnovabili, con le nuove (fotovoltaico, eolico) così come con le tradizionali (idroelettrico). Avanti tutta, anche a costo della natura e del paesaggio. È un "segnale chiaro" quello lanciato la scorsa settimana dalla maggioranza della Commissione dell’ambiente e dell’energia del Consiglio degli Stati. Obiettivo: rendere più sicuro l’approvvigionamento in elettricità, soprattutto in inverno.
Oggetto di una legge urgente, le proposte riguardanti il fotovoltaico (obbligo di posare pannelli solari sui nuovi edifici, via libera alla costruzione di grandi impianti in aperta montagna) sono già state approvate dalla Camera dei Cantoni. La commissione competente del Nazionale se ne occuperà giovedì. Le altre controverse misure – che causerebbero alla natura danni "sproporzionati" rispetto ai vantaggi che apporterebbero alla produzione d’energia, denunciano le organizzazioni ambientaliste – verranno discusse giovedì dal Consiglio degli Stati.
‘laRegione’ ne ha parlato con Thierry Largey, professore di diritto dell’energia e diritto amministrativo all’Università di Losanna, dal 2001 al 2017 responsabile della sezione vallesana di Pro Natura e già capogruppo dei Verdi al Gran Consiglio vallesano.
Professore, giovedì il Consiglio degli Stati potrebbe decidere di rafforzare ulteriormente la promozione delle energie rinnovabili, a scapito della protezione della natura e del paesaggio. Cosa ne pensa?
Il progetto della commissione preparatoria è molto radicale. In sostanza si dice: ci sono le ‘rinnovabili’, e praticamente nient’altro può impedirne lo sviluppo. Si è perso l’equilibrio. Se il Consiglio degli Stati andrà in questa direzione, sarebbe un cambiamento di paradigma, una netta rottura.
In che senso?
L’approccio è sempre stato quello dell’esame caso per caso e della ponderazione degli interessi. L’idea è che, in una data situazione, vengano presi in considerazione i vari interessi in gioco, e che alla fine vi sia una convergenza fra di essi. Non si oppone per forza un interesse a tutti gli altri. Il progetto di legge in discussione, invece, contraddice in pieno un approccio che troviamo ad esempio sia nel progetto del Consiglio federale volto a snellire le procedure di pianificazione e autorizzazione per gli impianti idroelettrici ed eolici, sia in quello [sempre del Consiglio federale, ndr] che grazie a una tavola rotonda fra tutti gli enti interessati ha portato all’identificazione di 15 progetti idroelettrici da sostenere.
Il suo collega Peter Hettich dell’Università di San Gallo ha usato le stesse parole ("molto radicale") per definire la legge urgente che dovrebbe spianare la strada ai grandi impianti fotovoltaici in aperta montagna.
Siamo nella stessa logica: l’idea è di togliere sin dall’inizio tutti gli ostacoli sul piano giuridico per favorire la realizzazione di questi impianti. Anche questa è una proposta radicale, inedita. Progetti del genere potrebbero essere costruiti quasi ovunque; non vi sarebbero più limiti, o quasi. L’interesse alla produzione di energia prevarrebbe su tutto il resto. Si dimentica di prevedere che questi impianti potrebbero essere facilmente collocati in siti che non entrano in conflitto con la protezione della natura e del paesaggio, principalmente in aree edificate o non protette. Possiamo in effetti montare pannelli solari sulle dighe, lungo le autostrade, su zattere galleggianti nei bacini idroelettrici, ad esempio.
Per l’Ufficio federale di giustizia, la legge è anticostituzionale: viola l’obbligo di pianificazione e di svolgere un esame d’impatto ambientale, ignora la legge sulla pianificazione del territorio e il diritto di ricorso delle organizzazioni ambientaliste.
La Costituzione federale sancisce l’esistenza di diversi interessi: protezione dell’ambiente, protezione delle risorse, salvaguardia del suolo, pianificazione del territorio, produzione energetica e via dicendo. Tutti questi interessi sono messi sullo stesso piano. L’articolo costituzionale sull’energia indica la volontà di farli convergere. Adottare un approccio del tipo ‘basta con gli studi di impatto ambientale, niente più procedure di pianificazione, fine del diritto di ricorso delle organizzazioni ambientaliste ecc.’ significa cancellare tutto ciò che è stato costruito a partire dagli anni 70. L’idea di pianificare, di dare voce ad altri interessi, di trovare soluzioni pragmatiche ed equilibrate: tutto questo – rafforzato peraltro dalla revisione della Legge sulla pianificazione del territorio del 2014 – verrebbe gettato alle ortiche. In particolare, una procedura pianificatoria è un formidabile strumento di conciliazione degli interessi e di organizzazione del territorio. Sopprimerla sarebbe un grave errore, perché minerebbe alle fondamenta il diritto dell’ambiente e il diritto della pianificazione del territorio, così come li conosciamo oggi in Svizzera.
Secondo la commissione degli Stati, l’interesse alla produzione di elettricità dev’essere preminente rispetto ad altri interessi, in particolare a quelli della protezione della natura e del paesaggio. Cosa succederà, in un caso concreto?
La ponderazione degli interessi, tra protezione e utilizzo, verrà sempre effettuata. Ma in futuro sarà molto più orientata, sbilanciata a favore dell’interesse legato alla produzione di energia. Il testo della maggioranza della commissione parla chiaro: il raggiungimento di quest’obiettivo deve avere la preminenza sul diritto ambientale e non deve essere ostacolato dalle sue disposizioni. In un caso concreto, il giudice non potrà non tenerne conto: sarà costretto ad applicare ciò che il legislatore ha voluto. La giurisprudenza, finora molto differenziata, è destinata a cambiare: verosimilmente, un giudice si ritroverà a dover dare luce verde a un progetto senza le misure compensatorie che finora spesso sono state predisposte.
I biotopi di importanza nazionale erano stati ‘salvati’ nella Strategia energetica 2050. Ora si propone di abolire il divieto di costruirvi impianti per la produzione di elettricità da energie rinnovabili. Cosa ne pensa?
Sono stati popolo e Cantoni a voler ancorare nella Costituzione federale il principio della protezione delle paludi, approvando nel 1987 la cosiddetta Iniziativa di Rothenthurm. Parliamo di ambienti naturali circoscritti, che ospitano molte specie a rischio d’estinzione e che sono estremamente sensibili all’inquinamento, alla siccità, a modifiche del terreno. Se si costruirà un impianto eolico in una palude bassa, o su un prato secco, questi semplicemente cesseranno di esistere perché perderanno definitivamente la sostanza stessa che ne fa la ricchezza: le specie che li abitano, la biodiversità. In un paesaggio di importanza nazionale [che gode di una protezione minore rispetto a un biotopo, ndr], gli interessi possono essere più facilmente conciliati.
Cosa teme maggiormente: un mega-impianto fotovoltaico sulle Alpi vallesane, una miriade di microcentrali in paesaggi intonsi, un grande parco eolico sulla Greina?
Non saprei cosa scegliere… La mia riflessione è incentrata sugli obiettivi di protezione specifici dei luoghi in questione, così come sui benefici a livello di produzione energetica del progetto in gioco. Le domande da porsi, caso per caso, sono: l’impianto che voglio costruire qui minaccia l’obiettivo specifico di protezione di questo ambiente particolare? Se sì, come può conciliarsi con gli altri interessi? Le risposte saranno differenziate. Ripeto: grazie ad accorgimenti sulla grandezza o l’ubicazione degli impianti, oppure ancora grazie a misure compensatorie di altro tipo, posso immaginare che sia possibile conciliare gli interessi divergenti in gioco, nel caso di un paesaggio di importanza nazionale; ma nel caso di un biotopo, sarà molto, molto più difficile.
Non abbiamo solo una crisi energetica: ne abbiamo anche una climatica e una della biodiversità. Vanno risolte globalmente, come prevedono la Costituzione e la legislazione attuale: facendo convergere gli interessi, in modo da trovare soluzioni globali ai problemi energetici e ambientali, senza opporre gli uni agli altri. A questo serve la pianificazione: alla concertazione, che spesso prelude a simili soluzioni.
La Svizzera deve raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. È quanto prevede il controprogetto all’iniziativa popolare detta ‘per i ghiacciai’ approvato martedì dal Consiglio nazionale (117 voti contro 67), che ha eliminato tutte le divergenze emerse dopo il passaggio agli Stati. Contro il parere del gruppo Udc, la Camera del popolo ha deciso in particolare di sbloccare 2 miliardi di franchi per il risanamento energetico degli edifici e altri 1,2 miliardi per sostenere il settore industriale. Più precisamente: 200 milioni all’anno, sull’arco di 10 anni, saranno destinati alla sostituzione di impianti di riscaldamento elettrici o con combustibili fossili e alla promozione del risanamento energetico degli edifici; altri 200 milioni di franchi, su un periodo di sei anni, finanzieranno un programma d’impulso destinato al settore industriale per lo sviluppo di nuove tecnologie.
Soddisfatti, i promotori dell’iniziativa intendono ritirare il loro testo. La decisione definitiva verrà presa dopo le votazioni finali, il 30 settembre, hanno ribadito. Ma uno strascico ci sarà comunque: all’unanimità, il gruppo Udc ha fatto sapere ieri sera di voler lanciare il referendum contro quella che il consigliere nazionale Michael Graber definisce una «legge mangiacorrente»: in tempi in cui la popolazione viene invitata a risparmiare energia viene presentato un testo che comporta un consumo elettrico molto più elevato, ha detto il vallesano. La decisione definitiva sarà presa tra dieci giorni dalla direzione del partito. Il popolo, dunque, sarà verosimilmente chiamato a esprimersi su una proposta tesa a rilanciare la politica climatica dopo il ‘no’ popolare dello scorso anno alla Legge sul CO2, anch’essa combattuta dall’Udc.
La nuova ‘Legge federale sugli obiettivi di protezione del clima’ riprende dall’iniziativa l’obiettivo delle emissioni nette pari a zero. Non vieta però esplicitamente i vettori energetici fossili.
La commissione preparatoria del Consiglio degli Stati propone una serie di misure per rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento in elettricità attraverso lo sviluppo delle ‘rinnovabili’. Il plenum se ne occuperà giovedì.