Il ministro delle Infrastrutture ucraino Kubrakov chiede aiuti subito, anche modesti: ‘Con 500mila euro strutture temporanee che possono essere decisive’
Nello stesso momento in cui, a Villa Ciani, il premier ucraino Denys Shmyhal limava con Ignazio Cassis gli ultimi dettagli della Dichiarazione di Lugano, il ministro delle Infrastrutture Oleksandr Kubrakov entrava all’Hotel Pestalozzi, letteralmente dall’altro lato della strada, per una colazione di lavoro. Nel buffet ci sono torte, brioche e bevande di ogni tipo, c’è chi si contiene e chi si abbuffa. Kubrakov si farà portare solo un bicchier d’acqua e non toccherà nemmeno quello. Ha voglia e fretta di parlare, esprime un’urgenza che fa passare in secondo piano persino la sete. Non ci gira intorno: «Abbiamo bisogno di soldi». Tanti, maledetti e subito. Tanti e maledetti non lo dice, anche se lo fa intuire, ma «subito» lo ripete più volte.
Man mano che parla, si capisce che esistono obiettivi a breve termine da perseguire e lui è venuto sin qui soprattutto per quello. Kubrakov e Shmyhal come una coppia da telefilm, il premier nei panni del poliziotto buono e paziente che mette nero su bianco l’impegno e la fedeltà ai sette princìpi stabiliti dalla Conferenza, i cui risultati si vedranno solo col tempo. A Kubrakov tocca il lavoro sporco: insomma, è quello venuto a fare la questua, ma con validi argomenti. «Nella zona di Kharkhiv, tra le più colpite dalla guerra, non sono stati colpiti solo edifici di primaria importanza, come scuole e ospedali. In alcuni casi non c’erano e non ci sono più nemmeno le strade. L’importanza di una strada in buone condizioni è spesso sottovalutata da chi guarda le cose da fuori».
Per questo il ministro ucraino sceglie un esempio molto semplice e diretto: «Dopo aver riasfaltato una di quelle strade siamo riusciti a ridurre il tempo di percorrenza di un tratto di 40 chilometri da oltre 2 ore a 40 minuti. Abbiamo spostato più velocemente le armi in un’area vicina al fronte e allo stesso tempo abbiamo salvato un sacco di vite. Quando si è in guerra metterci la metà del tempo ad arrivare in ospedale può fare la differenza tra la vita e la morte».
Kubrakov sa che insistere sugli aiuti per armamenti o su infrastrutture legate solo all’attività militare non attira troppe simpatie a Occidente. Chiaro che ponti e strade servono a tutti, civili compresi. Su quello si concentrano le richieste del ministro, che ricorda anche come a oggi sono circa 320mila le persone rimaste senza un tetto: «Ormai oltre il 30 per cento delle infrastrutture del Paese sono state distrutte. Ci sono aeroporti e porti fuori uso o ridotti a capacità minime, ci sono strade su cui prima di rimetterci mano bisogna chiamare sminatori e artificieri, la ferrovia è fortemente danneggiata, sono stati bombardati ospedali e scuole. Tutto quello che fa funzionare un Paese è già danneggiato o potenzialmente sotto attacco».
Cassis e Kubrakov durante la Conferenza (Keystone)
E torna, nel suo discorso, la cifra sventolata anche da Zelensky e Shmyhal, 5 miliardi: è quello che le casse dello Stato ucraino perdono ogni mese di guerra. A proposito di questo Kubrakov ricorda il ruolo ingrato del ministro delle Finanze: «I soldi in questo momento sono destinati per la quasi totalità agli armamenti e al primo soccorso. Eppure basterebbe poco, almeno per gli standard occidentali per rimettere in piedi il Paese con strutture temporanee eppure vitali. Sono stampelle, ma stampelle che fanno tutta la differenza tra muoversi e restare fermi. «Un ponte temporaneo ha costi tra i 500mila euro e il milione, quindi relativamente economico. Si può tirare su in tempi brevi e garantisce benefici a cascata già sperimentati in questi mesi di guerra».
Per capire meglio l’enormità di questo 30 per cento fuori uso è bene ricordare quanto è grande l’Ucraina, che copre una superficie di 600mila chilometri quadrati, più grande della Francia o della Germania, il doppio dell’Italia. Il solo, martoriato Donbass è grande quanto tutta la Svizzera più mezza Lombardia.
«L’Ucraina aveva un ramificato sistema di trasporti su rotaia. Vogliamo svilupparlo ulteriormente in futuro e abbiamo già un accordo per una linea veloce tra Kiev e Varsavia. Inoltre treni e trasporto su gomma stanno diventando fondamentali dopo i problemi con i porti sul Mar Nero. Fino al giorno dell’invasione l’80 per cento del nostro export transitava via mare. Inoltre anche i porti sul Danubio (che per il 4% passa in territorio ucraino) hanno una capacità ridotta tra il 30 e il 40 per cento. Per questo ci siamo attivati per accelerare i controlli della merce via terra con accordi con i nostri partner europei». Tra le esportazioni di peso c’è il grano, i cui campi sono inutilizzati solo per il 10 per cento, il resto c’è ancora e cerca solo una strada sicura per uscire. Anche quella, come tutto, ha un prezzo. La colazione è finita, chissà Kubrakov come vede il bicchiere che non ha neanche toccato, se mezzo pieno o mezzo vuoto.
Il 30% delle infrastrutture è distrutto (Keystone)