laR+ Ticino

Lavoro ad alto valore aggiunto? ‘In Ticino c’è quello diminuito’

Erosione del potere d’acquisto, aumento frontalieri, fuga di personale qualificato. Per Gargantini (Unia) bisogna alzare i salari: ‘L’economia può farlo’

(Ti-Press)
21 giugno 2022
|

È un mercato del lavoro uscito dalla crisi pandemica «molto meglio di quanto a un certo punto si temesse – valuta Giangiorgio Gargantini, segretario regionale di Unia – e questo perché la ricchezza del Paese ha permesso di intervenire con aiuti statali in modo efficace». Tuttavia, «una serie di sciagurate scelte imprenditoriali e politiche», hanno contribuito a definire un quadro attuale a tinte piuttosto fosche «per numerosi lavoratori e lavoratrici». Abbiamo provato a capire in che situazione versa il sistema lavorativo ticinese attraverso l’osservatorio di uno dei sindacati attivi quotidianamente sul territorio.

Giangiorgio Gargantini, quali problemi sta facendo emergere in Ticino la situazione geopolitica caratterizzata dalla guerra in Ucraina e dai correlati rincari e penurie delle materie prime?

Nello specifico i settori più toccati sono quelli che commerciano con le materie prime provenienti dall’Ucraina, come ad esempio la parte di industria legata alla produzione di acciaio e alla sua lavorazione. In generale però si può dire che la situazione ha messo in rilievo un’ennesima contraddizione del sistema capitalista. Si è infatti predicato molto negli ultimi anni per un’economia "à flux tendu", "just in time", ovvero che riduce in modo importante lo stoccaggio di materie per ottimizzare i costi di produzione. Questo sistema è efficace quando la catena produttiva funziona rapidamente, ma appena questa si interrompe, tutto si blocca. È un bug sistemico di cui oggi paghiamo lo scotto. La responsabilità è chiaramente del mondo aziendale perché non ha una visione a medio-lungo termine. Negli ultimi 10-15 anni ci sono stati degli enormi aumenti di produttività nel campo industriale, con conseguenti aumenti di profitti, che però si sono voluti massimizzare nell’immediato senza fare dei ragionamenti più lungimiranti, ad esempio investendo nella formazione, nei mezzi, nel miglioramento delle condizioni di lavoro o semplicemente ridistribuendo massa salariale ai lavoratori. Questo avrebbe aumentato il potere d’acquisto della popolazione, aumentano di conseguenza anche le entrate fiscali dello Stato e nel complesso avrebbe permesso di trovarci oggi in una situazione decisamente più solida anche per attutire i colpi che si prospettano.

Con l’inflazione in forte rialzo e un nuovo massiccio aumento dei premi di cassa malati alle porte, il potere d’acquisto dei lavoratori verrà sempre più eroso. Quali le possibili soluzioni?

Secondo i calcoli fatti dall’Unnione sindacale svizzera (Uss), a livello nazionale è da prevedere in media una diminuzione di reddito per famiglia pari a 3’300 franchi l’anno. Ma non bisogna pensare che aumento dell’inflazione significhi crisi economica. Ci sono ampi settori dell’economia che stanno facendo grandi benefici e questi devono essere messi a contribuzione. Nel passato ci si accordava abbastanza facilmente per degli incrementi salariali perlomeno equivalenti a quelli del carovita, e questo è indispensabile avvenga anche oggi. Ma la compensazione non è sufficiente, soprattutto in Ticino bisogna aumentare il potere di acquisto della popolazione. Inoltre lo Stato deve intervenire contro quella che è una comprovata e indecente speculazione, basta guardare come già il giorno dopo lo scoppio della guerra i prezzi del carburante siano volati alle stelle quando quello presente qui era stato comprato in passato.

Come sindacato eravate al fronte nella campagna referendaria contro il decreto Morisoli per il contenimento della spesa pubblica. Ne temete gli effetti? Che tipo di intervento pubblico difendete?

Si è visto in Gran Consiglio quale peso specifico il decreto abbia già nelle discussioni e quante polemiche stia già generando. Limare il margine di manovra dello Stato significa limitarne l’efficacia d’intervento. Va ricordato che Stato significa innanzitutto servizio pubblico, formazione, cultura, sistema sanitario, trasporti, e tutto questo deve essere garantito. Il suo compito è anche di sostenere chi si trova in difficoltà ad esempio perché senza impiego. Ma se poi deve intervenire anche per sostenere chi un lavoro ce l’ha ma non riesce ad arrivare alla fine mese, tutto si complica. Sta all’economia privata versare dei salari degni.

Salari degni che non per un ticinese non sono quelli accettati da molti lavoratori frontalieri, sempre più numerosi. Il territorio è stato impoverito a causa loro?

Il territorio ticinese si è in effetti impoverito e tutte le cifre lo dimostrano: disoccupazione, sottoccupazione, salari più bassi e tassi di povertà nettamente più alti che nel resto del Paese. Se altrove si parla di un’economia che crea valore aggiunto qui parliamo di valore diminuito. Ma non è certo colpa di chi arriva a lavorare. L’esplosione del numero di lavoratori frontalieri è la risposta alla legge economica della domanda e dell’offerta. Se si aprono posti di lavoro a condizioni salariali che non permettono di vivere in Ticino è normale che la forza lavoro arrivi da Oltrefrontiera. Come lo è che i ticinesi fuggano alla ricerca di condizioni contrattuali migliori. Poi c’è chi, come Aiti, parla di penuria di profili qualificati e chiede di indirizzare meglio la formazione, ma la domanda è: mancano ingegneri, o mancano ingegneri a 3500 franchi lordi al mese? Personale con qualifiche c’è anche qui, ma non si può fare astrazione dal loro riconoscimento. Serve un salario minimo legale e al contempo, ribadisco, un aumento salariale generalizzato.

Il 25 giugno ci sarà una grande manifestazione dell’edilizia a Zurigo in vista della rinegoziazione del Contratto nazionale mantello. La richiesta è di risolvere i problemi che regnano nei cantieri a livello di salute e sicurezza. Qual è la posta in gioco?

Per noi si tratta del miglior Contratto collettivo del Paese, di quello anche simbolicamente più forte perché ottenuto grazie a una mobilitazione dei lavoratori esemplare negli anni. Uno degli aspetti cruciali è il pensionamento anticipato a 60 anni che vige nell’edilizia. Si tratta di un riferimento importantissimo e stiamo portando avanti rivendicazioni in altri settori per poter ricalcare i contenuti di questo contratto. È quindi evidente che rischiare passi indietro a causa degli attacchi padronali o non ottenere i miglioramenti necessari andrebbe a scapito di tutti i lavoratori.

A proposito di pensioni, l’Uss ha da poco lanciato la campagna contro la riforma federale Avs21 in votazione popolare il 25 settembre che prospetta l’aumento dell’età pensionistica delle donne da 64 a 65 anni. Cosa proponete invece voi per risanare il primo pilastro?

La perdita di rendite che subirebbero le donne in caso passasse questa riforma sarebbe di 1’200 franchi all’anno. È inaccettabile perché le donne già oggi percepiscono pensioni più basse di un terzo di quelle degli uomini. Inoltre a livello parlamentare è in discussione la riforma del secondo pilastro, mentre i Giovani liberali hanno lanciato un’iniziativa parlamentare per un ulteriore innalzamento dell’età pensionabile. Questo mostra quanto il tema sarà centrale non solo nei prossimi tre mesi ma nei prossimi anni. Il problema pensionistico è la conseguenza diretta delle storture salariali. E qui sta la misura centrale che bisognerebbe prendere, oltretutto sancita dalla Costituzione, che è quella dell’uguaglianza salariale. Se oggi le donne guadagnassero quanto gli uomini per lo stesso tipo di lavoro, questo metterebbe a tacere in modo definitivo tutte le cassandre delle casse vuote e delle difficoltà di finanziamento delle pensioni, e di rimandare al mittente le varie iniziative e i progetti di legge che vogliono solo peggiorare il sistema previdenziale del Paese.