Il Pvl è il partito del momento in Svizzera. Intervista al suo presidente, il consigliere nazionale bernese Jürg Grossen
Signor Grossen, lei vorrebbe che la Svizzera potesse fornire all’Ucraina munizioni e armi. Con la neutralità come la mettiamo?
Bisogna precisare. Il Pvl è del parere che debba essere possibile per la Svizzera esportare materiale bellico in Stati democratici che subiscono un’aggressione militare, affinché possano difendersi sul proprio territorio. Questi Stati difendono anche i nostri valori, quindi anche la Svizzera in fin dei conti. Dobbiamo trovare una soluzione per poterli sostenere.
Nessun problema con la neutralità, dunque?
Le grandi questioni sono sempre complicate. Tuttavia, noi politici siamo qui per affrontare i problemi e trovare delle soluzioni. Ben venga quindi il dibattito avviato sulla ridefinizione della neutralità.
La popolazione tiene molto alla neutralità, stando ai sondaggi. Non teme un contraccolpo per il suo partito?
No. Anzi, vedo un’opportunità per l’intera società: quella di discutere della forma concreta e dei limiti della neutralità. Non credo che lo stare a guardare, il chiudere gli occhi mentre uno Stato viola in maniera flagrante il diritto internazionale, sia la neutralità che la popolazione desidera.
Il Pvl è il partito del momento. L’avrebbe mai detto nel 2017, quando è stato eletto presidente?
Naturalmente! Altrimenti non avrei mai accettato la carica. Per me è stato subito chiaro che il partito aveva un grande potenziale, e che eravamo pronti a passare al livello successivo.
Cos’ha fatto da spartiacque?
C’è sempre stata continuità. Le nostre idee sono sempre rimaste le stesse, si è trattato di uno sviluppo naturale. Tra il 2017 e il 2018 abbiamo analizzato chi erano le nostre elettrici e i nostri elettori, e con quali messaggi e attraverso quali canali li potevamo raggiungere. Un lavoro intenso, risultato pagante alle elezioni federali del 2019.
Nel 2015 avete subito una batosta con la vostra iniziativa popolare per una tassa sull’energia al posto dell’Iva: è a quel punto che è morto il ‘vecchio’ Pvl?
Era giusto che un giovane partito provasse a farsi conoscere anche così. Quell’iniziativa, concepita in modo forse troppo tecnocratico, senza una alleanza che la sostenesse, alla fine non è stata capita. Ma è stata una buona esperienza. E l’idea alla base della proposta – ridurre la dipendenza dalle energie fossili, dannose per il clima – ha mantenuto tutta la sua forza. La guerra in Ucraina ne è la riprova: il tema resta di stretta attualità.
"Moderatore tra il ‘vecchio’ e il ‘nuovo’ Pvl", ha scritto la ‘Nzz’. Così intende il suo ruolo?
Ripeto: per me non c’è un ‘nuovo’ e un ‘vecchio’ Pvl. Parliamo sempre di sviluppi: di persone che adeguano costantemente le loro posizioni, la loro comunicazione, senza però rinunciare alle idee fondamentali, anzi. Certo, il presidente deve fungere anche da moderatore. Sono per indole una persona analitica, che cerca di considerare ogni aspetto di una problematica. Per me non è mai bianco o nero, amo la complessità e le sfumature di colore. Le cose semplici le lascio agli altri.
C’è chi dice: un presidente e un partito senza contorni, privi di un chiaro profilo.
È vero il contrario: i colori hanno più sfumature del bianco e nero, sono più vivaci. A sinistra e a destra c’è dogmatismo, una testardaggine che spesso non lascia spazio alla molteplicità dei colori. Il Pvl invece porta queste sfumature nel gioco politico, cerca soluzioni pragmatiche ai problemi di oggi.
Colorare la politica non significa avere un chiaro profilo.
Il nostro partito ha posizioni molto chiare, che sono rimaste immutate negli anni. Siamo stati i primi a batterci per una protezione del clima che vada a braccetto con lo sviluppo economico. La popolazione riconosce in noi il partito che promuove questa simbiosi, che non mette una cosa contro l’altra. Anche sulle questioni di società il Pvl viene subito identificato: ci siamo battuti durante quasi dieci anni per il ‘matrimonio per tutti’, e oggi la popolazione sa che questo è un merito dei Verdi liberali. Un altro esempio: la politica europea. Siamo sempre stati risolutamente a favore dell’Accordo istituzionale. Abbiamo sempre detto che servono relazioni stabili con l’Ue e che le vogliamo continuare a sviluppare in altri ambiti, come la ricerca e l’elettricità. Nessun altro partito può vantare una posizione altrettanto chiara. Tantomeno il Consiglio federale, che dopo la rottura dei negoziati non ha la benché minima idea di come andare avanti: le conseguenze per il nostro Paese sono drammatiche e si faranno sentire per parecchi anni.
Il Ps si sposta a sinistra, il Plr a destra. Al centro dello scacchiere politico, nel "milieu social-liberale" il potenziale di crescita è "enorme", scriveva già nel 2019 Markus Somm in ‘Das Magazin’. È rimasto intatto, questo potenziale?
Sì. I risultati nelle ultime elezioni cantonali lo dimostrano. La popolazione attende risposte differenziate alle grandi domande del nostro tempo: clima, ambiente, Europa, assicurazioni sociali. I partiti di sinistra e quelli di destra, spostandosi sempre più verso i rispettivi poli, non rispondono a questo bisogno diffuso. Il nostro invece è un partito ottimista, che guarda in maniera fondamentalmente positiva al futuro, che è aperto ai cambiamenti ed è in grado di fornire quelle risposte non dogmatiche di cui molte elettrici ed elettori hanno bisogno. È la ragione del nostro successo, e continuerà a esserlo.
Esponenti di spicco del Pvl (la ex consigliera nazionale Isabelle Chevalley, l’ex presidente e consigliere nazionale Martin Bäumle) hanno deplorato negli ultimi anni lo "spostamento a sinistra del partito". State piano piano scivolando verso sinistra?
No, non è così. Le nostre posizioni sono rimaste le stesse. È la società che cambia, che è sempre un passo avanti rispetto alla politica. Di conseguenza, temi che solo fino a pochi anni fa erano appannaggio della sinistra, o della destra, oggi sono diventati ‘mainstream’: appartengono ormai a tutti i partiti. Prenda la guerra in Ucraina e il dibattito sulla neutralità: basta parlare con le persone per rendersi conto che l’idea romantica di una Svizzera isola al centro dell’Europa è diventata minoritaria, e che l’accento viene posto ormai sulla cooperazione militare con la Nato e l’Ue. Solo fino a un paio d’anni fa questo sarebbe stato impensabile.
Molti giovani elettori votano Pvl. Ma sono persone che, non avendo legami consolidati con un partito, potrebbero anche sfuggirvi alla prossima occasione. Un elettorato volatile: è questo uno dei vostri punti deboli?
L’elettorato giovane è piuttosto mobile: è un dato di fatto. E un partito come il nostro, che non ha nemmeno vent’anni di vita, non può ancora contare su una base elettorale consolidata, cementata da voti di famiglie che si tramandano di generazione in generazione. Detto questo, assistiamo a un enorme afflusso di persone nei Giovani Verdi liberali. Ovunque vada, parlando con militanti e simpatizzanti, percepisco questa grande energia positiva. Non credo che alle prossime elezioni federali vedremo uno spostamento di giovani elettori in un’altra direzione.
Il vostro è il partito che dal 2019 ha fatto meglio di tutti nelle elezioni cantonali. E di recente avete guadagnato posizioni anche al di fuori dei grandi centri urbani, in città di medie e piccole dimensioni e persino nelle regioni rurali. Però avete solo due consiglieri di Stato e non siete più presenti nel Consiglio degli Stati. Fate parecchia fatica a presentare candidati in grado di imporsi in elezioni col sistema maggioritario. Perché?
Ci sono due aspetti. Il primo: molti degli eletti del Pvl, nei cantoni, non hanno un’esperienza politica alle spalle. Ancora sette anni fa, leggendo i giornali, uno avrebbe potuto facilmente dire che nel Pvl c’è solo Martin Bäumle [cofondatore e presidente fino al 2017, ndr]. Oggi non è più così. Siamo riusciti a formare molte altre persone, che nel frattempo sono diventate volti noti della politica federale. Ma è un lavoro che richiede tempo. Il secondo punto: le elezioni per i governi cantonali e per il Consiglio degli Stati si svolgono col sistema maggioritario. Per noi è ancora difficile riuscire a formare un ticket con candidati di altri partiti, di destra o di sinistra, che ci consenta di accedere a questi consessi. Abbiamo ottimi candidati nei cantoni; semplicemente, ci vuole tempo. Ma siamo pazienti: siamo impostati sulla modalità maratona, piuttosto che sullo sprint sulle corte distanze.
Non nascondete le vostre ambizioni per le elezioni federali dell’autunno 2023. Quali sono i vostri obiettivi, in cifre?
Nel 2019 abbiamo già fatto un grande balzo avanti. Progredire ancora una volta non sarà facile. Vorremmo comunque superare la barra del 10% [2019: 7,8%]. Al Consiglio nazionale, cinque dei 16 seggi conquistati nel 2019 sono ‘traballanti’. Il nostro obiettivo è non solo di confermarli tutti, ma di conquistarne altri tre o quattro. Vorremmo anche tornare nel Consiglio degli Stati [dove il Pvl non è più rappresentato dal 2015, ndr].
Cosa dovrebbe capitare affinché il Pvl si ritrovi in Consiglio federale già nel 2023?
Sono convinto che i Verdi liberali un giorno saranno in Consiglio federale, perché siamo l’unico partito con un programma orientato al futuro. Alla popolazione serve un partito così in Governo, in grado di agire per il cambiamento e allo stesso tempo di costruire ponti tra la destra e la sinistra. Dovremo però almeno confermare il risultato delle elezioni 2019; e avremo bisogno di buone candidate o buoni candidati, oltre che di una costellazione propizia. Poi tutto sarà possibile.
Cosa sarà possibile, esattamente?
Il Plr è sovrarappresentato in Consiglio federale, da molti anni. Ma anche il Ps lo è. D’altro canto, anche i Verdi – se si confermeranno – potranno legittimamente rivendicare un seggio.
Assisteremo quindi a una battaglia tra ‘cugini’, Verdi e Verdi liberali?
Non necessariamente. Potrebbe darsi che il Ps debba cedere uno dei suoi due seggi ai Verdi e che il Plr debba fare altrettanto con noi.
Il Pvl nella Svizzera romanda e in Ticino è quasi impalpabile: un handicap, per le vostre aspirazioni governative.
Siamo un partito nazionale! Da quest’anno [con la nascita della sezione urana, ndr] siamo presenti in tutti i cantoni. In Romandia abbiamo già avuto grandi successi, a livello cantonale e comunale. In Ticino abbiamo ancora del lavoro da fare, ma disponiamo di persone davvero in gamba. Se il prossimo anno riusciremo a entrare in Gran Consiglio, potremo dimostrare anche lì quel che sappiamo fare. Altrimenti sarà per la prossima occasione. Come ho detto: siamo pazienti, tenaci, pronti alla maratona.
Jürg Grossen è originario di Frutigen, nell’Oberland bernese. Sposato, padre di tre figli, è pianificatore di sistemi elettrici e contitolare di un’azienda attiva nei settori dell’efficienza energetica e del fotovoltaico. Dal 2021 il 53enne è presidente di Swissolar, l’associazione svizzera dei professionisti dell’energia solare. Grossen viene eletto nel 2011 al Consiglio nazionale sulla lista del Partito verde liberale (Pvl), formazione nata nel 2004 da una costola dei Verdi zurighesi e allora capitanata dal suo co-fondatore Martin Bäumle. Il 2015 è un anno nero per il Pvl: la sua iniziativa popolare ‘Imposta sull’energia invece dell’Iva’ viene travolta da una valanga di ‘no’ (92%); e alle elezioni federali il partito si vede dimezzata la sua ‘frazione’ parlamentare. Bäumle si fa da parte, emergono volti nuovi. Grossen è uno di questi. Nel 2017 viene eletto presidente. Alle ‘federali’ del 2019 il Pvl avanza di 3,2 punti (7,8%), passando da 7 a 16 seggi al Nazionale. Nei Cantoni, da allora nessun altro partito ha fatto meglio. I sondaggi indicano che i Verdi liberali potrebbero crescere ancora alle elezioni federali dell’autunno 2023.