L’Udc e molti altri hanno seminato dubbi sul consenso relativo a misure come vaccini e mascherine. Hanno le loro ragioni o intorbidano le acque?
I dubbi seminati sulle mascherine e sui vaccini, le proteste in piazza in nome della ‘libertà’, personalità come il consigliere federale Udc Ueli Maurer a sostenere che "ci sono cose che non si possono più dire ad alta voce in questo Paese". Fin dove arrivano perplessità legittime e sincere paure, e dove invece s’innesta la strumentalizzazione politica? Quali sono state le responsabilità dei leader e dei media? E come potremo ricucire certi strappi? Ne parliamo con Suzanne Suggs, docente all’Università della Svizzera italiana presso l’Istituto di comunicazione e politiche pubbliche e quello di sanità pubblica, membro della Task force scientifica Covid-19 della Confederazione, vicepresidente della Scuola svizzera di salute pubblica.
Prof. Suggs, spesso la minoranza No Pass, No Mask e No Vax denuncia un atteggiamento intimidatorio da parte di una maggioranza ‘filogovernativa’, anche se poi trova un certo ascolto presso il maggiore partito in Svizzera. Proprio l’Udc Maurer si è schierato in prima fila nel denunciare che ‘non si può più dire niente’. Non hanno un briciolo di ragione?
Non penso che non si possa più parlare. Ma quando si discute della gestione di una pandemia occorre partire da quanto ci dice la scienza, altrimenti non si fa altro che intorbidare le acque. Io non dubito della sincerità di molti che si ritengono paladini della salute e della libertà: il problema è che le loro convinzioni nascono da un’enorme confusione su cosa sia la libertà – che non può essere quella di contagiare gli altri mettendone a rischio la vita – unita a un notevole analfabetismo scientifico in tema di malattie infettive. Mi pare evidente che certe formazioni abbiano accolto, amplificato enormemente e difeso anche molto aggressivamente le istanze di questi gruppi estremisti, permettendo loro di diventare una forza politica. Perfino gente che prima non si preoccupava affatto della cosa pubblica è stata mobilitata, potenziando un fronte che ha agito in modo intimidatorio verso scienziati e politici quando ad esempio chiedevano prudenza con le riaperture.
A tal proposito, da un giorno all’altro Berna ha deciso di far cadere tutte le restrizioni. Una scelta saggia?
Direi proprio di no. Le ospedalizzazioni sono calate, ma sono ancora molto alte, come lo è anche la diffusione del virus. Misure come le mascherine nei luoghi chiusi, specie se vi si soggiorna a lungo e sono poco ventilati, aiutano a proteggere soprattutto le persone più vulnerabili: Omicron sta ancora circolando e dobbiamo tenere in conto tutte le conseguenze del virus, non solo la sua fase acuta, ma anche il long Covid. Di certo, l’enorme pressione da parte di molti ambienti politici ed economici non ha aiutato i decisori a raggiungere il migliore dei compromessi. Ma, appunto, questo è in una certa misura comprensibile se si guarda anche alla strategia di aggressione e paura – unita alla conquista di enormi spazi mediatici – applicata da certuni.
Spazi mediatici, già: in molti ambiti del giornalismo ci si basa sul principio del ‘dare voce a tutti’. Quando non lo si fa – perché si ritengono certe opinioni estranee al compasso civile e a un’informazione fondata – si viene accusati di censura. Che fare?
Ancora una volta, vale il principio per cui la libertà d’opinione non può compromettere la correttezza dell’informazione scientifica. Lo si era già visto col cambiamento climatico: non si può dare lo stesso peso all’opinione della stragrande maggioranza degli scienziati, che lo ritengono direttamente legato alle attività umane, e a chi lo nega. È chiaro che è più facile fare l’opposto, far parlare il medico che contesta i vaccini o il politico che solleva dubbi sull’utilità delle mascherine, per destare scandalo e ‘farsi leggere’. Ma non è così che si contribuisce a un dibattito – anche scientifico – informato.
Proprio sulle mascherine è stata da poco presentata (sempre dall’Udc) un’interpellanza al Consiglio di Stato nella quale si chiedono lumi sulle basi scientifiche del (fu) obbligo di indossarle. "Numerosi studi scientifici", vi si legge, "hanno dimostrato che l’uso continuativo della mascherina comporti grandi sacrifici ai cittadini, senza portare reali riduzioni dei contagi". Allegati al documento troviamo numerosi studi che paiono sollevare più d’una perplessità sull’efficacia della protezione. Questo è un caso di sano esercizio del dubbio, o piuttosto si mira a seminare confusione per conquistare il voto coronascettico?
Ancora una volta, non metto in discussione la sincerità politica, ma di nuovo devo sottolineare un clamoroso analfabetismo e negazionismo scientifico. Non si può ignorare il consenso scientifico, non si possono scegliere alcuni studi dalle basi piuttosto deboli ignorandone moltissimi altri di elevata qualità e supportati da dati solidi. E anche gli studi che si scelgono si devono saper leggere: all’inizio di uno di quelli citati nell’interpellanza, ad esempio, c’è un avviso bello grande che premette i grandi dubbi metodologici sul suo svolgimento. La scienza si basa sicuramente su osservazioni e sperimentazioni limitate e circostanziate, sulla prova e l’errore, ma non ci sono dubbi sul fatto che durante le fasi acute di una pandemia mascherine di buona qualità come quelle disponibili in Svizzera, indossate in modo appropriato, difendano noi e gli altri dal contagio. Non a caso le si indossa negli ospedali, e non a caso il personale sanitario si è contagiato molto più di frequente in famiglia o all’esterno che non sul lavoro.
Sulle mascherine però, a differenza che sui vaccini, anche la scienza è parsa contraddittoria: all’inizio ci fu detto che non servivano.
Sinceramente, in quel caso si sarebbe dovuti essere più chiari e sinceri: le mascherine venivano sconsigliate perché non ce n’erano abbastanza e quelle che c’erano andavano riservate al personale sanitario. Il che è perfettamente legittimo. Ma nel tentativo di raggiungere un compromesso tra messaggio politico, ‘logistico’ e scientifico si è data l’idea di una confusione della scienza sul tema, che non c’è mai stata. Che mascherine e distanze sociali aiutino a contenere la diffusione di un virus si sa dai tempi della pandemia di influenza spagnola (1918-1920, ndr). È stato un caso di comunicazione infelice.
Mentre ci avviamo a uscire dalla pandemia – o almeno così speriamo – occorrerà pensare anche a come riconciliarsi con quell’amico, zio o vicino di casa che sul tema non la pensa come noi.
Certo. Solo l’abilità combinata di ragionare e di amare ci permette di sperare in un futuro migliore. Occorrerà tornare a dialogare e a dimostrarsi rispetto reciproco. Il rispetto, però, è anche quello che impone al cittadino di premunirsi per non esporre a pericoli il prossimo, nello stesso modo in cui si esige di non guidare ubriachi. La base per superare rabbia e paura dev’essere comunque quella. Per questo – per evitare nuovi contrasti dettati dall’ignoranza, catalizzati poi più o meno consapevolmente da una certa politica – sarà fondamentale lavorare sempre di più sull’alfabetizzazione scientifica dei cittadini, che purtroppo lascia ancora molto a desiderare.