Al complice di Danilo Larini inflitti 4 anni e 2 mesi. Ha già scontato parte della pena in una prigione bulgara
È stato il correo di Danilo Larini, in quella che è stata indicata come una delle truffe (suddivisa in due filoni) più grandi nella storia giudiziaria ticinese. La cifra in questione è infatti di quelle ‘monstre’: circa 80 milioni di franchi. Un agire che a un 60enne cittadino italiano, comparso quest’oggi davanti alle Assise criminali di Lugano, è costato 4 anni e 2 mesi di reclusione per truffa aggravata e falsità in documenti. La corte presieduta da Mauro Ermani, con Monica Sartori-Lombardi e Aurelio Facchi giudici a latere, ha riconosciuto le colpe dell’uomo gravi sia da un profilo oggettivo che soggettivo. A impressionare opinione pubblica e inquirenti, oltre ovviamente alla grande somma accumulata e in parte già restituita, è il modo con il quale i due complici hanno tratto in inganno le loro vittime. Una rete di società sparse nel mondo (si passa da Hong Kong al Lussemburgo) e un sistema d’agire truffaldino. I fatti risalgono al periodo compreso tra il gennaio 2009 e il novembre 2015. In totale sono state oltre una settantina le persone raggirate. Millantando investimenti finanziari fittizi i due si facevano consegnare il denaro, poi utilizzato per le spese delle loro società, per garantirsi un altissimo tenore di vita e per rimborsare parte della clientela precedente. Così si legge nell’atto d’accusa firmato dal procuratore pubblico Daniele Galliano.
Il 60enne, difeso dall’avvocato Maurizio Pagliuca, ha ammesso le sue colpe e il processo si è svolto con la procedura del rito abbreviato. Spetterà ora al Giudice dei provvedimenti coercitivi (Gpc), come indicato dalla corte durante la lettura del dispositivo, esprimersi sulla possibilità di espiare la pena in libertà condizionata. L’uomo ha infatti già trascorso un lungo periodo (oltre due anni) dietro le sbarre, scontando parte della pena anche in Bulgaria. «Un’esperienza tremenda. Eravamo in cinque a occupare una stanza di 10 metri quadrati, con la possibilità di fare la doccia solo una volta alla settimana e il bagno in comune. A noi detenuti era concessa solo un’ora d’aria al giorno», ha raccontato l’uomo, ancora scosso, al giudice. «Non ho ancora somatizzato quanto successo. Ho continui attacchi di panico e sensi di colpa».