Il massacro dimenticato alle porte di Kiev, dove morirono oltre 33mila ebrei, simbolo di eventi sepolti dalla storia
La memoria della Shoah ha costituito un elemento fondante della coscienza identitaria europea del secondo dopoguerra. La percezione di un punto di crisi acuta della civiltà europea, di barbarie mai raggiunte prima e mai più a ripetersi, è stata l’innesco di una riflessione culturale che ha attraversato la cultura contemporanea. Da Adorno a Hannah Arendt. Il ripensamento radicale del tema dell’antisemitismo, il rifiuto del nazionalismo, l’esigenza di uno sguardo critico collettivo sulla propria storia e di una riconciliazione tra popoli che erano stati nemici: tutti elementi che hanno contribuito a dare forma a una nuova Europa, che ha avuto il suo massimo momento di pace e prosperità nel frangente storico in cui smetteva di essere il centro politico del mondo. Tuttavia, c’è un’Europa in cui questo processo di ripensamento della storia alla luce della Shoah, ha avuto un vigore e una profondità minori. Di questa Europa fanno parte (tra gli altri?) i Paesi di quello che fu il Patto di Varsavia.
Babij Jar è una cava nella campagna circostante Kiev. Un luogo di fucilazioni di massa da parte delle truppe naziste. Particolarmente agghiacciante fu il massacro della popolazione giudaica: tra il 29 e il 30 settembre 1941 vi furono fucilati più di 33 mila ebrei. Vista la vicinanza con la città, il rumore incessante degli spari si udì pure nella capitale ucraina. Si tratta di una pagina tra le più efferate della storia del nazismo, un eccidio di massa paragonabile solamente per dimensioni a quelli di Odessa, nel 1941, e nel ghetto di Lublino.
Il grande poeta russo Evgeni Evtušenko, in una visita sul sito del massacro nel 1961, notò con stupore che non vi si trovava nessuna targa che ricordasse l’evento e che la cava era utilizzata al fine di smaltire i rifiuti. Ne trasse una famosissima poesia, poi musicata in una sinfonia di Dmitrij Šostakovič. Il poeta si appella alla vocazione internazionalista del popolo russo, per muovere una critica all’antisemitismo strisciante del regime sovietico dell’epoca, le cui posizioni ufficiali sembravano sminuire le dimensioni tragiche della Shoah. Infatti la poesia, che pur vide la luce in una rivista letteraria sovietica, fu apertamente criticata dalla nomenclatura del partito (a partire da Kruščev). Sono versi vertiginosi: Non c’è un monumento a Babij Jar, / il burrone ripido sta come una lapide /[…] A Babij Jar il fruscio dell’erba selvaggia / gli alberi sembrano minacciosi / come a voler giudicare / qui tutto urla in silenzio.
I soldati nazisti sparano sui civili a Babij Jar (Keystone)
Una certa storiografia dell’Europa dell’est definisce questo fenomeno come duplice morte delle comunità ebraiche. Allo sterminio fisico ha fatto seguito una censura della memoria di quegli eventi da parte della cultura ufficiale dei Paesi del Socialismo Reale, che non ha mai voluto fare i conti con il proprio antisemitismo. Basti pensare alle persecuzioni antisemite contro i cosiddetti cosmopoliti portate avanti dal regime staliniano dal ’48 al ’52. O alla campagna antisemita del regima comunista polacco nel 1968.
In alcuni Paesi del Patto di Varsavia, l’antisemitismo di massa sopravvisse alla Seconda Guerra Mondiale e fu usato dai regimi comunisti dell’epoca per cementificare il proprio consenso in senso nazionalistico. Un altro esempio emblematico è quello del sito del campo di concentramento nazista di Sachsenhausen (periferia di Berlino). Il memoriale ivi presente, dedicato alle vittime del nazismo da parte della Ddr e terminato nel 1961, si concentra in particolare sulle vittime comuniste e antifasciste (che portavano un triangolino rosso identificativo sulla propria “divisa“) e pone in secondo piano tutte le altre categorie perseguitate dal Terzo Reich. Una chiara scelta di campo nell’ambito della memoria condivisa.
L’Ucraina è stato uno dei paesi Europei più segnati dalla presenza ebraica. Basti pensare, ad esempio, al movimento chassidico, nato nell’Ucraina occidentale. All’inizio del Novecento, nei confini dell’Ucraina attuale, viveva una delle popolazioni ebraiche più numerose d’Europa (crica 2 milioni di abitanti), di dimensioni paragonabili solo a quella polacca. Kiev, Odessa, Lviv, Kharkiv erano tra le città più giudaiche al mondo. A causa degli eventi drammatici del XX secolo (dai pogrom all’olocausto), la popolazione ebrea in Ucraina è oggi ridotta a qualche decina di migliaia di abitanti. Lo sterminio ebraico in Ucraina si è fatto soprattutto attraverso i rastrellamenti delle Ss e degli Einsatzgruppen e per questo viene anche chiamata Shoah a colpi di fucile per distinguerla da quella delle camere a gas. Come dimensioni si tratta di uno sterminio assolutamente paragonabile a quello dei campi di concentramento (circa un milione di vittime).
Un memoriale per le vittime di Babij Jar (Keystone)
La memoria dell’olocausto in Ucraina rimane un tema molto controverso, portato alla luce soprattutto da studiosi stranieri. Notevole è stato in particolare il lavoro dell’equipe guidata dal francese Patrick Desbois, che ha passato in rassegna l’Ucraina, villaggio per villaggio, alla ricerca di tracce dello sterminio perpetrato dai nazisti sugli Ebrei e su altre categorie (zingari, oppositori politici, ecc.).
Le azioni di sterminio degli Einsatzgruppen furono capillari e interessarono una buona parte di quello che è il territorio ucraino attuale. Si tratta di una vicenda per lo più ignorata dalla maggioranza della popolazione locale, che abita gli stessi territori dove vissero comunità ebraiche molto numerose. Dal punto di vista della memoria storica è questo il dato più impressionante: la popolazione di luoghi dove vissero e furono sterminati centinaia di migliaia di ebrei è per lo più dimentica della vicenda. Magari sono noti gli episodi più importanti come Babij Yar, o i massacri di Odessa e Leopoli, ma spesso si ignora di vivere negli stessi villaggi dove furono rastrellati gli Ebrei.
È una situazione che presenta ancora delle fortissime criticità: la Shoah rimane un tema lontano dalla sensibilità del Paese, che ne ignora pure gli aspetti positivi. Come, ad esempio, gli oltre 2’500 ucraini commemorati nel giardino dei giusti a Gerusalemme.
Un aspetto problematico è legato al ritorno in superficie del nazionalismo ucraino con l’indipendenza del Paese negli anni ’90. I partiti nazionalisti ucraini sono una forza molto esigua a livello di consensi elettorali (sono praticamente scomparsi dal parlamento nel 2019), ma possiedono una certa capacità di mobilitazione dei propri militanti, una presenza costante nelle manifestazioni di piazza. Ora, una parte dei riferimenti mitici di queste forze politiche è a movimenti politici del primo Novecento, che si macchiarono anche di crimini contro l’umanità e nelle cui file furono assoldati pure molti collaborazionisti. È questo un tasto molto dolente, anche perché nel dibattito attuale la Shoah viene di contro a volte invocata, in patria e all’estero, come una colpa nazionale, un crimine collettivo della popolazione etnicamente ucraina (e quindi non appartenente alle minoranze russofone, rumene, tatare, ungheresi...).
Una delle fosse comuni a Babij Jar (Keystone)
La Shoah in Ucraina si presenta ancora come un tema scomodo e divisivo. A prova di questo c’è il sito precedentemente menzionato di Babij Jar, dove sono stati posti uno dopo l’altro dei memoriali inerenti all’uno o all’altra minoranza perseguitata. Il primo fu quello eretto nel 1976 da parte dell’Urss a memoria delle vittime con cittadinanza sovietica e dei prigionieri di guerra. Seguì quello inaugurato in memoria dell’eccidio della popolazione ebraica nel 1991. E, da allora, ne sono stati posti diversi altri per ricordare Rom, ortodossi, nazionalisti ucraini, ecc, a testimonianza della frammentazione del giudizio storico che percorre ancora la società.
Tuttavia, con il presidente ucraino attuale, le cose stanno poco a poco cambiando. In un incontro tenutosi in Israele l’anno scorso, il presidente Volodymyr Zelensky ha rivelato che i fratelli di suo nonno erano stati vittima della Shoah. Con il presidente precedente Petro Porošenko ancora in carica, nel 2016 è stata costituita la fondazione “Babyn Yar Holocaust Memorial Center”, sostenuta da diversi mecenati ucraini e internazionali. L’obbiettivo è la realizzazione, in quell’area della periferia di Kiev, del più vasto memoriale al mondo dedicato agli eccidi nazisti. Il completamento dei lavori è previsto per il 2026, e, grazie alle nuove tecnologie, mira a valorizzare al massimo il sito con un ampio uso di esperienze immersive e interattive.
Il monumento che celebra la Liberazione a Kiev (Keystone)