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‘L’educazione musicale dovrebbe essere alla portata di tutti’

Matteo Piazza (Fesmut) denuncia costi troppo alti per le famiglie. Prevista una mozione per rendere più accessibili finanziariamente le lezioni

(Depositphotos)
7 gennaio 2022
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Prendere lezioni di musica non è per tutti. Lo denuncia Matteo Piazza, presidente della Federazione delle scuole di musica ticinesi (Fesmut) parlando di costi troppo gravosi. Dopo la risposta «deludente» del governo all’interrogazione di alcuni granconsiglieri, verrà presentata una mozione parlamentare con l’intento di sostenere meglio chi offre i corsi e le famiglie».

«In media a livello nazionale queste ultime sostengono pressoché un terzo dei costi per la formazione musicale dei giovani. Il resto viene coperto da Cantoni e Comuni», dice Piazza. «In Ticino la mano pubblica si prende carico di circa il 20 per cento», lasciando dunque il restante 80 alle famiglie. La discrepanza si nota anche per quanto riguarda l’ammontare del finanziamento pubblico, che in Ticino «è intorno agli 1,2 milioni di franchi l’anno. Per avvicinarsi a quello che succede nel resto della Svizzera dovrebbero essere 21».

Alcuni Comuni danno sostegni, altri no: ‘Questo crea discriminazione’

Il presidente della Fesmut fa notare «un grave ritardo» sull’attuazione di un articolo della costituzione federale, secondo cui anche i Cantoni devono essere promotori della formazione musicale, in particolare dell’infanzia e della gioventù. Inoltre solleva molte critiche circa la legge sulla cultura entrata in vigore in Ticino nel 2015. Alcune perplessità erano state espresse in un’interrogazione firmata da tutti i capigruppo di partito in parlamento. «C’è molta delusione per la risposta del Consiglio di Stato, che in sostanza afferma che il settore pubblico svolge già il suo compito in ambito di formazione musicale dal momento che la medesima viene proposta nelle scuole dell’obbligo. Sarebbe però come dire che dovremmo rivedere i finanziamenti pubblici allo sport perché i ragazzi a scuola fanno già ginnastica». Secondo Piazza «le scuole di musica stanno adempiendo da anni a un compito che sarebbe delle istituzioni pubbliche. La maggior parte delle associazioni sono senza scopo di lucro. Vine loro riconosciuta l’esenzione fiscale perché il loro operato è considerato di pubblica utilità». In quest’ottica «è auspicabile che anche in Ticino, come nel resto del Paese, le scuole di musica riconosciute non siano più viste come un problema da gestire, ma come una risorsa da sostenere».

Sempre nella risposta all’interrogazione il CdS sostiene che a essere insufficiente è il contributo dei Comuni. Non tutti partecipano ai costi delle lezioni di musica e il sostegno può variare. «Questo crea un’evidente discriminazione, per cui può essere vantaggioso o penalizzante risiedere in un comune piuttosto che in un altro», osserva Piazza. «Il Cantone rimborsa ai Comuni un terzo di quanto devolvono a favore delle famiglie iscritte ai corsi delle scuole riconosciute. Se questo fosse stato un meccanismo virtuoso oggi ci troveremmo a far fronte a cifre in crescita rispetto alla situazione di sei anni fa quando il regolamento è entrato in vigore». La situazione, invece, «è la stessa».

Con la mozione ‘proposte concrete’

Con la mozione, che verrà probabilmente presentata in primavera, si vuole ovviare ai problemi riscontrati. «Verrà presentata dalle forze politiche presenti in parlamento sensibili alla causa, coadiuvate dalle parti in causa attive sul territorio nella formazione musicale», dice Piazza, che anticipa: «Saranno fatte delle proposte concrete di modifica del quadro legislativo, con modelli di gestione molto più virtuosi e congrui di quello attuale. Verranno proposti dei cambiamenti sostanziali che andranno implementati gradualmente».

Le difficoltà non le riscontrano solo le famiglie con un reddito basso, ma anche le scuole di musica riconosciute: «In Ticino i meccanismi di finanziamento a esse sono basati su criteri molto astrusi, privi di logica applicabile ad attività in questo settore oltre che di raffronti a livello nazionale e internazionale», non le manda a dire il presidente della Fesmut che spiega quali sono le lacune. «Per calcolare il sussidio vengono presi come dati di riferimento unicamente i contributi Avs relativi ai salari dei docenti che insegnano agli allievi sotto i vent’anni. Detto importo viene moltiplicato per due. Questo quantifica il contributo». Per quale motivo non è sufficiente? «Non vengono tenute in alcun conto molte voci di spesa indispensabili per il funzionamento degli istituti come i costi fissi delle strutture, il segretariato, l’acquisto e la manutenzione del parco strumenti, e via dicendo. Stessa cosa per la direzione amministrativa professionale e didattica: gli istituti sono obbligati a esserne dotati ma i costi non sono in alcun modo riconosciuti». A Piazza non va giù nemmeno l’origine dei sussidi alle scuole che «non provengono dal bilancio dello Stato ma dal fondo Swisslos. Non è sano e non è coerente che la formazione musicale dipenda come finanziamento dal gioco d’azzardo». Una ragione per la quale il presidente auspica che le scuole di musica sottostiano alla legge sulla formazione e non a quella sulla cultura.

Condizioni difficili per gli insegnanti e dumping salariale

A preoccupare è pure la situazione lavorativa degli insegnanti. «Gli istituti continuano a sopravvivere grazie al massiccio ricorso al volontariato del personale impiegato. Senza dubbio ciò rappresenta qualcosa di lodevole, ma non garantisce un futuro stabile alla formazione musicale nel nostro Cantone», segnala Piazza. «Stiamo parlando di professionisti che hanno investito venti, venticinque anni nella loro formazione e a cui per essere abilitati vengono richiesti titoli di studio accademici. «Purtroppo il quadro legislativo attuale fa in modo che la remunerazione non sia assolutamente in linea con le qualifiche. Nel contempo l’onere salariale è troppo gravoso per le finanze degli istituti, che si vedono imporre dal Decs anche dei vincoli sulle tariffe per l’utenza, peraltro già troppo sollecitata». Da qui vi è l’allarme dumping salariale: «Spesso le persone si rivolgono a insegnanti privati che magari lavorano in nero, senza qualifiche, il tutto senza particolari impegni nei riguardi del docente (come l’andare ogni settimana o pagare le assenze). Questo crea precariato e carenza di lavoro per il personale che invece decide di lavorare in una scuola di musica riconosciuta».