Alex è un criminale da punire a ogni costo o un malato da condizionare al bene? La giustizia dietro il capolavoro di Stankey Kubrick
Di ‘Arancia meccanica’ di Stanley Kubrick ci si ricorda soprattutto tre cose: le scene di violenza; le musiche, con celebri brani di musica classica e le rielaborazioni elettroniche di Wendy Carlos; il Nadsat, il gergo inventato dallo scrittore Anthony Burgess in un misto tra inglese, cockney e russo. Ma il film è anche, e forse prima di tutto, una riflessione sulla giustizia e sul senso della punizione.
Cinquant’anni dopo – il film uscì nelle sale il 19 dicembre 1971 – la resa cinematografica di stupri e pestaggi continua a colpire lo spettatore, nonostante l’assuefazione a prodotti audiovisivi ben più cruenti e che oggi ci fanno sorridere, pensando alle restrizioni e alle censure alle quali andò incontro ‘Arancia meccanica’, con anche minacce alla famiglia del regista e proteste davanti alla sua casa. Per le musiche, è difficile trovare un film che renda più inadeguato parlare di “colonna sonora”: la musica è protagonista, per il ruolo che riveste nella vita del protagonista e, per quanto involontariamente, nella Cura Ludovico, ma soprattutto per come Kubrick la utilizza nel film (i momenti da riguardare, qui, sono la scena di sesso con due ragazze abbordate in un negozio di dischi, sulle note frenetiche del ‘Guglielmo Tell’ di Rossini, e l’irruzione nella casa della “signora dei gatti”, sempre con Rossini ma ‘La gazza ladra’).
Per quanto riguarda la lingua utilizzata da Alex e dai suoi drughi (con un adattato italiano “molto karascov” realizzato da Riccardo Aragno, Roberto de Leonardis e Mario Maldesi), Kubrick si appoggia ovviamente al romanzo di Burgess, linguista oltre che scrittore e che ha utilizzato di Nadsat anche nel titolo. Orange, arancia, significa – su influenza del malese ‘orang’ – infatti uomo: ‘A Clockwork Orange’ è dunque “uomo a orologeria”, alludendo alla trasformazione di Alex con la cura Ludovico (ma Burgess negli anni ha dato anche altre interpretazioni e “clockwork orange” potrebbe anche essere stato una bizzarra espressione gergale che lo ha colpito).
Sul film ci sarebbe ovviamente molto altro da dire, come il design – e qui bisogna citare almeno il Korova Milk Bar che apre il film – o i costumi di Milena Canonero, ma soffermiamoci sulla parte centrale, quando Alex, tradito dai suoi drughi, viene arrestato e condannato a 14 anni. Per uscire di prigione decide di sottoporsi alla cura Ludovico. È il punto di svolta che trasforma ‘Arancia meccanica’, romanzo e film, da semplice storia di violenza a racconto distopico non a caso citato da Charlie Brooker, creatore della fortunata serie ‘Black Mirror’, tra le fonti di ispirazione.
La cura Ludovico è una forma di condizionamento mentale relativamente semplice: attraverso la somministrazione di farmaci e la visione – con le palpebre bloccate da dei fermi di metallo che durante le riprese hanno causato qualche problema all’attore Malcolm McDowell – di scene di violenza, Alex associa a questi comportamenti antisociali una sensazione di insopportabile sofferenza. “Non posso pensare ad altro che cercare di renderla, di rendere l’anima a dio, voglio solamente morire, senza dolore, in pace” afferma a un certo punto il protagonista.
La cura Ludovico funziona: in una sorta di dimostrazione pubblica che precede la sua scarcerazione, Alex prima è costretto dalla nausea a subire le umiliazioni di un attore che lo insulta e lo picchia, costringendolo a leccargli la suola delle scarpe, e poi sempre la sofferenza indotta dal trattamento lo trattiene dal toccare una ragazza seminuda che gli si para davanti. Emendato dagli istinti antisociali, e liquidate le obiezioni sul libero arbitrio del cappellano carcerario, Alex è teoricamente pronto per tornare in società. Solo che la società non è pronta ad accoglierlo: in casa non c’è più posto per lui, dal momento che i genitori hanno affittato la sua camera a un altro ragazzo che è diventato come un figlio per loro; i suoi drughi, i compagni che lo avevano tradito, sono adesso poliziotti che sfruttano la protezione della divisa per dare sfogo agli stessi istinti violenti di prima; le vittime della sua vita precedente cercano vendetta, contando sulla sua impossibilità di reagire anche solo per difendersi.
Dopo un tentativo di suicidio, Alex viene ricoverato e le autorità, per mettere a tacere lo scandolo, rimuovono il condizionamento: il film si chiude con l’inquietante sorriso di Alex che immagina un futuro di sesso e violenza in qualche maniera tutelato dalla legge. Il romanzo di Burgess ha in realtà un capitolo in più, con il ravvedimento del protagonista che si rende conto dei propri errori e, stanco dell’ultraviolenza e delle scorribande, decide di cambiare di vita. Fino agli anni Ottanta l’edizione statunitense del romanzo, quella letta da Kubrick, era infatti priva di questo lieto fine – rimosso sembra su consiglio dell’editore – e quando durante la realizzazione del film il regista ne ha scoperto l’esistenza, ha deciso di ignorare completamente l’ultimo capitolo.
La seconda guarigione di Alex, quella dal condizionamento della cura Ludovico, è sancito dalle note della Nona sinfonia di Beethoven: uno dei filmati utilizzati durante il trattamento, aveva come accompagnamento musicale proprio la celebre sinfonia che adesso, al pari di violenza e sesso, fa soffrire il protagonista.
Quando questo avviene, Alex protesta: “Basta vi prego, vi supplico, è un delitto usare Ludovico van così!”. Fondamentale la reazione del dottor Brodsky: non tanto il “è per il suo bene” con cui liquida il lamento di Alex, quanto il commento rivolto alla dottoressa Branom: “Niente da fare: è l’elemento punitivo, immagino. Chissà quanti saranno contenti”.
Alex ha commesso picchiato, stuprato, ucciso: ha fatto del male ed è giusto che riceva indietro del male. “Hai fatto soffrire gli altri, adesso è giusto che tu soffra ben bene” gli dirà Joe, il ragazzo che vive nella sua camera mentre lo caccia di casa (e Kubrick ha realizzato molte scene senza dialoghi, per cui quando un personaggio parla bisogna prestare attenzione a quello che dice).
È la teoria retributiva della pena ben riassunta dal direttore del carcere con un richiamo all’occhio per occhio: “Uno ti colpisce tu gli rispondi, no? Allora perché lo Stato ferocemente colpito da voi delinquenti non può restituire il colpo?”. In questa visione, la punizione non ha necessariamente uno scopo sociale: non serve a evitare che altre persone, vedendo a cosa va incontro il condannato, non commettano reati (quella che si chiama “funzione generalpreventiva”) o che a rispettare la legge sia, d’ora in poi, lo stesso condannato (funzione specialpreventiva), è semplicemente un dovere. Con linguaggio più curato del direttore del carcere di ‘Arancia meccanica’, Kant nei suoi scritti giuridici definisce la punizione un imperativo categorico: non giustiziare un assassino sarebbe una “colpa del sangue” per “il popolo che ha rinunciato a punirlo”.
La società deve punire chi commette dei reati, costi quello che costi. Il che, per le carceri sovraffollate, questo costo significa avere “criminalità concentrata, delitto nel bel mezzo del castigo” come afferma nel film il nuovo ministro dell’interno che vuole liberarsi di “teorie punitive superate”, con “punizioni improduttive” e che anzi aggiungono “nuovi vizi” a quelli vecchi.
Da qui l’idea della pena come riabilitazione del colpevole, con lo scopo di reinserirlo nella società per il bene di tutti, suo e della collettività. Certo gli scopi del ministro dell’interno non sono esattamente umanitari: il suo obiettivo è svuotare le carceri dai criminali comuni come Alex per mettervi quelli politici, i sovversivi come lo scrittore che, per vendicare la morte della moglie violentata, spinge Alex a suicidarsi provocando uno scandalo che rischia di far cadere il governo.
Burgess e Kubrick portano all’estremo questa concezione considerando il crimine non una scelta libera della persona che li commette, ma una malattia da curare con metodi scientifici. Il condizionamento del trattamento Ludovico, appunto, che riduce Alex a un “uomo meccanico” incapace di libera scelta. E qui c’è, nel film, un dettaglio interessante: si può infatti argomentare che Alex accetta di sottoporsi al trattamento Ludovico, rendendo il condizionamento subito una sua scelta. Nel romanzo capiamo che ad Alex interessa solo uscire di prigione, che la sua non è una decisione consapevole. Kubrick lo esplicita: prima di sottoporsi alla cura Ludovico, Alex deve firmare un documento che gli porge il direttore. Inizia a leggerlo quando la guardia interviene perentoriamente: “Non leggere e firma!”.