Le storie di chi parte, i motivi di chi non torna. Il piano del ministro Vitta: ‘Riportare nel Cantone i talenti di vari ambiti, come l’Intelligenza artificiale’
Pilar Balestra, 28 anni, è psicologa del lavoro da Lidl nel canton Friburgo; l’economista Livia Blonk, 26 anni è impiegata all’azienda dei trasporti pubblici di Basilea; il linguista Sergio Ballanti si occupa di intelligenza artificiale da Apple a Barcellona. Ticinesi che per lavorare hanno dovuto fare le valigie. Come loro, ogni anno se ne vanno in 800 per trovare un posto ben remunerato che corrisponda alle loro capacità. «Un fenomeno che analizziamo e monitoriamo con attenzione e che era già stato registrato anche negli anni ’80» commenta il consigliere di stato Christian Vitta. Col direttore delle finanze e dell’economia cerchiamo comprendere cause e rimedi.
Il primo passo è capire chi parte. Ci viene in aiuto l’Ufficio di statistica (Ustat) che ha analizzato i flussi nel dettaglio, rilevando che a fare le valigie sono soprattutto giovani tra i 25 e i 29 anni (rappresentano il 42% delle partenze nel 2020). Un’emorragia’ simile di ventenni (vedi grafico) si era già verificata agli inizi degli anni 80, poi è calata dal 1996 (verosimilmente grazie alla creazione di Supsi e Usi), per tornare a salire negli ultimi anni. Molti partono per studiare e non tornano. Negli ultimi 20 anni - e questo dato ci dà una importante chiave di lettura - il numero di studenti ticinesi alle università e politecnici elvetici è aumentato del 42%. Mentre la percentuale di chi frequenta l’Università della svizzera italiana (Usi) è rimasta stabile (15-18% sul totale degli studenti universitari ticinesi). Non sempre la disciplina desiderata c’è in Ticino, le più gettonate sono scienze esatte e naturali, scienze umane e sociali.
Ora sappiamo chi parte, ma perché non tornano? Guardiamo insieme a Vitta grafici e analisi. ««Le motivazioni di chi parte possono essere molteplici. Innanzitutto vi è chi per motivi diversi decide di effettuare i propri studi universitari oltre Gottardo. Essendo aumentato il numero di persone che sceglie la via degli studi universitari, vi sono dunque più giovani che partono e anche le aspettative professionali al termine degli studi si sono ampliate in più ambiti. Il Ticino non può garantire una paletta di professioni come un centro metropolitano quale ad esempio Zurigo. È fuori dubbio che oggi gli orizzonti si sono estesi e la mobilità è aumentata soprattutto verso grandi città. Su queste tematiche l’Ustat sta ulteriormente approfondendo i dati», precisa. Salari più elevati oltre Gottardo (quello mediano nel privato in Ticino è di 5’163 fr.-, contro 6’248 fr.- in Svizzera) e la struttura del mercato del lavoro, dove il 30% degli occupati sono frontalieri (erano il 17% nel 2002) sono certamente due elementi che incidono sui mancati rientri. «Sicuramente è un aspetto da considerare, tenendo tuttavia conto che vi sono realtà distinte: da un lato, dal 2002 al 2018 il salario mediano in Ticino per gli svizzeri è aumentato del 18% (da 5’050 a 5’936 fr.), mentre quello dei frontalieri è cresciuto del 9% (da 4’117 fr. a 4’477 fr.)», precisa Vitta. Ciò non toglie che le differenze salariali tra Zurigo e Lugano restano.
Come può un cantone periferico come il Ticino competere con Zurigo, Ginevra, Losanna e diventare di nuovo attrattivo: basta un’azione di marketing? Vanno migliorate condizioni di lavoro e salari? L’obiettivo è fare del Ticino un luogo ideale dove vivere, lavorare e innovare. «Siamo un polo sempre più riconosciuto a livello nazionale e internazionale nell’ambito di ricerca e innovazione. Per essere ancora più attrattivi, in ottica futura vogliamo concentrare gli sforzi nei settori di eccellenza, ad esempio, per citarne alcuni, le scienze della vita, la meccanica ed elettronica e l’intelligenza artificiale». La posizione centrale del Ticino tra due metropoli quali Zurigo e Milano, potrebbe favorire questa scommessa, o drenare maggiormente cervelli. La scommessa è aperta. «Stiamo continuando a costruire solide collaborazioni sia a Nord sia a Sud per creare assi strategici con nuove realtà, ad esempio grazie all’adesione nel 2019 del Ticino alla Greater Zurich Area (GZA) e al riconoscimento nel 2021 del nostro Parco dell’innovazione associato a quello di Zurigo. Parco dell’innovazione, che unitamente ai suoi centri di competenza in fase di sviluppo, giocherà un ruolo di primo piano in quanto piattaforma per la collaborazione tra ricercatori, mondo imprenditoriale e startup per stimolare e testare idee sostenibili e innovative». La sfida sarà anche saper legare al territorio queste nuove realtà in modo da portare benessere anche ai residenti.
Il Ticino intende rilanciare a livello federale il modello di clausola di salvaguardia riguardante il mercato del lavoro.
Qualche segnale positivo c’è: ‘Back to Ticino’ sarà lo slogan della nuova campagna di reclutamento di ‘Accenture Interactive’, azienda che si è da poco insediata in Ticino, che punta a riportare nel Cantone profili qualificati. Tra le altre misure iniziative si può citare il progetto cantonale Estage che dal 2016 ha favorito circa 350 stage sul nostro territorio rivolti a ticinesi che effettuano i loro studi oltre Gottardo. Oppure l’iniziativa Talenti, promossa da Farmaindustria Ticino con il supporto del DFE, che ha permesso di assumere (presso le aziende che hanno preso parte) studenti e neolaureati provenienti dalle università svizzere. Il Ticino intende infine rilanciare a livello federale il modello di clausola di salvaguardia riguardante il mercato del lavoro.
Dopo aver concluso a Neuchâtel i suoi studi universitari in psicologia del lavoro, Pilar Balestra, 28 anni, è rimasta a lavorare nel canton Friburgo. «Ero aperta a tutte le opzioni, ho cercato un’occupazione in Ticino, ma per il mio profilo c’erano poche offerte e non ho trovato nulla che mi interessasse», precisa Balestra, che da un anno è impiegata per l’azienda Lidl come psicologa del lavoro. In gergo tecnico, il suo ruolo è quello di ‘persona di fiducia’, una figura fuori dalla gerarchia, un punto di riferimento per tutto il personale. «Mi occupo di sostegno ai dipendenti, dal venditore al manager, e gestione dei conflitti mediando tra le parti. Sono una sorta di orecchio neutro e confidenziale. In Ticino avrei forse trovato un posto nel settore risorse umane e reclutamento, ma non è quello che voglio fare», precisa. Pilar Balestra cresciuta nel Gambarogno è molto soddisfatta della sua occupazione. Vive a Berna, ha un ufficio a Sevaz (canton Friburgo) ma passa molto tempo in viaggio tra una filiale e l’altra. «Amo molto questo lavoro. Lascio per il futuro una porta aperta sul Ticino, magari un giorno tornerò se il mercato si svilupperà maggiormente nel mio settore».
Livia Blonk ha 26 anni ed è cresciuta a Bellinzona, i suoi genitori sono olandesi ed è proprio nei Paesi Bassi che ha fatto i suoi studi universitari. Fare le valigie non la spaventa. “Sono una persona curiosa di scoprire nuove realtà e quindi non ho mai avuto problemi a trasferirmi altrove”, dice. Dopo i bachelor in economia europea e pianificazione urbana ha continuato il master, sempre ad Amsterdam, in economia ambientale e dei trasporti. “È un percorso accademico che attualmente non c’è in Svizzera”, precisa. Dopo uno stage lavorativo in Olanda, rientra a Bellinzona e inizia a cercare un posto di lavoro. “Avevo malinconia e sono tornata in Svizzera alla ricerca di un impiego nel settore che mi appassiona, quello dei trasporti pubblici. In Ticino non ho trovato molto, e spesso richiedevano diversi anni di esperienza”. Per il suo profilo, scopre un mercato decisamente più interessante in svizzera tedesca. “C’erano molte offerte a Berna e Basilea, ho trovato subito”. Da qualche mese, la ticinese lavora alla Basler Verkehrs Betriebe (l’azienda dei trasporti pubblici di Basilea): “È un Traineeship, un modello lavorativo pensato per i neolaureati, nel quale si ruota nei diversi settori dell’azienda. Ora sono nella sezione infrastrutture, tra qualche mese in quella del mercato, che si occupa dei prezzi e dello sviluppo della rete e di nuovi modelli di mobilità, che sono il mio ambito specifico. Lo stipendio è quello di una funzione junior”, spiega. C’è lo scoglio del dialetto basilese ma l’esperienza è molto positiva. "In futuro mi piacerebbe molto tornare in Ticino ma vorrei trovare un lavoro stimolante. Accumulando esperienza magari avrò più possibilità”, conclude.
Fra “nostalgie impossibili” per la sua Locarno e un bruciante impulso alla scoperta, Sergio Ballanti è all’estero da ormai 22 anni. Da 11 a Barcellona, dove oggi lavora per Apple nella sezione di Linguistica applicata all’Intelligenza Artificiale. Ma tutto era cominciato a Milano, nelle stanze goliardiche, turbolente e un po’ folli delle agenzie creative di pubblicità, fra cui la squadra di Emanuele Pirella. «Una scelta obbligata. Laureato in lingue e letterature straniere, italiano nativo, con uno strano bilinguismo inglese da autodidatta, per imparare il mestiere del copywriter non c’era che Milano, rispetto a Zurigo». Anni tumultuosi e smodati che poi sono proseguiti nella più rilassata, solare, fiestera Barcellona. «Credo si tratti più di una spinta interiore ad allargare i propri orizzonti che di una necessità. Soprattutto oggi che il lavoro a distanza ha scardinato perfino l’idea di ufficio: si può vivere in Scandinavia e lavorare a Singapore. E chissà… adesso che le distanze si sono virtualmente annullate, forse un giorno a Locarno potrei anche tornare».
All’età di 40 anni, Giovanna Bosshard, da poco in pensione, ha lasciato il Ticino per spostarsi a lavorare all’università di Zurigo, all’istituto di farmacologia e tossicologia. La sua professione di tecnica di laboratorio l’ha portata a lavorare in rinomati istituti di ricerca in tutto il mondo. “Il mio campo era la ricerca di base, ho partecipato a vari studi ad esempio sul funzionamento del cervello, sulle cure per i tumori”, ci spiega la locarnese. Una parentesi professionale c’è stata anni fa anche all’Istituto di ricerca in biomedicina (Irb) a Bellinzona.“Se avessi trovato buone condizioni di lavoro, un legame col territorio e un clima sereno sarei rimasta, ma per me non è stato così”. La ricercatrice fa dunque le valigie e viene assunta all’università di Zurigo, dove ha lavorato negli ultimi 20 anni, formando diversi giovani ricercatori. Avendo esperienza di diverse realtà professionali, Bosshard azzarda che la fuga dei cervelli è, a suo modo di vedere, anche legata al difficile accesso in alcuni ambiti. “In Ticino sembrano contare più le raccomandazioni che le competenze. A Zurigo ho trovato un ambiente di lavoro più rispettoso”, conclude.
La fuga di cervelli dal Ticino (se ne vanno in 800 l’anno circa) preoccupa anche la Camera di Commercio del Canton Ticino (Cc-Ti). L’attrazione irresistibile verso città dinamiche e frizzanti come Zurigo, Berna, Losanna e Ginevra non riguarda solo i ticinesi, ma se dovesse continuare l’emorragia di giovani preparati, si rischia di indebolire il potenziale economico del Ticino. «La possibilità di formarsi anche fuori Cantone è sicuramente un’opportunità e aiuta i nostri giovani a diventare più competitivi. Quello che preoccupa è che terminata la formazione accademica, questi giovani faticano a trovare in Ticino un’occupazione adeguata alle loro aspettative e formazione», commenta Andrea Gehri. Per il presidente della Cc-Ti è fondamentale che settori economici e professioni con valore aggiunto vengano sviluppati e sostenuti con maggiore convinzione anche in Ticino: «Siamo nell’epoca della digitalizzazione, dell’innovazione e della conversione a politiche economico-sociali sostenibili (green). In questi settori il nostro cantone può fare di più». Oltre ad offrire posti più interessanti, ci si chiede quanto pesa avere un mercato per il 30% occupato da frontalieri e salari più bassi del resto della Svizzera. Risponde sempre Gehri: «La nostra economia è molto influenzata da quanto succede in Italia. Il critico andamento economico in Italia spinge all’aumento del frontalierato verso il Ticino sviluppando automaticamente una maggiore pressione sui salari, secondo il principio che l’offerta supera la domanda. D’altro canto, abbiamo settori economici (dalla sanità alla costruzione fino alla gastronomia) che, senza personale frontaliero sarebbero in grosse difficoltà». Questo è sicuramente vero, anche se oggi in Ticino si assiste, in alcuni settori, ad una sostituzione di manodopera locale con lavoratori frontalieri. Se aggiungiamo la crisi del settore finanziario, che ha perso in 20 anni quasi 2mila posti (dai 7’300 addetti del 1998 ai 5’400 del 2019), occorre trovare vie d’uscita. «È prioritario sviluppare realtà economiche diverse da quelle storiche. Abbiamo discipline come il trading di materie prime, l’intelligenza artificiale, la digitalizzazione, la biomedicina che stanno sviluppandosi sul territorio e potranno riportare in Ticino i nostri giovani e chi lavora altrove». In pratica per Gehri, la politica deve premere per attirare start – up e offrire loro le condizioni quadro ideali per svilupparsi e prosperare. «I giovani sono molto attratti dalla tecnologia. Dobbiamo offrire loro una formazione adeguata senza però dimenticare le professioni tradizionali (artigianato, meccanica, servizi amministrativi) che, ora come nel passato, offrono molteplici possibilità di sviluppo e di carriera ai giovani», conclude.
La fuga di cervelli dal Ticino non è solo una questione di studi, lavoro e salari. «Non parlerei dei soli cervelli e farei attenzione a pensare che tutto gira attorno all’economia, ad un buon lavoro e ad una buona paga; sono aspetti importanti ma non sono tutto. Un giovane cerca una città stimolante dove vivere, una famiglia cerca la tranquillità per crescere i figli», spiega Boas Erez. Per il rettore dell’Università della Svizzera italiana (Usi), il Ticino adagiato, tra il polo finanziario Zurigo e quello tecnologico di Milano, ha tutto il potenziale per (ri)fiorire. «Molti apprezzano il rigore elvetico e la creatività latina. Servono persone che danno nuove prospettive, l’essenziale c’è, occorre insistere». Negli anni, Usi e Supsi hanno contribuito a cambiare il mercato del lavoro e continueranno a farlo. «Attorno agli atenei si stanno creando importanti centri di competenza che attirano nuove aziende». Come la scommessa del Parco dell’innovazione e dei suoi centri di competenza.