Intervista all'attrice e modella che stasera in Piazza Grande ritirerà il Leopard Club Award
Che nella Piazza Grande, colma di un pubblico attento a conoscere il Cinema, quel Cinema che per la sua storia è sempre stato il peso e la gloria di un Festival che non è nato per celebrare la gloria fascista, come Venezia, o per sfidarla come Cannes, o per dimenticarla come Berlino, ma che è nato proprio per indagarlo, per farlo conoscere. Ed ecco che ogni sera in Piazza Grande si compie quel rito, quella cerimonia, per ricordare a tutti che il cinema è vivo, che il cinema è vita. Così è stata anche la serata di oggi, aperta con la consegna del Leopard Club Award all’attrice Kasia Smutniak, che abbiamo avuto l’onore di incontrare e intervistare.
Kasia Smutniak ha una sua idea del cinema: “È una lente d’ingrandimento. Non è il teatro. Offre al pubblico di entrare nei personaggi. Succede anche a me: quando leggo un libro o una sceneggiatura vedo i volti, immagino la voce dei personaggi, anche se hanno la loro. Se non riesco a fare questo rinuncio alla sceneggiatura che mi era stata proposta. In questo mi aiuta molto l’istinto, anche se è proprio l’istinto che mi porta a commettere errori, e ne ho commessi in vent’anni di carriera e posso aggiungere che ho avuto il lusso di poter sbagliare. Innanzitutto perché arrivata in Italia dalla Polonia mi sono trovata a fare il mestiere d’attrice senza ricevere i giudizi più severi, quelli dei parenti e amici».
Durante l’intervista, grazie alla domanda di un collega, commossa, Kasia Smutniak ha ricordato il regista Peter Del Monte scomparso il 31 maggio 2021 con cui nel 2007 aveva recitato ‘Nelle tue mani’: «Di quell’esperienza mi ricordo tutto. Dopo quel film io ho saputo cosa andare a cercare nel mio lavoro futuro. Peter mi ha dato la totale libertà. A vent’anni quando ti danno la libertà vai nel panico, ma oggi averla avuta ha fatto di me una persona e un’attrice diversa». Le chiediamo cosa e come è cambiato il mondo cinematografico italiano, dai suoi esordi a oggi. Lei si ferma a pensare, poi decisa risponde: «Il mondo è cambiato. Ed è stato un cambiamento così veloce… basta pensare all’arrivo delle piattaforme, prima il progettare un film era storia spesso di anni e lo stallo serviva per pensare, valutare, serviva per una maggior attenzione al girato e a tutto il lavoro di postproduzione. Oggi è tutto più veloce, abbiamo messo il piede sull’acceleratore. Prima si sperava di andare ai festival per far vedere i propri film, oggi è tutto diverso, tutto più aperto. Tutti speravamo che questa novità portasse aria fresca nel mondo del cinema, ma ci siamo trovati davanti alla globalizzazione del racconto. C’è richiesta si, ma di storie che si assomiglino. Io ho voglia di scoperte nuove. Il cinema non deve creare racconti omologati solo per compiacere il pubblico. Dobbiamo dare una svolta, imprimere un cambiamento, e questo può avvenire, soprattutto per un fatto: vent’anni fa non era possibile per noi donne avere quegli spazi che ci stiamo prendendo oggi. Spazi di racconto che saranno giudicati dai nostri nipoti. Il problema è che se la narrazione resta nelle mani dei maschi non c’’è futuro, restiamo a raccontare le solite banali storie. Il problema delle piattaforme infine è quello della fretta, tutti devono fare in fretta sceneggiatori, registi, musicisti… ma è come preparare una torta, non puoi anticipare i tempi. Ecco il problema oggi è questo».