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La pediatria ticinese aiuta i bambini del Camerun

Il progetto del professor Ramelli include scambi di medici e infermieri tra i due Paesi e l'istruzione per costruire stecche e tutori semplici ma duraturi

Il professor Gian Paolo Ramelli nell'ambulatorio di pediatria a Bafoussam.
17 luglio 2021
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Il Camerun ce l’hanno nel cuore tanti medici ticinesi. Prima il dottor Giuseppe Maggi, che vi ha fondato negli anni sessanta diversi ospedali, quello di Mada (con 68 dipendenti e 9’483 pazienti visitati lo scorso anno) è tutt’ora gestito dall’associazione Hôpital Helvétique de Mada, con sede a Lugano, che conta tanti sostenitori e porta avanti la filosofia del medico di Caneggio che operò per 40 anni in Africa. Un fascino che ha sedotto anche il professor Gian Paolo Ramelli, neuropediatra, appena rientrato da un viaggio medico in Camerun dove il primario dell’Istituto pediatrico della Svizzera italiana ha visitato tre ospedali, costruendo un ponte coi colleghi locali per futuri scambi e progetti di aiuto. Un nuovo capitolo si sta aprendo dal Ticino all’Africa centrale. «Quarant’anni fa sono stato tre mesi in Camerun con la fondazione del dottor Maggi. Ci sono tornato trovando una pediatria che sa gestire malattie infettive che da noi sono quasi scomparse come malaria, tubercolosi e meningiti. Ma i bambini che nascono con patologie complesse – quei casi che curo in reparto in Ticino – in Camerun non hanno chance di farcela. Stiamo parlando di un Paese con una popolazione molto giovane, la vita in media dura 55 anni», spiega il neuropediatra, che si è appoggiato al progetto camerunense del professor Beat Stoll dell’università di Ginevra. «Uno dei problemi maggiori sono le apparecchiature mediche, come l’elettrocardiogramma, appena c’è un problema tecnico, anche solo una valvola rotta, non c’è un supporto tecnico in grado di porre rimedio. Ho visto con rammarico apparecchi diagnostici che non si potevano usare», racconta. A volte aiutare nel modo corretto è tutt’altro che semplice quando non si conosce a fondo la realtà di un Paese.


L'ospedale di Mada dell’associazione Hôpital Helvétique de Mada con sede a Lugano

La sfida dei terroristi Boko Haram

Povertà, malnutrizione, emergenze climatiche, epidemie provocate dalla mancanza di igiene, conflitti armati e terrorismo sono le piaghe del continente africano, dove gli ospedali spesso sono molto primitivi, più simili ad ampi saloni. Si fa quello che si può. Talvolta anche sfidando i Boko Haram, l’organizzazione terroristica nata nel 2002 nel Nord della Nigeria, che in 20 anni ha sulla coscienza trentamila morti. Il mondo ha scoperto la sua ferocia quando nel 2014 rapì trecento studentesse nel collegio di Chibok in Nigeria. Il Camerun è lo Stato che ha subito le maggiori conseguenze legate all’espansione del gruppo jihadista oltre il confine della Nigeria.

Le scorribande della setta nigeriana sono frequenti anche nel Nord del Camerun, in diversi villaggi situati soprattutto alla frontiera tra i due Paesi si vive nel terrore di attentati suicidi (nel 2015 tre ragazzine-kamikaze si fecero esplodere, causando 30 morti), aggressioni e rapimenti a scopo di estorsione in scuole, alberghi, ristoranti, anche di stranieri (preti, medici). Qualche mese fa, ad esempio, sette studenti sono stati rapiti dall’Università di Bamenda nella regione nord-occidentale.


Il professor Gian Paolo Ramelli nell'ambulatorio di pediatria a Bafoussam (foto Ramelli) 

Insomma non è proprio una passeggiata fare volontariato umanitario per fronteggiare la crisi umanitaria che flagella il Paese. «I pericoli effettivamente ci sono soprattutto al Nord ma nei tre ospedali visitati – nella capitale Yaoundé, a Bafoussam e a Bafang – per fortuna non abbiamo riscontrato problemi. Le famiglie, soprattutto al Nord, sono molto numerose: chi può se ne va, più difficile per le femmine che di regola restano in famiglia mentre i maschi cercano fortuna nelle città e quelli più fortunati tentano l’avventura europea». 

Insegnare a fare stecche durature

Il dottor Ramelli è tornato in Ticino con l’embrione di un progetto in testa. «L’idea è di promuovere scambi di medici e infermieri. In Ticino potrebbero fare esperienza e in Camerun potremmo aiutare i colleghi a definire direttive per la presa a carico di alcune patologie come l’epilessia», precisa il primario. Altro punto dolente la neonatologia. «Rimane un problema la gestione dei prematuri o quei parti difficili dove il neonato è a rischio di non ricevere ossigeno a sufficienza e quindi presentare delle lesioni cerebrali che possono compromettere le capacità motorie. Questi bambini spesso non sono in grado di muoversi, li ho visti trascinarsi per terra. Con semplici protesi e stecche, soluzioni semplici e durature, adottate con tempestività la loro mobilità e qualità di vita sarebbe molto diversa. Istruire i colleghi a fare queste stecche in modo semplice potrebbe essere un ottimo modo per aiutare molti bambini», precisa. Ovviamente servirebbero le competenze dei colleghi ortopedici e altri professionisti per fare un lavoro davvero utile. «Potremmo inviare strumenti e macchinari, ma quando si rompono non c’è chi li possa aggiustare. Istruendo i colleghi a fare interventi semplici possiamo aiutare nel modo migliore», commenta.

Il Covid ci spiega poi il pediatra non è stato un problema, nessuno o quasi portava la mascherina, nemmeno negli affollati mercati. Non c’era una pandemia in corso oppure testavano poco. «La popolazione è molto giovane, forse per questo ci sono stati tanti asintomatici e il virus non ha trovato i gruppi più a rischio».

Quello che più ha colpito il medico è la semplicità di chi pur vivendo in un deserto di miseria sa regalare un sorriso sincero. «Si vive alla giornata e con poco si sa essere felici. Qui invece abbiamo tutto e apprezziamo poco».

Le preziose lezioni dell’Africa, dove il medico ticinese potrebbe essere più attivo da pensionato. «Sarebbe un modo per dedicare il mio ‘know how’, le conoscenze accumulate nella mia carriera, per aiutare i meno fortunati», conclude il professor Ramelli, già presidente della Società svizzera di pediatria.

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