La consigliera nazionale dei Verdi invia al Consiglio federale tre atti in cui chiede un autentico cambio di paradigma: ‘No a misure privative della libertà’
«Il Consiglio federale deve lanciare in tempi brevi un progetto pilota per un nuovo tipo di centro federale per richiedenti l’asilo, che rinunci in linea di principio a misure privative della libertà, ponendo l’accento sull’accoglienza e l’integrazione anziché sul controllo». A chiedere quello che, nelle intenzioni, si prefigura come un autentico cambio di paradigma riguardo i centri per richiedenti l’asilo, è la consigliera nazionale dei Verdi Greta Gysin che ieri ha inoltrato al Consiglio federale tre atti parlamentari legati tra loro. Tre atti sui quali «occorre ricevere presto una risposta», osserva Gysin alla ‘Regione’: «Che in questi centri non tutto funzioni come dovrebbe purtroppo lo si sa da tempo, ma le ultime ricerche giornalistiche e un recente approfondimento di Amnesty International hanno mostrato che la situazione è grave e che bisogna agire in fretta».
Cambiando a partire dall’approccio: «Questi centri sono concepiti più come strutture di sicurezza che come strutture di accoglienza - rileva Gysin spiegando il contenuto della prima mozione -. Sono chiusi alla società civile, si trovano filo spinato e muri di cinta alti, alcuni sono in zone periferiche e difficilmente raggiungibili col trasporto pubblico, hanno regole molto rigide per gli orari per il rientro, o quelli per mangiare: c’è poca flessibilità. Tra questi - continua - il problema più grave è l’assenza di contatto con la società civile, la mia tesi è che passando da una struttura di sicurezza con le libertà fortemente limitate a una dove si fa sentire maggiormente il concetto di accoglienza, sono abbastanza convinta che anche il comportamento degli ospiti cambierebbe e che, con queste strategie alternative, si potrebbero anche ridurre i fenomeni di violenza che è indubbio ci siano». Un’apertura che «dovrebbe comprendere spazi di socializzazione, come ad esempio un parco giochi, una libreria o un bar».
Con un occhio di riguardo particolare ai più giovani: con il secondo atto parlamentare, sempre una mozione, chiede la creazione di un centro federale per i minori non accompagnati richiedenti l’asilo. «Attualmente - afferma la consigliera nazionale dei Verdi - ci sono 133 giovani in centri che non hanno personale specializzato per quello che riguarda i loro bisogni e i loro diritti, perché non dobbiamo mai dimenticare che quelli dei bambini e fanciulli sono accresciuti. Per farvi un’idea, basta pensare al fatto che alloggino in dormitori comuni, tutti insieme. A livello psicologico e pedagogico è una cosa che non faremmo mai con i nostri bambini e invece lasciamo che avvenga con dei minori non accompagnati, soli al mondo». Alla luce della situazione, «ritengo che il Consiglio federale abbia una responsabilità particolare nel trovare una soluzione per migliorare le condizioni di questi bambini e fanciulli».
Le due mozioni sono accompagnate da un’interpellanza con la quale Gysin chiede principalmente la creazione di un servizio di mediazione indipendente e dotato di risorse adeguate. Un Ombudsmann, in breve. Figura «fondamentale» per la deputata ticinese alla Camera del popolo, dal momento che «le persone richiedenti l’asilo sono in una situazione di debolezza, in attesa di ricevere una risposta alla domanda se possono rimanere o no. Non conoscono i loro diritti, vengono da Stati dove le istituzioni non sono quelle che conosciamo noi e quindi c’è un po’ di comprensibile diffidenza nei confronti delle autorità. Un centro di mediazione deve essere un ufficio cui potersi rivolgere per sapere se un determinato fatto che è successo a un richiedente l’asilo rientra nella legalità o se è qualcosa di punibile. E in questi casi capire come procedere. È una cosa che attualmente non c’è, il Consiglio federale lo scorso agosto ha detto che non era necessario; adesso sembra che abbia cambiato posizione, speriamo».
Al fine comunque di evitare che certi episodi accadano, serve anche «un migliore controllo del personale nei centri, in particolare degli addetti di sicurezza». Nel senso che per Gysin «bisogna rendersi conto che tutta la sicurezza è esternalizzata, viene gestita da due ditte private, i cui agenti non sono dipendenti della Confederazione ma che, per lo Stato, hanno il monopolio della violenza in questi centri. Quindi devono sapere come usarla e gestirla. I nostri poliziotti hanno formazioni molto severe, corsi continui di aggiornamento, sono seguiti. Non funziona tutto bene in polizia, ma persone che dovrebbero avere una formazione pari a quella di agenti di polizia normali, invece, se va bene fanno un corso di un mese. Si deve pretendere molta più qualità».