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Pestoni: ‘Ho sempre cercato di ridare dignità a chi lavora’

Il presidente dell'Uss Ticino e Moesa dà le dimissioni dopo sette anni. Il suo bilancio tra battaglie, rimpianti, e 'un mondo del lavoro sempre più fragile'

Ti-Press
21 maggio 2021
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«Dopo sette anni era giusto passare la mano, da anni sono in pensione e mia moglie continua a chiedermi quando ci andrò definitivamente… diciamo che questo è stato un passo avanti». A colloquio con ‘laRegione’ Graziano Pestoni sorride, a poche ore dalle dimissioni dalla presidenza dell’Unione sindacale svizzera sezione Ticino e Moesa, incarico che aveva assunto nel 2014 dopo una vita spesa tra politica (granconsigliere per il Ps tra 1999 e 2011) e sindacato. Con un grande obiettivo: «Ho sempre cercato di ridare dignità a chi lavora, una dignità che spesso è mancata. Provando a portare avanti tanti progetti. Alcuni si sono realizzati, altri sono ancora aperti».

Su cosa c’è ancora da lavorare?

Inizierei dalla libera circolazione, che a noi va bene ma devono esserci delle regole. Invece oggi generalizzare i contratti collettivi di lavoro è sempre più difficile, i contratti normali di lavoro con stipendi differenziati a dipendenza delle qualifiche ed esperienza non ci sono. C’è un mercato del lavoro che è rimasto estremamente fragile, vittima del dumping salariale, con la pressione dei salari verso il basso e meno cautele. Poi penso all’Accordo quadro, che non concerne solo gli stipendi ma anche il servizio pubblico: se dovesse passare ad esempio dovremmo togliere la garanzia a BancaStato. E c’è la difesa del servizio pubblico. Abbiamo chiesto all’Uss nazionale di lanciare tre iniziative popolari per rinazionalizzare poste, telecomunicazioni e ferrovie ma a causa della pandemia si è tutto rallentato. Il servizio pubblico sta peggiorando, gli uffici postali continuano a chiudere, le ferrovie sono le più care del mondo e con problemi come le centinaia di porte che non funzionavano più, a causa della manutenzione che non viene più fatta. Dobbiamo passare da una politica sindacale difensiva a una offensiva, far sentire allo Stato che la popolazione è dalla nostra mentre si continua a voler privatizzare Postfinance, con la liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica e, a livello ticinese, si voterà sul referendum finanziario obbligatorio. Ma è un non senso, perché allora non si vota quando lo Stato propone una privatizzazione o uno sgravio fiscale? Assurdo.

Cosa la lascia soddisfatto invece?

Il sindacato ha fatto molto per tutelare i lavoratori. Non mi è mai piaciuto che si potesse licenziare senza alcuna ragione con la semplice disdetta. Come segretario Vpod ho fatto battaglie epocali per oppormi, e nel settore sanitario e sociale sono riuscito a mettere il vincolo che senza motivazioni gravi non si poteva licenziare nessuno. Sono stati anni di politiche liberiste, ma a livello di lotta sindacale siamo riusciti a ottenere miglioramenti contrattuali anche se l’avidità senza limiti del mondo padronale ha rimesso ancora una volta tutto in discussione.

Quindi, al netto del vostro impegno, oggi le condizioni dei lavoratori sono peggiorate.

Esatto, e soprattutto vivono nell’incertezza a causa dei salari ridotti e del timore di perdere il lavoro. Qualche tempo fa un lavoratore dopo vent’anni o trent’anni in una ditta non veniva licenziato a pochi anni dalla pensione. Ora succede spesso, nel mondo del lavoro l’unica cosa che conta sono gli aspetti finanziari. Dico sempre che da quando gli uffici del personale hanno cambiato nome in uffici delle risorse umane è cambiato anche il concetto, come fosse tutto diventato una macchina, dove quel che non serve più si butta. Non c’è più rispetto. Tanti operai e impiegati prima si costruivano una casa con un reddito solo, oggi non si riesce con due.

Non c’è una generazione che possa dirsi al sicuro. La politica sta agendo a sufficienza?

Guardi, è una situazione gravissima. I giovani della mia generazione andavano a studiare e tornavano in Ticino perché c’erano opportunità di lavoro. Un mio vicino di casa ha fatto architettura al Politecnico di Zurigo, è tornato da poco e gli hanno offerto 2’000 franchi al mese. Da anni denunciamo questo disastro, sempre meno giovani tornano anche se avrebbero voglia di costruire una vita in Ticino. È un problema per loro, ma anche per la società tutta perché diventiamo un paese di vecchi, senza futuro. Ma penso anche, come dice lei, a tutte le persone che vivono nell’incertezza. Le banche erano un posto sicuro, adesso conta solo la redditività a breve termine e non c’è interesse a pensare a medio lungo termine. E no, la politica non sta agendo a sufficienza. In Ticino non c’è una volontà di costruire un tessuto economico solido. Da trent’anni almeno diciamo che è sbagliato offrire sgravi fiscali ad aziende che vengono a offrire salari da fame e a riempire di capannoni. Si parla molto ma si fa pochissimo: lo Stato invece che pensare a sgravi ed equilibrio delle finanze come fa Christian Vitta, dovrebbe indebitarsi perché i soldi ora costano niente e investire su progetti di ogni genere per creare posti di lavoro e aziende di qualità che domani frutterebbero molto più dell’investimento. Questa sarebbe lungimiranza.

Finito di lavorare si va in pensione. Ma neanche questa categoria se la passa bene.

Siamo confrontati con un cambiamento epocale, tra aumento della speranza di vita e diminuzione delle rendite delle casse pensioni. Questa dinamica viene sfruttata per ridurre le pensioni, mentre la soluzione vera sarebbe potenziare l’Avs. Una volta il pensionato aveva meno spese di oggi, e ora paga più tasse perché ha meno deduzioni. Bisogna assolutamente agire. E non si può accettare che si peggiori la situazione pensionistica delle donne.