L’associazione presenta la sua tabella di marcia verso l’obiettivo zero emissioni nette entro il 2050. A colloquio con il direttore Stefan Vannoni.
La riduzione del clinker [il principale componente del cemento, ndr] nel cemento, e del cemento stesso nel calcestruzzo. È una delle sfide che attende Cemsuisse sulla strada verso l’obiettivo zero emissioni nette entro il 2050. L’Associazione svizzera dell’industria del cemento – peraltro ‘neutrale’ sulla legge sul CO2 in votazione il 13 giugno, che mira a dimezzare le emissioni entro la fine del decennio – presenta oggi la sua ambiziosa tabella di marcia ‘climatica’ a lungo termine. ‘laRegione’ ne ha parlato con il direttore Stefan Vannoni.
L’industria del cemento viene spesso denigrata quando si parla di protezione dell’ambiente e del clima. Davvero non avete nulla da rimproverarvi?
L’industria del cemento è un settore ad alta intensità energetica. Ma è anche un’industria consapevole dell’ambiente e sostenibile. Le grandi emissioni di CO2 sono solo un lato della medaglia. Infatti il cemento è indispensabile per una società sviluppata. Basti pensare alla costruzione di infrastrutture. L’approvvigionamento idrico, le infrastrutture di trasporto e la densificazione degli insediamenti non possono essere realizzati senza cemento. La sostenibilità va considerata in una prospettiva a 360°: l’industria del cemento chiude i cicli, è un partner importante nella gestione dei rifiuti e un esempio particolarmente positivo in termini di biodiversità.
Nel concreto cosa proponete?
Negli ultimi 30 anni abbiamo ridotto le nostre emissioni di CO2 del 38% (rispetto al 1990). E vogliamo ridurle ulteriormente nei prossimi 30 anni – fino allo ‘zero netto’, e anche oltre. Stimiamo che a partire dal 2050 possono essere ridotti permanentemente dall’atmosfera fino a 146 kg di CO2 per tonnellata di cemento prodotto. Ciò sarà reso possibile da ulteriori sviluppi nei tipi di cemento e calcestruzzo, dalla completa sostituzione dei combustibili fossili primari con combustibili alternativi come il legno di scarto e i fanghi di depurazione essiccati, e dall’uso di tecnologie di cattura del CO2. In relazione alla cattura di CO2, è particolarmente importante l’utilizzo della biomassa come combustibile. In questo modo si ottiene la ‘funzione di pozzo’ [viene assorbito più CO2 di quanto ne venga rilasciato, ndr] nella produzione del cemento.
L’industria del cemento produce pur sempre l’8% delle emissioni di CO2 a livello mondiale: non avete aspettato troppo a imboccare la strada della riduzione delle emissioni?
Se c’è un settore dell’economia a cui non si può rimproverare questo, è l’industria svizzera del cemento. Essa è da molto tempo consapevole del suo ruolo nella politica climatica e ha da subito fatto grandi sforzi per ridurre le sue emissioni. Nel 2003, è stata la prima industria a firmare un accordo industriale con il Dipartimento ambiente, trasporti, energia e comunicazioni (Datec) sulla riduzione delle emissioni di CO2. E, come già detto, dal 1990 ha ridotto le sue emissioni del 38%, superando di gran lunga l’obiettivo del 15% per tutta l’industria svizzera. Il raggiungimento degli obiettivi del protocollo di Kyoto non sarebbe stato possibile per la Svizzera senza questi sforzi. Ma finora l’industria non ha promosso e comunicato abbastanza i suoi sforzi presso l’opinione pubblica. Questo ora dobbiamo cambiarlo.
Sostituzione dei combustibili fossili che alimentano i forni; sostituzione dei cementi Portland tradizionali con cementi alternativi; riduzione dell’impiego di calcestruzzo grazie a materiali alternativi; riciclaggio del calcestruzzo. Qual è la strada più promettente per ridurre le emissioni di CO2 in Svizzera? E qual è il potenziale di miglioramento?
La chiave per una riduzione completa delle emissioni sta in una combinazione di tutti questi approcci. Lo mostriamo anche nella nostra Roadmap 2050. Per esempio, una riduzione del clinker nel cemento, così come una contemporanea riduzione del cemento nel calcestruzzo, può ridurre il circa il 17% le emissioni CO2, e di un ulteriore 21% se si sostituiscono i combustibili attuali con combustibili alternativi. Se l’industria del cemento sfrutta tutti questi potenziali, cosa enormemente impegnativa dal punto di vista tecnico, allora l’obiettivo ‘zero netto’ entro il 2050 è possibile. Allo stesso tempo, è fondamentale notare che infrastrutture solide e durevoli, fondazioni per turbine eoliche, dighe, gallerie, la fornitura d’acqua e la densificazione degli insediamenti richiedono tutti cemento. In questo contesto, non calcoliamo potenziali troppo rosei di riduzione di CO2 supponendo un calo significativo della domanda di cemento.
Calcestruzzo ‘Evopactzero’ di Lafarge-Holcim, cemento a base di magnesio studiato dall’Empa, cemento LC3 messo a punto al Politecnico federale di Losanna, calcestruzzo privo di cemento (Cleancrete) di Oxara, ecc.: sono destinati a restare prodotti di nicchia o potrebbero a medio termine imporsi come lo standard nel settore, soppiantando il Portland?
La domanda di cemento rimane stabile ad un livello elevato – ogni anno ne vengono utilizzate in Svizzera circa 5 milioni di tonnellate. Prima di tutto deve essere possibile sostituire adeguatamente questa quantità (e la qualità!). Ma, anche per i nostri membri, è importante l’innovazione. Cemsuisse finanzia diversi progetti di ricerca interaziendali. E in Svizzera, i miglioramenti del prodotto stanno giungendo direttamente sul mercato. Con una quota di mercato del 94%, i tipi di cemento con minor impatto climatico sono da tempo la regola e non l’eccezione. I classici cementi Portland, invece, non sono quasi più richiesti.
Densificazione delle costruzioni da un lato; tutela del paesaggio e dell’ambiente dall’altro: esigenze contraddittorie non sempre facili da conciliare, come ha dimostrato la recente occupazione della cava di Mormont (Vd). Assisteremo a conflitti più frequenti su questo piano?
Questi sono conflitti di obiettivi solo a prima vista. Conservare ciò che si conosce è umano – anche in Svizzera. Aiuta a ricordare che anche la natura è molto dinamica. Occorre assolutamente mettere in evidenza che gli aspetti positivi della produzione locale di cemento – brevi percorsi di trasporto, nessuna esportazione di effetti ambientali, o contributi al riciclaggio dei rifiuti e alla biodiversità – prevalgono. L’uso di prodotti locali – e il cemento è senz’altro uno di questi – è molto legato all’idea di base della sostenibilità. Dobbiamo fare un lavoro migliore per evidenziare questi benefici dell’industria del cemento. Dopo tutto, esternalizzare all’estero la produzione di questo prodotto locale non avrebbe senso, né da un punto di vista economico né ecologico.
La domanda di cemento in Svizzera è destinata ad aumentare. Ma in quattro delle sei sedi delle cementifici svizzeri (responsabili del 5% delle emissioni del Paese), l’espansione delle cave per l’estrazione delle materie prime si sta rivelando difficile. Non temete difficoltà di approvvigionamento?
Infatti questo possibile sviluppo ci preoccupa. La disponibilità di materie prime in Svizzera non è assicurata in modo sufficiente. Questa è anche la conclusione di un rapporto sulla sicurezza delle materie prime di cui il Consiglio federale ha recentemente preso atto. Per un’industria che pensa in tempi molto lunghi, pianificare è la cosa più importante. Deve anche essere possibile pianificare, approvare e ammortizzare molte delle misure sopra menzionate. In particolare, la cattura di CO2 direttamente nei camini è tecnicamente e logisticamente molto impegnativa. È quindi importante garantire che i permessi di estrazione siano garantiti anche in futuro.
584 kg pro capite all’anno: la Svizzera è tra i Paesi che proporzionalmente utilizzano più cemento. È immaginabile ridurre significativamente questa dipendenza? Il canton Vaud, ad esempio, ha deciso recentemente di ridurre l’impiego del cemento nelle costruzioni di sua proprietà, puntando maggiormente sul legno locale.
Un paese alpino come la Svizzera è particolarmente consapevole dei vantaggi del cemento e del calcestruzzo. Pensate alla costruzione delle strade nazionali, alle gallerie nella regione alpina o alle pareti delle dighe utilizzate per generare energia dalla forza idrica. Nell’ingegneria civile, è impossibile fare a meno del cemento. E anche nella costruzione di edifici è possibile solo una sostituzione limitata, ad esempio con materiali come il legno. Crediamo che al momento degli appalti pubblici debba essere messa a concorso la funzione degli edifici e non i singoli materiali. Gli edifici ibridi sono il futuro – ogni materiale dovrebbe essere usato secondo i suoi punti di forza e senza ideologia. L’obiettivo deve essere quello di creare edifici che siano il più possibile sostenibili dal punto di vista del ciclo di vita. È su questo che devono vertere le discussioni. Non è compito della società o della politica usare meno cemento o più legno (da paesi lontani, tra l’altro), ma gestire responsabilmente le risorse e le finanze pubbliche nelle circostanze date. Il compito dell’industria è quello di ridurre le emissioni corrispondenti. Ed è proprio su questo che stiamo lavorando a pieno ritmo e siamo certi che raggiungeremo l’obiettivo ‘zero netto’ entro il 2050.
Un’industria ‘local’
La Svizzera possiede ricchi giacimenti di calcare e marna – le principali materie prime utilizzate nella produzione del cemento – ed è pertanto “predestinata” alla produzione del materiale alla base del calcestruzzo. Non dovendo importarle dall’estero si trova “in una posizione molto privilegiata”, scrive Cemsuisse nel suo sito internet. Il primo cementificio svizzero venne aperto nel 1871 da Robert Vigier a Luterbach, nel canton Soletta. Attualmente tre aziende – Holcim, Jura Cement e Ciments Vigier – producono cemento nei sei stabilimenti svizzeri, quasi tutti situati lungo l’Arco giurassiano, ricco di calcare. La domanda di cemento nel 2020 è stata di 4,15 milioni di tonnellate, praticamente stabile rispetto agli anni precedenti. Secondo scenari elaborati dalle autorità federali in collaborazione con i cantoni e Cemsuisse, il fabbisogno è destinato a crescere e dovrebbe attestarsi attorno ai 5-6 milioni di tonnellate annue nel 2030. Tre quarti del cemento prodotto viene acquistato dagli impianti di produzione del calcestruzzo, il 20% dalle imprese di costruzione e il restante 5% dalle fabbriche di prodotti in calcestruzzo. Il calcestruzzo riveste un ruolo di primo piano nel campo dell’edilizia abitativa e delle infrastrutture (autostrade, dighe, ecc.).