I Paesi dell’Unione dovrebbero spostare le lancette per l’ultima volta, ma non c'è unanimità. Tra fusi orari, interessi economici e Brexit, regna il caos
Stanno litigando in 27 nell’Unione europea. Prima litigavano in 28, ma uno se n’è andato: il Regno Unito. Perché hanno litigato su mille altre cose. Ora, per non perdere il vizio, i britannici litigano da fuori. Gli altri, Svizzera compresa, stanno a guardare. E dire che tutto è iniziato, nel 1895, perché un entomologo della Nuova Zelanda voleva ritagliarsi un po’ di tempo in più per andare a caccia di insetti durante la bella stagione: 126 anni dopo siamo a un passo dalla battaglia legale dell’ora legale.
Tutti contro tutti. Nord contro Sud: da una parte i contrari, capitanati dalla Finlandia, dall’altra i favorevoli, francesi in testa. Nel mezzo gli italiani, inarrivabili quando si tratta di scegliere di non scegliere. E così siamo all’ennesima questione che doveva unire l’Europa ed è finita col dividerla ancora di più.
Era l’estate del 2018 quando Bruxelles decise di fare un sondaggio a tappeto in tutti i Paesi dell’Unione. La domanda, in soldoni, era: volete smettere di cambiare l’ora due volte l’anno? L’84% degli interpellati rispose sì. Le motivazioni erano le solite: ritmo circadiano sballato, sonnolenza, aumento degli incidenti, semplice pigrizia. A settembre il Parlamento europeo, forte di quel plebiscito, chiese agli Stati di scegliere un volta per tutte tra l’ora solare o l’ora legale. E poi tenersi quella. Diedero un sacco di tempo per decidere: un anno e mezzo. Ma non bastò. Nel migliore dei mondi possibili i Paesi avrebbero deciso insieme uno dei due orari. Ovviamente non è andata così: abituati a dividersi su tutto, dai vaccini alla larghezza delle banane, gli Stati dell’Unione non sono riusciti a sincronizzare gli orologi. Se si fosse deciso di tenere l’ora legale, da Malta alla Lapponia (e a quel punto, di riflesso, probabilmente anche in Svizzera), questa notte sarebbe stata l’ultima in cui ricordarsi di mettere le lancette avanti. E invece si è arrivati all’ennesimo compromesso. Per due anni liberi tutti: chi vuole l’ora legale di qua, chi vuole l’ora solare di là. Sarà un po’ più complicato, ma in Europa ci sono già tre fusi orari diversi, ci si abituerà.
Intanto finlandesi e svedesi continuano a dire che d’estate hanno già abbastanza ore di sole, e guadagnarne una è più un problema che altro. Francesi e tedeschi sono sempre più propensi a passare all’ora legale. Se lo facessero davvero, vorrebbe dire che la silente Italia, sarebbe un’ora indietro quando a ottobre risposterà le lancette indietro. A complicare le cose c’è la Spagna, che vorrebbe allinearsi con l’ora di Greenwich per motivi geografici, arretrando di un’altra ora. Insomma, il caos. E una certezze: la scadenza limite del 28 marzo 2021 sarà oltrepassata. Se ne riparlerà a settembre come tutte le scocciature che proviamo a rimandare quando si sente profumo d’estate.
L’ora legale, nata in tempi di guerra, nel 1916, per risparmiare energia, non è certo immutabile. Ci sono Paesi che l’hanno messa e tolta più di una volta. La Svizzera, ad esempio, l’ha adottata nel 1981. E dal 1996 l’Europa tutta ha seguito l’alternanza dettata dall’ultima domenica di marzo e dall’ultima di ottobre.
Nel 2011 si sono sfilati i russi, seguiti dalla Bielorussia e poi dall’Ucraina, che poi ci ha ripensato, portando lancette e alleanze verso Occidente. Ci vuole tempismo anche in geopolitica. Cosa che non riesce particolarmente nelle isole britanniche, dove gli inglesi vogliono l'ora legale e gli scozzesi quella solare. Mentre gli irlandesi, che sono nell’Ue, saranno prima o poi costretti a scegliere una delle due. E tenersela Il Regno Unito dopo la Brexit potrebbe invece mantenere l’alternanza, lasciando Eire e Irlanda del Nord in due fusi orari diversi per buona parte dell’anno. In più a Dublino si discute della possibilità di sintonizzarsi con il Central European Time, ovvero con Berlino, lasciando Londra un’ora indietro e i cittadini delle contee confinanti con l’Ulster con il mal di testa e il dubbio costante di essere in ritardo o in anticipo.
In Cina, dove ci sono altri problemi, ma a decidere si fa prima (proprio a causa degli altri problemi), hanno un fuso orario solo, quello di Pechino. E così il sole arriva allo zenit in alcuni posti alle 11, in altri alle 15. Ufficiosamente gli abitanti delle province più occidentali sottraggono comunque due ore. Putin, in Russia, ha tolto un paio di fusi orari. L’India ne ha una solo, come la mitica linea ferroviaria transiberiana, che viaggia sempre con l’orario di Mosca, anche a Vladivostok. In Africa, l’ora legale è quasi sconosciuta. La usano talvolta i tunisini quando il ramadan coincide con il periodo dell’ora legale per risparmiare un’ora di fame e sete extra ai fedeli. Altrove si creano situazioni grottesche, come nell’isolotto di Märket, nel Baltico. Poco più di uno scoglio per metà svedese e metà finlandese. Dove si può essere a pochi metri, eppure a un’ora di distanza.
Negli Stati Uniti, che adottano in larga parte l’alternanza, ci sono eccezioni come le Hawaii, che seguono l’ora solare dodici mesi l’anno, e la matassa intricatissima dell’Arizona: lì il caldo è talmente opprimente che il sole e la luce extra regalati non li vuole nessuno. E quindi niente ora legale. Ma la cosiddetta Nazione indiana Navajo, che è dentro l’Arizona, ce l’ha. Al suo interno c'è la riserva Hopi, che preferisce non adottarla, come nel resto dello Stato. Ma la riserva Hopi circonda una fetta di Nazione Navajo, che - ovviamente - ha l’ora legale. Insomma, se doveste attraversare l’Arizona, meglio godersi il viaggio, senza stare lì a fare avanti e indietro con le lancette. Rischiereste di perderci un’ora.