Il primo dei 34 firmatari della richiesta, Fabio Käppeli (Plr), denuncia: 'Mentre noi eravamo fermi il mondo è andato avanti. Proteggere la salute pubblica'
«Sulla cannabis serve un programma cantonale di azione, lo abbiamo chiesto ormai cinque anni fa e ancora non abbiamo ricevuto alcuna risposta». Tra i quasi 550 atti parlamentari ancora in attesa di evasione c’è anche «la richiesta di una politica ticinese in materia di cannabis che protegga con efficacia i giovani e riduca i costi sociali a carico della collettività», ricorda a ‘laRegione’ il deputato liberale radicale Fabio Käppeli, primo dei 34 deputati di tutti i partiti che nel 2016 - appunto, cinque anni fa - inoltrarono l’interrogazione al Consiglio di Stato. «Non abbiamo ancora ricevuto risposta, ho trasmesso recentemente un sollecito tramite i servizi del Gran Consiglio e forse qualcosa si muoverà - riprende Käppeli -. Ma a muoversi, mentre noi eravamo immobili, è stato il mondo: penso alla strada intrapresa dagli Stati Uniti e al fenomeno della canapa light, che si è imposto solo negli ultimi anni. Penso anche alla crescita dell’uso di sostanze molto più nocive per la salute come la cocaina, di cui ancora in questi giorni abbiamo avuto echi di massicci sequestri. L’attenzione e la preoccupazione rimangono».
Perché, afferma il deputato del Plr, «la canapa rimane una sostanza molto diffusa. Pure il Consiglio federale parla di fallimento del proibizionismo, poiché non dissuade le persone dal consumarla. Esattamente come fatto dall’Onu, dobbiamo superare il concetto attuale di lotta alla droga per abbracciare un approccio incentrato sulla salute pubblica». Lo scopo dell’interrogazione «oltre a chiedere un programma cantonale d’azione era ed è quello di avere una base di conoscenze e di dati utili per capire quale sia la situazione, mettendo al centro l’individuo: abbiamo la necessità assoluta di mettere in campo attività preventive al passo con i tempi». Una regolamentazione «anche severa» secondo Käppeli «servirebbe per proteggere i giovani e per tenere sotto controllo il fenomeno. Il tenore di Thc, il principale agente psicoattivo della cannabis, negli ultimi anni è fortemente aumentato. Cinque anni fa nel nostro atto parlamentare scrivevamo di uno studio dell’Università di Berna che attestava al 91% i campioni di cannabis, raccolti anche in Ticino, con una presenza di agenti molto nocivi tra cui pesticidi e metalli pesanti. Con un controllo di quello che circola la situazione potrebbe solo migliorare, perché il consumo c’è già oggi, ma con più rischi per la salute e più costi per la società».
L’obiettivo, dice ancora il granconsigliere liberale radicale, «è proteggere la salute pubblica, aumentando l’informazione e sensibilizzando il consumatore così da fornirgli un bagaglio di conoscenze utili per poter scegliere consapevolmente se assumerla o no». Di questo stallo a beneficiarne è anche il crimine organizzato, però. «Esatto», risponde Käppeli. Che aggiunge come «da un lato lo Stato oltre a non poter controllare la situazione perde anche entrate fiscali, dall’altro con una regolamentazione ci sarebbero posti di lavoro che si creano in un mercato legale, con un quadro giuridico ben definito». Invece le organizzazioni criminali «ne beneficiano in termini economici», ma non solo. Nel senso che, specifica, «ancora una volta bisogna dire che il proibizionismo ha fallito. Se la lasciamo in mano al mercato nero, poi è lo stesso mercato nero che ha più interesse a fornire droghe ancora più pesanti e pericolose ma più redditizie per chi guadagna sulla salute delle persone». La città di Berna e alcuni cantoni hanno già avviato dei progetti di sperimentazione, che «possono essere una buona fonte di apprendimento utile per trovare una nostra via».
E per Käppeli, con il discorso della regolamentazione, occorre immediatamente farne un altro: «se consideriamo l’uso di tutte le sostanze psicotrope, si vede come le conseguenze sommate sulla salute dell’individuo, sulle interazioni sociali e sulla sanità pubblica vedono molto più pericoloso l’alcol, che oggi è regolamentato e legale». Dati «che vengono da esperti e commissioni federali, noi partiamo dalle loro considerazioni che propendono per considerare altri modelli e approcci al problema. D’altronde se gli obiettivi non sono raggiunti, un’analisi seria dovrebbe farla anche la politica. E in tutto questo ricordiamoci che gli studi in materia evidenziano che la cannabis non sia un punto di partenza verso le droghe più pesanti», annota Käppeli. Che in conclusione rileva come «se l’obiettivo, ricordo, è la prevenzione in generale e soprattutto per i giovani, c’è un discorso di più ampio respiro a livello di società». Un discorso che passa «dal riaffermare il concetto di responsabilità individuale per una società e per i suoi individui consapevoli. Il cittadino adulto, in una società liberale, va considerato responsabile fino a prova contraria. Non c’è ragione di metterlo sotto tutela di fronte ad alcune sostanze particolari e non di fronte ad altre. Questo crea una politica contraddittoria e incoerente, quindi poco credibile agli occhi dei cittadini».