L'ingegnere, oggi impegnato nella Torre energetica di Castione, espone le fasi che portarono alla chiusura della ditta di Biasca
Iniziano in questi giorni le prove tecniche di funzionamento della torre energetica alta 60 metri sorta in un terreno privato di Castione. La struttura sviluppata dalla Energy Vault – società californiana fondata dall’investitore e imprenditore Bill Gross con una propria succursale elvetica a Lugano – adotta il medesimo principio degli impianti idroelettrici a ripompaggio che immagazzinano e vendono elettricità sfruttando il dislivello della caduta d’acqua rispedita nel bacino durante le ore di basso costo della corrente. Semplificando, la torre solleva pesanti blocchi di cemento nelle ore caratterizzate da basso costo dell’energia e li riadagia fornendo elettricità in caduta quando il mercato la richiede a un prezzo vantaggioso per chi la produce. Un sistema che in varie parti del mondo potrebbe contribuire a ridurre la dipendenza energetica dal nucleare e da fonti altamente inquinanti. Il progetto di Castione – presentato pubblicamente lo scorso autunno – per la sua mole non manca d’interrogare abitanti e passanti. L’imponente torre resterà per sempre lì? L’ingegnere Andrea Pedretti, capo progetto, già lo aveva spiegato durante la serata tenutasi al Centro civico di Arbedo e ora lo ribadisce: conclusa la fase test, della urata di alcuni mesi, l’impianto sarà smantellato e trasferito in India dove opera il gruppo energetico che lo ha già acquistato. Qualora le cose non dovessero andare come previsto – vista anche, ma non solo, l'incertezza dei tempi pandemici – a copertura dell'eventuale costo di smontaggio è stata istituita una garanzia di 200mila franchi.
La memoria corre al prototipo di collettore solare che il Comune di Biasca ha dovuto smantellare a proprie spese (150mila franchi) dopo il fallimento nell’estate 2016 della locale Airlight Energy Manufacturing Sa, società di cui era il direttore tecnico l’ingegner Pedretti. Società fondata nel 2007 per sviluppare e produrre sistemi a concentrazione solare (Csp, Concentrating Solar Power), assai più performanti dei pannelli tradizionali. Società che al culmine dell’operatività dava lavoro a 55 dipendenti, i quali «percepivano alti salari in virtù dello spostamento quotidiano fino a Biasca e usufruivano di una mensa gratuita». Società che «in quasi 10 anni di attività nel cuore delle Tre Valli avrà sicuramente portato non indifferenti benefici economici al Ticino». Ripercorrendo quegli eventi, l'ingegner Pedretti desidera «correggere molte inesattezze dette e scritte nel tempo sull'azienda». La domanda è: come mai è fallita nonostante avesse tutte le potenzialità per essere, nella regione, un fiore all'occhiello delle energie rinnovabili? Airlight – rammenta Andrea Pedretti – è stata a un passo dal successo: «È mancato pochissimo perché mettesse a frutto i 110 milioni di franchi investiti per sviluppare la tecnologia e realizzare le linee di produzione, mentre il primo e unico impianto realizzato in Marocco è stato pagato dal cliente, Italcementi».
Un punto fermo della vicenda risale al 2013, quando l’italiana Saipem del gruppo Eni firma con la ditta di Biasca un contratto di esclusiva per la fornitura di impianti solari basati su tecnologia Airlight. «Era il canale giusto per concretizzare i nostri brevetti. Tanto giusto che nel 2015 un importante gruppo lombardo, quotato in Borsa, avanza un’offerta d’acquisto che viene però rifiutata dai nostri azionisti. Offerta che io, piccolo azionista, giudicai invece positivamente. Oggi possiamo dire che la scelta sia stata sbagliata, ma è facile parlare a posteriori». Lo stesso anno fallisce il colosso spagnolo Abengoa, leader mondiale nel medesimo settore della biaschese Airlight; tremano anche altri gruppi italiani ed esteri. Motivo: la crescente difficoltà, rispetto al fotovoltaico tradizionale, nell’ottenere le licenze di costruzione (sia per le vaste dimensioni degli impianti Csp, sia per le elevate temperature da essi raggiunte) e di conseguenza gli indispensabili finanziamenti e agevolazioni.
«In quella fase di grande incertezza – spiega l’ingegner Pedretti – un investitore italiano di Airlight convince gli azionisti più importanti ad abbattere il capitale e a ricostituirlo, obbligando peraltro anche gli azionisti minoritari a riversare le rispettive quote, pena la loro perdita. Scelta che genera reazioni discordanti e finisce per escludere taluni piccoli azionisti», fra cui lo stesso ingegner Pedretti. A quel punto la scure del nuovo vertice societario, prosegue il nostro interlocutore, si abbatte su vari ambiti della ditta di Biasca: «Taglio dei salari, chiusura della mensa, tentativo di spostare tutto in Italia e decisione di non dare seguito ad alcuni bei progetti paralleli al Csp, uno dei quali avviato con Ibm, nonché usare i nostri brevetti in altre società, per citare solo alcuni esempi. Ben presto due terzi del personale cerca lavoro altrove, con successo. Io stesso, scoraggiato, dimissiono poiché inascoltato dai nuovi vertici».
Un fuggi fuggi generale preceduto da un punto chiave dell’intera vicenda, la mancata entrata in servizio del primo impianto Airlight, quello realizzato ad Agadir in Marocco. Cos'è successo? «Il gruppo Italgen che si stava occupando del miglioramento dell’efficienza energetica del cementificio realizzato in quella zona da Italcementi – ricostruisce Pedretti – ci aveva incaricato di implementare la tecnologia Csp. Nel 2012 avviamo la realizzazione, spostando la linea di produzione da Biasca ad Agadir, e nel 2016 otteniamo la certificazione dell'impianto da parte dell'apposita azienda Sgs. Proprio in quel momento però l’intero gruppo Italcementi viene venduto al colosso tedesco Heidelberg. Quest’ultimo, non interessato a investire nel solare, chiude l’impianto Airlight di Agadir utilizzando per i suoi cementifici altri sistemi di recupero energetico. Da notare – prosegue l’ingegner Pedretti – che con noi Italcementi aveva firmato un contratto-quadro dando ottime prospettive, insieme a Seipem, per la realizzazione di più impianti Airlight analoghi a quello di Agadir». Una concatenazione di eventi e decisioni che porta al fallimento della Airlight Energy Manufacturing prima e, nel 2017, della rispettiva Holding con sede a Lugano.
I debiti sul fronte Manufactoring ammontano a 2,5 milioni: soprattutto salari, coperti comunque dalla cassa di compensazione. «Fra i dipendenti rimasti senza lavoro c’ero anche io», chiarisce l'ingegner Pedretti: «È sbagliato affermare che io fossi il proprietario o l’amministratore. Detenendo una quota azionaria inferiore al 5%, che ho poi perso, non sedevo nel Cda della holding e rivestivo semmai la carica di direttore tecnico della società operativa. Posizione che intendo puntualizzare dopo che a più riprese mi si è imputata la co-responsabilità del fallimento».
Quello che Andrea Pedretti tiene a rimarcare oggi sono anche gli aspetti positivi della vicenda Airlight: «Grazie allo sviluppo cui hanno contribuito i nostri validi collaboratori, Airlight ha sostenuto più settori: ad esempio ha finanziato diversi master alla Supsi e cinque dottorati al Politecnico di Zurigo, con alcuni loro autori poi assunti dalla Sa medesima. Non da ultimo, quando viene criticata per essere fallita dopo aver beneficiato di aiuti pubblici ed esenzioni fiscali, bisogna anche riconoscerle di aver versato ottimi stipendi che durante quasi un decennio hanno generato ricadute molto positive sul territorio ticinese». Lui stesso nel 2010 acquista in centro a Bellinzona Villa Bonetti, edificio storico protetto di cui avvia l'onerosa ristrutturazione, fermandosi però a causa delle successive difficoltà di Airlight, fino alla messa all'asta l'anno scorso (poi revocata) e il prossimo mese di ottobre.
Quanto ad Airlight, l’ingegner Pedretti non esita a definirla «un’impresa innovativa anche nei confronti del personale, pensando a taluni servizi offerti gratuitamente ai propri collaboratori, come già detto la mensa, la possibilità di lavare l’auto privata in ditta, l’utilizzo di furgoni per esigenze private, ecc. Dettagli che facevano la differenza. Non ho la controprova, ma se la sorte di Airlight fosse dipesa da altre strategie, oggi forse staremmo raccontando un’altra storia». Dopo la fine del rapporto di lavoro con Airlight, nel 2017 l’ingegner Pedretti riprende i contatti con l’imprenditore americano Bill Gross, conosciuto nel periodo di Agadir: «Egli aveva avuto un’idea di torre energetica che mi ha affascinato a tal punto da individuare insieme delle possibilità di sviluppo, che speriamo tutti di vedere realizzate». La fase test di Castione dirà presto con quale esito.