Nella capitale devastata si contano almeno 135 morti, cinquemila feriti e 300mila sfollati
Beirut - 'Ground zero', 'Beirut anno zero': definizioni scontate e drammaticità delle immagini si sono sommate oggi per cercare di dare una definizione al dramma che ha investito la capitale libanese, devastata martedì dall'esplosione di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio stoccate nel porto.
Lo choc subito da una città già messa in ginocchio da una crisi economica gravissima è stato enorme, senza precedenti neppure negli anni della guerra civile (1975-1990). Il bilancio ufficiale, ancora provvisorio, parla di almeno 135 morti, 5.000 feriti, decine di dispersi e oltre 300mila sfollati, costretti a lasciare le proprie abitazioni devastate nel raggio di chilometri dal sisma di magnitudo 3.3, provocato dallo scoppio. Ma anche i numeri del disastro non dicono tutto.
Secondo i resoconti delle agenzie, è soprattutto lo sgomento degli abitanti a confermare la gravità dell'evento.Tanto che, seppure sostenuta da elementi piuttosto solidi, la versione ufficiale sulle cause della doppia esplosione, cominciano a essere messe in discussione da più parti.
Non va dimenticato che il governo in carica è oggetto delle proteste popolari da parecchi mesi e il credito di cui gode è assolutamente basso. Se infatti non si è trattato di un attentato, ciò non basta ad assolvere un esecutivo a cui si rimprovera di non avere messo in sicurezza un'area che si sapeva minacciata dall'enorme quantità di materiale esplosivo sotto sequestro da anni e mai trasferito in aree più idonee.
Le distruzioni maggiori hanno riguardato i quartieri orientali cristiani più vicini al porto: Mar Mikhael, Geitawi, Ashrafieh, Bourj Hammoud. Ma lo spostamento d’aria ha scardinato le porte e mandato in frantumi le finestre fino a chilometri di distanza. Il governo ha dichiarato uno stato d’emergenza per almeno due settimane, e il ministro della salute Hamad Hasan ha invitato chi può a lasciare la città per il timore della diffusione nell’aria di sostanze tossiche. Il presidente della Repubblica, Michel Aoun, ha convocato una riunione con il governo, chiedendo che i responsabili siano presto individuati.
L’esecutivo ha chiesto alla magistratura militare di mettere agli arresti domiciliari durante l’inchiesta tutti i responsabili che nel porto hanno avuto a che fare con la gestione del nitrato di ammonio, che secondo il ministro dell’Interno, Mohammed Fehmi, vi era stoccato dal 2014. Da quando, cioè, era stato sequestrato a bordo di una nave, la Rhosus, battente bandiera moldava ma in realtà di proprietà di un armatore russo, salpata dalla Georgia ed era diretto in Mozambico. Oggi ci si chiede perché un materiale così pericoloso sia rimasto per tanto tempo nel pieno centro di Beirut. I funzionari doganali inviarono almeno cinque lettere ai giudici tra il 2014 e il 2017 chiedendo loro cosa fare del carico sequestrato, che venne messo nel deposito numero 12 del porto. Secondo una lettera datata 2016 e citata ieri da Al Jazeera le richieste dei funzionari sono sempre cadute nel vuoto.
Quanto alle cause del'esplosione, diversi testimoni hanno riferito all’Ansa di avere sentito il rumore di aerei poco prima delle esplosioni. Ma qualcuno fa notare che i voli di ricognizione israeliani si sono intensificati nelle ultime settimane in coincidenza con una recrudescenza delle tensioni di confine fra lo Stato ebraico e le milizie libanesi filo-iraniane di Hezbollah. D'altro canto, entrambe le parti hanno del resto smentito l’ipotesi di un raid israeliano mal calcolato contro depositi di armi del Partito di Dio.
A Beirut il patriarca maronita, cardinale Beshara al Rai, ha parlato di “misteriosa esplosione”. Mentre l’ex primo ministro Saad Hariri, avversario di Hezbollah, ha descritto la tragedia come "l’assassinio di Beirut”, aggiungendo: “I libanesi sanno di chi parlo”. Insieme a lui, altri tre ex primi ministri libanesi (Najib Miqati, Fouad Saniora e Tammam Salam) hanno chiesto che sia una commissione d'inchiesta internazionale ad appurare le cause delle due esplosioni, sollecitando Nazioni Unite e Lega Araba a formare una commissione d'inchiesta internazionale (araba, hanno precisato), composta da giudici e investigatori "professionali e imparziali per scoprire le circostanze e le cause della catastrofe".
Come era infine da prevedere, le macerie non hanno sepolto le tensioni che da tempo attraversano il Paese. Semmai le hanno esasperate. Ieri pomeriggio si è quasi giunti allo scontro tra sostenitori e oppositori dello stesso Hariri durante una visita sulla Piazza dei Martiri alla tomba del padre Rafic, ucciso nel 2005 insieme ad altre 21 persone in un attentato per il quale sono imputati quattro membri di Hezbollah, tutti latitanti.
Il Tribunale speciale dell’Onu, responsabile per il procedimento, ha deciso di rinviare al 18 agosto la sentenza, in origine prevista per venerdì. Prudentemente.